MARZO

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(Marco)

Cercavo di tenere le mani lontane dalla testa della ragazza che si alzava e abbassava, con languida lentezza, tra le mie gambe. In una mano tenevo la birra, ancora fredda, nell'altra il telecomando.

Avevo abbassato completamente il volume della tv, uno schermo da 60 pollici decisamente troppo grande per quel bilocale raffinato.

Non mi serviva la musica, avevo sentito quella canzone così tante volte, con Maia, che avrei potuto cantarla io.

Open your eyes: alla fine avevano scelto quella, per l'ultima esibizione. Avevo visto la coreografia, Maia me l'aveva sottoposta, ma l'aggiunta dei costumi, della scenografia, del trucco, degli spazi del tendone e dei colori aveva trasformato lo spettacolo in un'esperienza totalizzante.

Erano state brave. Tutte. Anche J, ovvio.

Io non ci capivo un cazzo, né di musica né di danza. Ma quando una cosa è figa, lo capisce anche uno scemo.

Guardai Maia e le sue ragazze volare sopra e davanti al pubblico di Verona, mentre Karen... Kate... Kim... insomma la ragazza con la K continuava a inseguire il mio piacere con la bocca.

La biondina si stava prodigando da un po', ma sembrava instancabile.

Pensai che la mia mascella non avrebbe mai retto uno stress del genere.

Occorsero altri 25 minuti di televoto e di sesso orale, prima di vederle proclamare vincitrici.

Io non ero ancora venuto, e "K" cominciava ad accusare un certo fastidio.

Alzai un po' il volume, quando le chiamarono sul palco, sotto un tripudio di coriandoli che neanche la sera di Capodanno su Rai1.

La coppa però era molto carina: sinuosa, elegante, di un materiale simile al vetro satinato. Nonostante le dimensioni assurde del tv, non riuscii a comprenderne per bene la forma. Forse perché mi persi a cercare qualcosa sul volto di Maia.

Non so cosa cercassi. Forse avrei voluto vedere affiorare sulle sue labbra il mio nome.

Invece vidi sbocciare un sorriso, mentre alzava la coppa. Un sorriso trionfante, sotto l'ombra di uno sguardo non altrettanto fiero.

J l'abbracciò e le sussurrò qualcosa all'orecchio.

Vidi Maia chiudere gli occhi.

Poi il regista di merda allargò la visuale e inquadrò l'intero palco.

Vaffanculo.

Quello era per il regista.

Stronza.

E questo per Maia.

- Oh... - il singulto disgustato invece uscì dalla bocca di "K" che stringeva tra le dita il mio pene rattrappito, svogliato e ormai definitivamente esausto delle sue attenzioni orali. Lei mi guardò con rimprovero, come se fosse colpa mia se non era capace nemmeno di farmi venire.

Quando se ne andò sbattendo la porta del bilocale di Rochester, cominciai a dubitare fortemente che il suo nome iniziasse davvero con la K.



(Maia)


Chiamalo.

Chiamalo, Maia.

Dannazione, chiamalo!

Jennyfer me lo diceva. Poi me lo scriveva. E poi me lo ripeteva e infine me lo scriveva di nuovo. Ma io non lo avevo chiamato più.

Cosa dovevo dirgli?

Mi dispiace.

Oppure.

Perdonami.

O ancora.

Perché non mi sei stato vicino?

Meglio ancora.

Avevo bisogno di te.

La coppa se ne sarebbe stata per qualche mese esposta in una bacheca all'interno della palestra che ci aveva viste crescere. Quella in cui avevo incontrato Marco, insieme a Christian, e in cui non avevano più messo piede.

Quando avevo portato a casa il trofeo, Mattia l'aveva guardata come fosse il Pallone d'Oro autografato da Cristiano Ronaldo. E guardava me, come fossi Cristiano Ronaldo.

E io guardavo lui, come fosse il mio gol della carriera.

E Lucas? Lucas disse che era una coppa da femmine.

- Perché? - gli avevo chiesto.

- Boh! Ma si vede che non è una coppa da maschi. -

Poi mi chiese se avevo insegnato la parola scorreggia ai miei avversari nella battle. Mentii, dicendo che l'avevo fatto.

Ma avrei rimediato a quella bugia. Avevo già un piano, in merito. 



SPAZIO AUTRICE

Eccoci, qua le strade di Maia e Marco si sono divise. Ho quasi svuotato la narrazione di introspezione, come se gli stessi personaggi fossero spettatori delle loro vite, anziché  protagonisti. È un rischio bello grosso, perché comporta un forte distacco dagli eventi, e getta un'ombra pericolosa sulla regola del "show don't tell".

Ho scelto questo stile per ulteriori 5 capitoli. 

Una scelta stilistica che, in realtà, ha molto più senso se i capitoli vengono letti a breve distanza l'uno dall'altro, con una certa consequenzialità. Ma qua ci piace complicarci la vita.

Se vi va di darmi un'opinione, anche negativa, sono pronta ad accoglierla. Poi magari mi fate sapere se alla fine dei 6 capitoli in questo stile avete cambiato idea o meno. Male che vada...li riscrivo. Ma avrei proprio bisogno di un parere.

Grazie a chi vorrà dedicarmi tempo ed energie! Ve ne sono grata in anticipo

La sindrome dell'eroeHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin