Tre

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Tornare a Boston e presentarmi alle sei del mattino a casa della mia migliore amica non è stato uno dei momenti più alti della mia vita, devo ammetterlo, ma avevo bisogno di lei e così l'ho fatto. Avery e Devon mi avevano accolto in casa loro e lasciato riposare sul divano. Il giorno dopo, mentre loro erano al lavoro, mi ero svegliato con un peso sul petto, metaforicamente e fisicamente parlando. Avevo aperto gli occhi e mi ero scontrato con un ammasso di pelo rannicchiato sul petto, mi guardava curioso e attento, cercando di capire se fossi un nemico o un semplice idiota colossale. Opterei per la seconda. Avevo allungato la mano e lo avevo accarezzato. Il furetto, Furia, si era spinto contro di essa e aveva iniziato a fare uno strano verso. Non ho idea di come si chiami il suono che fanno, ma era come una sottospecie di squittio. Inutile dire che avevo passato la giornata ad autocommiserarmi mentre giocavo con Furia e le scarpe di Devon – a quanto pare sono la cuccia ufficiale del furetto, vive lì dentro.

Il secondo giorno Devon – sì, non Avery – mi aveva tartassato di domande sulla sua migliore amica, chiedendomi se stesse bene, se l'avessi ferita o altro. Mi ero limitato a informarlo che avrebbe finito di trascorrere la luna di miele a Mahé da sola e che non volevo aggiungere altro, poi me l'ero filata al lavoro. Ho un'associazione che di sicuro non si manda avanti da sola.

Oggi, il terzo, la coppietta è fuori sempre per lavoro. Devon è nervoso, Avery preoccupata. Lo vedo da come mi guardano che vorrebbero strapparmi più informazioni possibili, il fatto è che non ho la minima voglia di parlare con loro o di farlo in generale. Penso che domani chiamerò Ronan e occuperò la sua stanza per gli ospiti, non ho voglia di stare ancora tra i piedi della mia migliore amica e del suo ragazzo. E di sicuro non voglio che discutano a causa mia.

«Ciao, bello» accarezzo la testolina del furetto e lui si affretta ad arrampicarsi su per le gambe e la schiena, fino a sistemarsi attorno al collo.

Avery mi ha accennato che è una cosa che gli piace fare e a me non da fastidio, quindi, poggio una mano sul suo corpicino e mi avvicino alla dispensa. Recupero il necessario per preparare del caffè e un sandwich al tonno, visto che ho concluso prima la giornata e non ho ancora pranzato – non che abbia chissà quale appetito.

Ho appena finito di preparare il sandwich quando la porta di casa si apre e Avery fa la sua comparsa.

«Ehi» mi saluta.

Furia zampetta giù dal mio corpo e saetta in direzione della mia migliore amica.

«Ciao, amore. Ti è mancata la mamma? Come ti tratta zio Harry, eh?» la mora accarezza il furetto e lo sbaciucchia dove può. «Ma sì che mi sei mancato anche tu.»

Ignoro la conversazione e prendo un sorso di caffè caldo. «Sei in pausa?»

«Hm-hm. Dovevo passare a lasciare da mangiare a Furia, non sapevo ci fossi tu» dice raggiungendomi.

«Ho finito prima.»

«Harry» sospira avvicinandosi. Mi avvolge le braccia attorno ai fianchi e poggia la testa sul mio petto. «Devon sta dando di matto perché Aurora ha il cellulare spento. Stanno sclerando tutti di brutto. Posso sapere se è grave o meno? Non l'avresti lasciata da sola.»

«Se lo ha spento, forse non vuole sentirvi, no? Ha le sue ragioni, io le mie» ribatto.

Lei aggrotta la fronte. «Non capisco. Sei pazzo di lei da sempre. Deve essere successo qualcosa di grosso per... per portarvi a questo punto durante la vostra luna di miele.»

«Mi serve tempo per sbollire, Avery. Puoi evitare di fare domande? Ne parlerò quando sarò pronto. Al momento voglio solo andarmene a dormire.»

«Certo che puoi prenderti del tempo. Ma siamo preoccupati e tu-»

«Io non ho fatto niente» sbotto. «Sono incazzato, ma questo non vuol dire che abbia fatto qualcosa. È una situazione particolare e non voglio aggiungere altro. Ti prego.»

