Capitolo trentesimo

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Han's POV
Erano passati quattro mesi da quel giorno.
Avevo ripreso ormai completamente la mia solita vita anche se ormai era tutto diverso.

Girando per i corridoi dell'accademia non ero più uno dei tanti ragazzi lì, ero Han Jisung e tutti, nessuno escluso, sapevano.
Non ero più invisibile e non godevo più di quella privacy che hanno i così detti sfigati, che possono fare tutto passando inosservati. Ormai ovunque andassi ricevevo occhiate d'invidia, sorrisi e richieste di amicizia da parte di persone che fino a poco prima mi passavano accanto senza nemmeno preoccuparsi della mia esistenza.
Fortunatamente avevo Felix. Ero riuscito a parlare con lui e a chiarire. Ero arrivato alla conclusione che avesse semplicemente paura di ammattere di essersi innamorato. Felix era così, non gli era mai successo di star sotto a qualcuno, era lui quello ad essere venerato di solito e trovarsi dall'altra parte l'aveva destabilizzato. Ad ogni modo, la relazione con Hyunjin sembrava esser diventata più stabile e meno tossica.

Avevo ripreso a lavorare sia in biblioteca che nel museo, forse quelli erano i momenti in cui riuscivo a stare più tranquillo. Quando giravo per strada, anche banalmente per andare a fare la spesa, mi imbattevo spesso in paparazzi e giornalisti molesti che mi stavano addosso cercando di estrapolare informazioni. Inizialmente non era stato facile, soprattutto per uno come me che odia chi invade il proprio spazio vitale, e Minho aveva pure proposto di pagarmi una guardia del corpo che mi seguisse ma rifiutai.
Pian piano mi adattai, a volte davo loro le informazioni che volevano, ovviamente rispettando la mia e la privacy del mio ragazzo, e a volte mi infilavo nei vicoletti e scappavo dai loro sguardi. Questo accadeva soprattutto se era un sabato mattina quando ero solito uscire in tuta e con le ciabatte per comprare il pane che era finito e avevo le occhiaie segnate da una nottata passata sui videogiochi.

Ma la mia popolatità aveva anche dei vantaggi. Il signor Jung mi aveva alzato la paga perché alcuni fan avevano scoperto il mio posto di lavoro e venivano spesso lì a passare i pomeriggi per leggere un buon libro. Con alcuni di loro, quelli tranquilli e rispettosi, mi ero anche fatto una bella chiacchierata.
Spesso mi ritrovavo a parlare con persone che stavano affrontando tantissimi problemi a causa della loro sessualità ed identità di genere. Mi ringraziavano di continuo per il lavoro che io e Minho stavamo facendo, con l'aiuto delle altre associazioni, nel creare un posto sicuro per loro. Li ascoltavo e confortavo come potevo mentre mi cimentavo nell'ordinare libri nei grandi scaffali in legno.

Tutto stava filando troppo liscio, me ne resi conto da solo. I problemi infatti non tardarono ad arrivare.

Era un sabato mattina di metà marzo, io e Minho non ci eravamo visti per più di due settimane. Avevamo colto l'occasione il venerdì sera passato, quando un meeting serale del ragazzo era saltato a causa di problemi legati ad altre agenzie. Era venuto da me per cena e avevamo passato la notte tra coccole e chiacchiere, raccontandoci tutto ciò che non ci eravamo potuti dire in quell'arco di tempo.

La mattina seguente mi stavo preparando per la giornata al museo mentre Minho per una nuova ripresa.

-Amore quando hai la prossima serata libera? Vorrei passare la notte al museo, ormai lo stiamo facendo sempre meno ma non voglio perdere la "tradizione"- chiesi abbracciandolo da dietro mentre il ragazzo si specchiava per mettersi a posto i capelli.

-Parlerò con Ryujin per trovare un buco il prima possibile, anche a me mancano quelle serate e mi manchi anche tu. Ci vediamo poco Jisungie... senti, ho un'idea. Faccio fare una copia della tessera del mio appartamento, quando hai voglia vieni pure. Anche se torno la sera tardi o in piena notte, dormire al tuo fianco e vedere il tuo faccino la mattina mi renderebbe tremila volte più felice- disse lui, posandomi un bacio sulla tempia -portati della roba da me, così sei più comodo, oppure usa la mia. Anche io dovrei portare della roba da vestire qui da te-.

Sorrisi, ma non ebbi il tempo di rispondergli. Qualcuno suonò al campanello.

Guardai Minho confuso, non aspettavo nessuno e nessun fan o giornalista si era mai spinto fin sotto casa mia.

