Uno

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C'è qualcosa nell'aria, qualcosa di pensante che mi trafigge il cuore come se si trattasse di centinaia di stalattiti che mi pugnalano. Non è l'aria gelida. Non è l'odore nauseante di migliaia di fiori, freschi e appassiti. Non è la puzza di morte. È diverso, è sicuramente qualcos'altro ma non riesco a capire cosa.

Ho la cravatta che mi stringe il collo, mi sento soffocare. Non ho perso solo un pilastro oggi, ne ho persi due, e sembra che mi stia tutto crollando addosso. Nonna è stata magnifica, dal primo momento che l'ho incontrata, l'ho amata con tutto me stesso perché è anche grazie a lei se faccio parte di questa famiglia.

Greg, il nonno, mi ha letteralmente frantumato il cuore. Nonostante sappia chi è nonno Devon, è Greg che mi ha visto crescere e il solo pensiero di averlo visto spegnersi pian piano, di averlo visto svuotarsi dell'amore che nutriva per la vita dopo aver perso la sua... mi ha fatto inginocchiare. Nonna Grace era tutto per lui. Girava tutto intorno a lei. Sapere di averla persa per sempre lo ha rotto e così, dopo pochi giorni, si è spento anche lui, pronto a riunirsi insieme alla sua amata. Qui siamo rimasti noi, spezzati e con il cuore in mano da un lato, sereni di sapere che adesso si sono di nuovo riuniti dall'altro. È... complesso. Mi mancheranno da morire.

Tiro su col naso e sbatto le palpebre, mi fanno male a causa del pianto ma non importa. So che starò meglio, che il tempo guarirà la ferita ma al momento non è facile lasciar correre niente.

Sento di nuovo quella sensazione. Di che si tratta? Cos'è che mi incatena al suolo?

Sollevo il capo e punto lo sguardo vicino a un grande albero. Aggrotto la fronte, incapace di credere a cosa sto vedendo. Deve essere un'allucinazione. Per forza.

Sbatto le palpebre ancora una volta ma lei è lì, non svanisce.

Mi chino, sfiorando l'orecchio di Luke. «Dimmi che ho le allucinazioni e non è lei quella che sto guardando.»

Mio fratello punta gli occhi nella stessa direzione e rilascia l'ennesimo sospiro, poi torna a fissare le bare senza darmi una risposta, anche se in realtà me l'ha già data. Faccio lo stesso perché siamo al funerale dei miei nonni e non posso fare scenate.

Il cuore, quieto fino a pochi secondi fa, sembra aver ripreso a pompare furioso nella cassa toracica e la cosa mi infastidisce parecchio. Sento montare la rabbia, ma non posso. Devo trattenermi.

A fine funzione, guardo di nuovo nella sua direzione e mi avvicino. Lei si è già voltata ma sventola una mano in aria quando si accorge di star per cadere a causa di alcune radici che non aveva visto. È istintivo, da parte mia, agguantarle il braccio e sostenerla per non farla schiantare al suolo. Si meriterebbe di cadere, di rovinarsi quelle belle gambe che ho adorato per tanto tempo, ma come ho già detto, non è il momento adatto.

Lentamente, gira il capo nella mia direzione e quando i miei occhi si scontrano con due pozze azzurre, lo shock mi travolge da cima a fondo, un po' come quello che sta succedendo a lei.

«Che diamine ci fai tu qui?» ringhio, incapace di contenere la rabbia stavolta.

È troppo.

Il viso innocente ma maturato, gli occhi limpidi e ancora più chiari a causa del freddo, le guance arrossate e le labbra screpolate.

No. Non ce la faccio. Mi dilania averla così vicino dopo cinque cazzo di anni.

La trascino fuori, tenendola ancora per il gomito, non voglio fare scenate nello stesso luogo in cui abbiamo appena sepolto due delle persone più care a noi, ma la rabbia è talmente tanta che faccio fatica a non farla strabordare.

«Ti ho chiesto che ci fai qui?» sibilo. Pretendo una risposta e la otterrò.

Apre la bocca ma niente ne viene fuori.

«Ehi, amico» sento Lanny avvicinarsi.

