(Marco)Tutto fuorché rincoglionito

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Milano aveva la facoltà di allontanarmi dalla nuova vita che mi ero costruito negli ultimi due anni: stare lì sbiadiva le sicurezze conquistate con il mio nuovo staff e la pace offerta dalla compagnia di Maia.

Non mi sentivo a mio agio in quella città e le sue atmosfere mi infastidivano.

I messaggi di Maia erano la mia finestra su un panorama migliore.

Andai a trovare Michela anche il giorno seguente e quando uscii dall'ospedale mi fermai in un locale con il solo scopo di sedermi e farmi alleggerire l'animo dai messaggi di Maia. Da quella mattina, però, non avevo ricevuto nessun segnale da lei. Non me ne preoccupai e una volta accomodatomi e ordinato qualcosa da bere decisi di chiamarla. Non avevo alcuna intenzione di raccontarle la situazione per telefono né lei aveva la volontà di esserne messa al corrente in quel modo, ma ero certo che Maia avrebbe trovato il modo di arricchire la telefonata raccontandomi la trama del nuovo romanzo che aveva iniziato, gli aggiornamenti sulle coreografie che stavano preparando per la serata di Falchi, il modo in cui Lucas e Mattia le avevano fatto perdere le staffe e i suoi sensi di colpa per la reazione poco Montessoriana. Maia avrebbe potuto sostenere una conversazione anche con un sasso e il sasso non si sarebbe sentito affatto a disagio perla mancanza di argomenti con cui l'avrebbe ripagata.

Squillò a vuoto parecchie volte ed ero già pronto ad arrendermi quando sentii la voce della mia ballerina dall'altra parte.

- Ciao, doc! -

Rispose con il fiato grosso. Aveva corso per rispondere in tempo oppure si stava allenando?

- Ehi, ho chiamato in un brutto momento? -

- Non è un brutto momento, avevo lasciato il cell nel borsone e non riuscivo a trovarlo nel marasma. Come sta andando? -

Me lo chiedeva ad ogni telefonata: era una domanda generica ma che sottintendeva uno stato d'animo ben preciso. Maia era tesa e preoccupata e l'estraneità della situazione rendeva tutto più complicato per entrambi.

- Sta andando esattamente come mi aspettavo che andasse, tranquilla. -

- Oh, bene. Almeno credo che sia un bene. Lo è? -

Sorrisi. Mi sarebbe piaciuto vedere la sua espressione concentrata mentre cercava di analizzare la mia risposta vaga in relazione alla sua domanda generica. Avrebbe aggrottato le sopracciglia e arricciato il naso, inclinando la testa. E io avrei volentieri baciato la punta del suo naso arricciato. E avremmo riso entrambi. Ridere era esattamente ciò di cui avevo bisogno.

- Diciamo che non ci sono brutte sorprese inaspettate. Ho prenotato il viaggio di ritorno per dopo domani, sarò in stazione nel pomeriggio. Tornerò in ospedale lunedì e nel weekend non sarò reperibile. -

- Mmmm... e che intenzioni hai per il weekend, signor primario? -

- Solo brutte intenzioni. -

- Che mascalzone! -

- Quante ore potrai dedicarmi? -

- Starò con i bambini il sabato mattina e la domenica a partire dal pomeriggio. Il prima e dopo è a tua disposizione. -

- Cercherò di farmelo bastare. Come procede con le coreografie? -

- Bene, direi. Ma ne abbiamo pronte quattro e dobbiamo sceglierne 3. Avrò bisogno del tuo parere. -

- Non è molto autorevole, come parere. -

A ogni frase, a ogni scambio con Maia, sentivo riaffiorare il buon umore. Presto sarei tornato a casa, avrei lasciato Milano. Avevo ancora due giorni per far sì che la mia visita lì non fosse solo un lungo addio alla mia ex moglie, ma anche un nuovo inizio con Daniele. Era indispensabile cementare con lui almeno l'intenzione di colmare anni di lontananza fisica ed emotiva.

La sindrome dell'eroeWhere stories live. Discover now