Mi diressi verso la porta di casa seguito da Minho e la aprii con un gesto lento ed insicuro, spogendo la testa di lato per vedere.

Sentì le ginocchia tremare alla vita di chi si trovava dall'altro lato.

-Signora Lee... a cosa devo questa visita? La prego, si accomodi- mi spostai leggermente di lato. Per quanto non mi piacessere era la madre del mio ragazzo ed una delle donne più potenti della Corea al momento, le portavo comunque rispetto.

Lei mi squadrò con il disgusto dipinto sul volto. Si accorse solo successivamente di Minho e portò lo sguardo su di lui.

-Ci sei anche tu... meglio. Due piccioni con una fava- pronunciò dirigendosi verso il divano.

Guardai il mio ragazzo fin quando il ticchettio provocato dai tacchi della Signora Lee si fermò, segno che si era seduta. Entrambi la seguimmo, sedendoci lì di fronte.

-Arriverò al punto- sentenziò -voi due non potete stare assieme, non è una novità.- iniziò il suo discorso e mi sentii già venir meno. Certo, sapevo che i suoi non avrebbero mai approvato la nostra relazione, sentirlo però era davvero un colpo basso.
-Minho, devi lasciare questo ragazzo. Hai già rovinato abbastanza la nostra reputazione, hai intenzione di peggiorare le cose? La sua famiglia non è ricca, lui non ha nessun talento che possa servire al futuro dell'azienda.-

-Con tutto il rispetto- riuscii a trovare il coraggio di interromperla -la mia famiglia potrà non essere ricca ma mi hanno cresciuto con amore, insegnandomi il rispetto verso tutti e l'educazione. Non trovo corretto da parte sua parlare male dei miei genitori, non davanti a me.-

-Ha pure il coraggio di rispondermi con questo tono? Sei un insulso ragazzino, come osi parlare di me in questo modo?- per qualche istante mostrò qualche sentimento, l'unico che aveva a detta di Min. La rabbia. Poi si ricompose, tornando un pezzo di marmo.

-Jisung ha ragione, i suoi genitori sono persone squisite. Mi hanno trattato come un figlio e accettato, cosa che nessuno ha mai fatto in famiglia, sempre se così la si può chiamare. Non siamo nel medioevo. Non ho intenzione di stare con una donna solo per l'immagine della famiglia o perché ha i soldi per aiutare l'azienda. Tra l'altro, mi pare di aver messo in chiaro il fatto che non ci voglio avere nulla a che fare.- disse prendendomi la mano.

-Credi di poter scegliere? Credi che io abbia scelto tuo padre? C'era la necessità di un uomo che prendesse le redini dell'azienda, tuo padre non era ricco ma i tuoi nonni erano amici. Quelli come loro possono scegliere- disse indicando me in modo dispregiativo -noi no-.

La guardai aggrottando le sopracciglia, continuava a guardarmi dall'alto al basso e la cosa non mi piaceva per nulla.

-Hai ragione, hai solo omesso un particolare io non sono e mai sarò come te. E ora ti prego di uscire dalla casa del mio ragazzo, abbiamo entrambi del lavoro da fare.- disse il ragazzo affianco a me, alzandosi.

Lei mi guardò inespressiva, fredda. I suoi occhi non avevano nulla di umano -Han, ti sto avvisando. Le tue azioni avranno delle conseguenze e non saranno leggere.-

-I miei genitori mi hanno preparato anche a questo. Quelli come noi sono abituati ad essere schiacciati da quelli come voi- le risposi, utilizzando quelle stesse espressioni che aveva usato lei per sottolineare la mostra differenza sociale. Le sorrisi, mai fatto un sorriso più finto, e mi alzai dirigendomi verso la porta e aprendola.
-Ora, la prego di lasciare la mia casa. La mia risposta rimane invariata-

Mi fissò qualche istante, non aggiunse altro e se ne andò rivolgendo un'ultima occhiata di fuoco ad entrambi.

-ho il fidanzato più cazzuto della storia- disse dopo qualche istante lui, abbracciandomi.

Gli sorrisi leggermente, ma a dirla tutta avevo paura.

-Amore qualsiasi cosa accada hai la certezza che io sarò al tuo fianco, non dimenticarlo- mi sussurrò accarezzandomi la schiena.

-Lo so, ti amo Min-

La verità è che avevo una paura fottuta. E facevo bene ad averne.

Uscimmo entrambi di casa, io mi diressi a lavoro come sempre. Sapevo che da un momento all'altro qualcosa sarebbe successo.

I Lee erano potenti. Mi ero messo contro di loro e ne dovevo pagare le conseguenze.

Koi no yokan || MinsungWhere stories live. Discover now