Lui, Gabe e gli altri mi porgono le condoglianze ancora una volta e, dopo aver lanciato uno sguardo curioso a lei, mi dicono che mi vedranno lunedì in caserma.

Finalmente, mi guarda dritto negli occhi e, con il più fioco dei sussurri mi informa che sto stringendo troppo la presa.

Mollo subito la stretta attorno al braccio e la vedo massaggiarselo. Merda. Poco fa ho detto che forse vederla ferita non sarebbe stato tremendo visto il modo in cui ha ferito me e il modo in cui continua a farlo, ma adesso che la vedo sfregare il segno che le ho lasciato io, una sensazione di nausea mi assale. Non le farei mai del male, eppure, l'ho appena fatto.

Cazzo.

«Ti ho fatto male?» domando da perfetto idiota. Certo che è così.

«No. Ma di sicuro hai una bella presa» mormora in risposta.

«Te lo domando per l'ultima volta: perché sei qui?» passo una mano tra i capelli con fare nervoso.

«Gliel'ho chiesto io. Adesso lasciala stare» si avvicina zia Vivienne.

È svelta ad allontanarsi da me. L'ho ferita e... merda, non posso credere di aver stretto la presa così tanto. Non volevo farlo davvero. La vedo stringere zia in un caldo abbraccio e questo mi fa infuriare ancora una volta. Non può venire qui e comportarsi come se niente fosse accaduto, come se non avesse passato gli ultimi cinque anni lontano da me, da questo posto.

«Zia.»

«Piantala, Michael. Non sono in vena, va bene?» alza una mano interrompendomi. «Va' da tua madre, non si regge nemmeno in piedi» sospira.

Vorrei scuoterla e farle capire che deve stare lontano da lei, che molto probabilmente se ne andrà di nuovo e la ferirà, proprio come ha fatto con il sottoscritto, ma non faccio nulla di tutto questo. Mi allontano, pronto a mostrare il mio sostegno alla donna che mi ha messo al mondo. Riesco solo a sentire le sue ultime parole: «Ti porto a casa? Poi giuro che me ne vado.»

Ed è brava ad andarsene, lo sappiamo bene entrambi.

Lo ha fatto una volta.

Lo farà un'altra ancora.

Non sono nemmeno più certo di voler sapere perché è svanita dalla mia vita dopo due anni passati alla grande.

La cosa che più mi fa incazzare è il fatto che oggi sono qui per i miei nonni, per i pezzi di cuore che ho perso e invece sembra essere lei la protagonista dei miei pensieri. Solo lei.

Sempre e solo la fottuta Winter Reynolds.

Sempre e solo quella che credevo sarebbe stata la donna della mia vita.

Non mi ero mai sentito in quel modo prima di incontrarla a un pranzo a casa di zia Vivienne. Non avevo capito cosa significasse rimanere folgorati, innamorarsi a prima vista. Credevo fossero tutte stronzate da romantici e invece... la vedo e perdo la testa per lei, una sedicenne di cui non conoscevo nemmeno il nome o il cognome ma che volevo prendesse all'istante il mio. Follia pura, eh? Già, lo so bene.

E fila tutto a meraviglia per due anni, ci innamoriamo, esploriamo i nostri corpi, i nostri sentimenti per la prima volta e anche se ci sono problemi, li affrontiamo pian piano, o almeno, così credevo.

Poi discutiamo e il giorno dopo non c'è più traccia di lei.

Se n'è andata.

Svanita chissà dove.

Mi ha spezzato il cuore e adesso, voglio che lei provi la stessa cosa che ho provato io.

Adesso, spezzerò il suo.

Non permetterò di farla sentire a suo agio con la mia famiglia, non se lo merita.

Ha preferito mollare ogni cosa, mollare me, il nostro amore? Benissimo. Che se ne assuma le responsabilità.

Non le renderò le cose semplici, questo è certo.

È una cazzo di promessa.

𝐃𝐄𝐕𝐎𝐍, 𝐇𝐀𝐑𝐑𝐘, 𝐌𝐈𝐂𝐇𝐀𝐄𝐋, 𝐑𝐎𝐍𝐀𝐍Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora