Capitolo otto.

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Masticando la cicca che avevo rubato a Mike di nascosto, trascinai il carrello nel silenzio tetro della piccola biblioteca impolverata

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Masticando la cicca che avevo rubato a Mike di nascosto, trascinai il carrello nel silenzio tetro della piccola biblioteca impolverata.

Figurati se qualcuno si prendeva la briga di darle una pulita veloce. D'altronde, dovevo immaginare che fosse già di per sé avere degli effettivi libri.

Scossi la testa e rimisi a posto una vecchia edizione di Fiesta nel reparto giusto. Odiavo quando non rimettevano mai a posto i fottuti libri, inserendoli su scaffali a caso. Come se potesse considerarsi una cosa normale riporre Hemingway vicino a Stephenie Meyer.

Stupidi coglioni che non sapevano nemmeno scrivere il proprio nome. Ma che potevo aspettarmi mai da persone che ancora non sapevano pisciare in un fottuto cesso?

Ugh. Grugnendo, nella sezione dei thriller, mi destreggiai fra John le Carré e Lee Child, che mi ricordavo di aver consigliato io stesso a Peter, uno dei pochi detenuti che veniva regolarmente. L'unico che aveva capito tutto.

La biblioteca era il paradiso.
Silenziosa, tranquilla e priva di stronzi pronti a romperti il cazzo. Per di più, lavorarci significava svolgere il minimo indispensabile.

Avrei decisamente dovuto scrivere una guida sulla sopravvivenza in carcere.

Una volta finiti i libri del carrello, tornai nell'ala di lettura accompagnato da Le affinità elettive. Leggere mi era sempre piaciuto, fin da quando mia madre mi aveva messo il primo libro fra le mani e poi l'aveva letto insieme a me.

Le avventure di Tom Sawyer.

Era iniziato tutto da lì. Dalla sua voce armoniosa, così melodiosa che pareva miele sulle ferite. Mamma recitava, interpretava con quei suoi capelli biondi che volteggiavano al minimo movimento e io restavo sempre lì a pregare che non finisse mai. Che non se ne andasse a dare la buonanotte anche agli altri, che nessuno le chiedesse di raccontare una storia, perché volevo che restasse una nostra cosa speciale.

E poi se n'era andata all'improvviso senza prima avermi detto addio. Così, morta.

E io mi ero ritrovato da solo insieme a Tom, Huckleberry Finn, Holden, Jim, che forse un po' meno solo riuscivano a farmici sentire, ma non mi bastava mai.

Ero quello strano della famiglia, il combinaguai, il tossico, la pecora nera. Nessuno me lo aveva mai detto apertamente, ma sapevo che avrebbero preferito non avermi come fratello. O come figlio. Me lo sentivo.

Strinsi i denti, seduto al mio tavolo in fondo, tutto scheggiato, per togliermi dalla testa pensieri che avevano il puro scopo di farmi a pezzi più di quanto già non lo fossi.

Sfogliai la prima pagina, pronto a immergermi tra le righe, tuttavia un arrivo inaspettato me lo impedì.

Accadde tutto all'improvviso: una mano mi spinse bruscamente la faccia sul tavolo, facendomi male cane. Lo zigomo premeva fino a fondersi sulla superficie e dita ferree mi stringevano i capelli con una tale forza che temevo mi avrebbe reso calvo.

Raving. Ladro di CuoriOnde as histórias ganham vida. Descobre agora