Capitolo dieci.

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Qualcuno mi stava soffiando sulla faccia

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Qualcuno mi stava soffiando sulla faccia.
Qualcuno stava seriamente rischiando la morte.

Mugugnando, senza aprire gli occhi, girai la faccia dall'altro lato. Sentii una risatina in risposta. Forse anche più di una.

Mi capitava di rado di farmi delle dormite tranquille e quelle poche volte volevo soltanto godermele senza rotture di palle. Questa era una di quelle.

A quanto pareva però nessuno sembrava essere della mia stessa opinione, perché delle dita presero a solleticarmi la pianta del piede destro mentre altre mani provvedevano a spogliarmi delle lenzuola, lasciandomi al freddo.

«Nooo», piagnucolai. «Via, andate via!».

«E tu dovresti compiere ventun anni?», la risatina di Rora mi si conficcò nelle orecchie.

Quindi intrufolai la testa sotto al cuscino per proteggermi e tenerli lontano da me. «Sciò, lasciatemi dormiree!».

«Spiacente, permesso negato». Riconobbi la voce di Drew, prima che mi venisse strappato via anche il mio ultimo appiglio. «Forza, apri i tuoi begli occhietti e fatti cantare tanti auguri».

«Fottetevi».

Risero entrambi, mentre io continuavo a piagnucolare come una poppante. Forse più tardi mi sarei vergognata di me stessa, ma al momento non me ne fregava proprio un bel nulla.

Emisi un verso stridulo e isterico, capendo che non mi avrebbero mai dato pace e che ormai il mio sonno era stato compromesso del tutto. Dopo tanti sforzi, mi tirai a sedere infastidita. Schiusi appena le palpebre, soltanto per trucidare tutti e due.

Erano entrambi seduti sul mio letto, uno per ogni lato, e avevano sorrisi spaccaguance.

«Il primo che si azzarda a cantarmi quella canzoncina di merda lo lancio fuori dalla finestra», borbottai, stropicciandomi gli occhi.

«Che palle», sbuffò Drew. «Sei la solita antipaticona».

«Disse la bestia di Satana. Almeno mi hai fatto un regalo?».

Lui mi fece la linguaccia. «Non te lo meriti».

A palpebre assottigliate, allungai un piede per spingerlo giù dal letto. Quando cadde, neppure mi preoccupai di controllare se si fosse fatto male o meno, e non diedi modo di farlo nemmeno a Rora.

«E ora veniamo a te». Le puntai un dito contro. «Sei stata tu a farlo entrare. Me ne ricorderò, diciannovenne».

«Ancora per poco». Lei ridacchiò, e poi si lanciò su di me per stringermi in un abbraccio soffocante. «E comunque tanti auguri, stronzetta! Adesso puoi finalmente usare la tua vera carta d'identità e buttare quella falsa».

Raving. Ladro di CuoriOù les histoires vivent. Découvrez maintenant