Avery mi accarezza la schiena e annuisce. «Hai ragione. Scusa. Non voglio pressarti.»

«Non importa. Domani vado da Ronan. Non mi va di starvi ancora fra i piedi e rischierei di creare casini con Devon» l'avverto.

«Puoi restare tutto il tempo che vuoi, Harry, non dirlo nemmeno» scuote il capo. «Solo, non capisco nemmeno perché tu non voglia tornare a casa.»

Perché quella soglia avrei dovuto varcarla con lei. Perché è mia moglie. Perché quello è il nostro posto sicuro e non voglio contaminarlo con i miei pensieri negativi e angoscianti. Tornerò a casa solo quando avremo chiarito e al momento... al momento non me la sento ancora di farlo. Mi sento così tanto ferito, deluso. Da un lato vorrei solo stringerla tra le braccia e sussurrarle che va tutto bene, dall'altro vorrei scuoterla e dirle ancora che ci sarei stato, che avrebbe dovuto dirmelo senza temere nulla perché non l'avrei mai e poi mai giudicata.

I primi due giorni ho covato rabbia, non posso negarlo. Ho rigettato tutto su questo sentimento perché era la cosa più ovvia da fare, ma stamattina è cambiato tutto. Non sono più arrabbiato con lei. Sono solo ferito. Ed è chiaro che la perdonerò, non ha commesso alcun reato penale o chissà che, ma voglio mettere la testa a posto e supportarla, non voglio sputare sentenze o frasi avvelenate rischiando di ferirla ancora. Io la amo e ha commesso un errore, o per lo meno, avrei tanto desiderato che me ne avesse parlato prima, ma adesso le cose stanno così e non si può tornare indietro. Devo solo prendermi dell'altro tempo per convincermene e poi andarla a cercare.

Restare qui, a casa del suo migliore amico, con cui ha condiviso un grande trauma non è l'ideale per me. Mi piace la compagnia di Avery, adoro il piccolo furetto che, tra una cosa e l'altra, ho incontrato solo tre giorni fa, ma non posso continuare a rimanere. Devo radunare le valigie che ho a malapena aperto e lasciare questo posto.

«Tieni, prendi questo» le cedo il sandwich che non ho toccato. «Io non ho più fame. È col tonno.»

«Harry. Hai salato la cena tutte le volte. Praticamente ti vediamo solo di sfuggita la mattina e quando torniamo dal lavoro. Non puoi non mangiare» mi riprende.

«Mangio più tardi, stai tranquilla» sospira.

«Giuro, non ti urlo contro perché sembri un cucciolo preso a calci. Ma non farmi preoccupare più di quanto già non lo sia, mi hai capito?!»

Annuisco e l'abbraccio ancora una volta. «Sei la migliore delle amiche.»

«Certo che lo sono. Vedi di ricordarlo a quel tuo amico riccone» borbotta sul mio petto.

Questo mi causa una risatina. Ed è sorprendente sentirla dopo tre giorni di mutismo. «Ti voglio bene, cavernicola.»

«Ehi!» mi pizzica il braccio.

«Stavo ripercorrendo il viale dei ricordi» mi difendo.

«Ripercorrilo da solo, stronzo» sbuffa.

Non ribatto, me la stringo un altro po' e poi la lascio andare. «Vado a riposarmi un paio di orette.»

«Va bene. E... Harry?» mi richiama quando sto uscendo dalla cucina.

Mi volto nella sua direzione e la guardo. «Che c'è?»

«Ti voglio tanto bene anche io.»

Le sorrido e annuisco. Lo so che me ne vuole. E so anche che è una delle persone migliori che abbia mai conosciuto. Sono grato di aver lasciato il mio periodo da stronzo fuori dalla mia vita e che Avery mi abbia dato una possibilità. È in grado di farmi sorridere anche quando non voglio e lo dimostra il momento che abbiamo condiviso poco fa.

Mentre mi chino sul divano, i pensieri volano a una certa mora che dovrebbe già essere tornata a Boston e con il ricordo dei suoi occhi profondi, le palpebre si appesantiscono e crollo nel sonno.

𝐃𝐄𝐕𝐎𝐍, 𝐇𝐀𝐑𝐑𝐘, 𝐌𝐈𝐂𝐇𝐀𝐄𝐋, 𝐑𝐎𝐍𝐀𝐍Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora