26. Sometimes You Can't Make It On Your Own (parte 2)

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*** Attenzione: questo capitolo può contenere forti episodi di violenza ***

Avevo ricominciato ad andare a scuola: questo era quello che davo da intendere ai miei ma in realtà passavo un sacco di tempo in giro a cazzeggiare

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Avevo ricominciato ad andare a scuola: questo era quello che davo da intendere ai miei ma in realtà passavo un sacco di tempo in giro a cazzeggiare.

Tornare in quell'istituto e vedere tutte quelle persone non faceva che innervosirmi, odiare di più quei ragazzini, odiare di più me stesso.

Spacciai quella ribellione, quell'essere diverso come una parentesi momentanea post convalescenza, un periodo di "stacco" ma allora non sapevo che quel periodo sarebbe durato in realtà anni.

***

Non conoscevo gli altri. Mai visti prima di quel pomeriggio nel parco sotto i grattacieli, una delle zone più malfamate di Ferrara, di fianco alla Stazione ferroviaria.
Li incontrai per caso: loro nel loro angolo, io nel mio. Erano teppisti e sembravano felici. O meglio, sembravano avere tutto ciò che li rendeva tali.
Avevano una moto, la compagnia, il fumo, il bere. Loro stavano bene. Li invidiavo un po' perché io non ero altrettanto felice, non avevo un gruppo con cui passare il tempo. Uno di loro, un tipo rude dai lunghi capelli neri e un filo di barba, incrociò il mio sguardo; volevo andarmene per non combinare casini.

Avvertii un pizzicore alla spalla: le cose non potevano peggiorare più di così. Sostenni lo sguardo dell'uomo fino a che non fu lui a distoglierlo, interrotto da un suo compagno. Solo allora mi alzai dalla panchina e me ne andai.

Cazzo, ero davvero messo male se stavo invidiando persone come quei disgraziati. Ma che m'importava? In fondo erano ragazzi come me che si erano appoggiati ad altri più grandi. Quei ragazzi non avevano nulla se non la compagnia stessa.

Da quel giorno tornai in quel parco altre volte; ero curioso di vedere e sapere cosa facevano. Il loro modo di passare il tempo era completamente inutile, uno spreco.
Sì, proprio uno spreco di tempo il loro ma stranamente mi gratificava. Non ero l'unico a buttare via la mia vita: c'erano altri messi forse peggio di me che cercavano di tirare avanti divertendosi e fregandosene delle regole, fregandosene di tutto. Quei ragazzi erano così perché non avevano nient'altro a cui dedicarsi e stare in gruppo li rendeva più forti, li faceva sentire più forti. Io non avevo tutto ciò.

***

Niente più fasciatura finalmente. Il dottore aveva detto che potevo tornare a giocare, con moderazione. Altra cazzata. Che senso aveva tornare a giocare se dovevo contenermi? Se non sarei più stato quello di prima? Avevo già abbandonato l'idea del basket e non sarei affatto tornato per fare un favore a quegli idioti, per scaldare il posto in panchina. Per me era tutto finito.

Cominciai a uscire di sera. Presto divenne un'abitudine. Iniziai a raccontare balle ai miei e loro le bevevano. Erano troppo indaffarati, presi dal lavoro o da problemi familiari per accorgersi che il loro unico figlio stava crescendo lontano dai loro occhi, per conto proprio.

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