Capitolo otto

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Il vento fuori sbatte alle finestre, pareva volesse entrare

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Il vento fuori sbatte alle finestre, pareva volesse entrare. Soo-Min era seduto allo sgabello - rannicchiato in una sorta di squat - di fronte al cavalletto da terra in legno, mentre disegnava sul foglio. Le cuffie senza filo, indossate tipo frontiera, sulla testa.

All'improvviso sua madre entra nella stanza e si lamenta del disordine. Così chiude gli occhi e si concentra sulle parole della canzone.

Sto aspettando il mio momento per cominciare
Mentre lo spreco
Mentre lo spreco

Stava perdendo le speranze: quella di trovare nuovi amici, di trovare un fidanzato.

Tutti gli dicevano fosse un ragazzo fantastico e chiunque sarebbe stato fortunato ad averlo, ma a volte gli sembrava il contrario. Sapeva che non ci fosse nulla di sbagliato in lui, ma a volte gli sembrava che ci fosse. Sapeva di avere così tanto amore da dare, ma la paura di non essere abbastanza per essere amato lo paralizzava.

Si sentiva come se stesse aspettando qualcuno che non arriverà. Una persona che aveva perso il treno e aveva deciso di tornare a casa, senza farglielo sapere.

Quando Soo-Min riapre gli occhi non c'era più il disordine di prima, quella non era più la sua camera, e di sua madre neanche l'ombra.

Si trovava a Gwanghwamun Square. La piazza. Un luogo pubblico, ma allo stesso tempo uno si sente protetto dal caos della città, una specie di oasi dove non sentirsi oppressi dalla routine della vita.

Nelle orecchie giurava ancora di distinguere le note della canzone, mentre in silenzio portava a termine il disegno, ogni volta come se fosse l'essenza stessa del suo essere. Ma forse l'arte è sempre stato questo, l'essenza stessa della nostra umanità.

Ora di disegno artistico.

Infondo c'era un ragazzo misterioso che lo guardava. D'un tratto si avvicina, ma rimane distante. Dietro di lui. Era stato in quel momento che aveva sentito la sua voce. «Sei bravo.»

Soo-Min si gira. «Grazie», poi lo aveva guardato con sospetto e gli aveva dato di nuovo le spalle.

«Mi piace quello che disegni» aveva continuato.

«Ti ringrazio.»

«Ma perché gli occhi della donna sono raffigurati senza le pupille?»

Soo-Min aveva accennato un sorriso e aveva risposto, forse con troppa enfasi. «Te lo spiego subito.» Era felice di quella domanda. «Amedeo Modigliani diceva che gli occhi sono lo specchio dell'anima. Prima di incontrare quella di Jeanne Hèbuterne, sua moglie, non aveva mai dipinto gli occhi di nessuno. Lei è stata la prima.»

«Come dargli torto. Dopotutto deve essere difficile disegnare qualcosa che non conosci.»

Soo-Min aveva sorriso, per davvero stavolta. «Come ti chiami?»

«Levi. E tu?»

«Soo-Min. Piacere di conoscerti.»

Si erano incontrati senza cercarsi e non erano certi di quanto sarebbe durato

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Si erano incontrati senza cercarsi e non erano certi di quanto sarebbe durato. La verità è che quando si erano incontrati avevano sentito qualcosa che non avevano mai provato.

«Non ho ancora dato il primo bacio. Nessuno mi ha mai comprato del cioccolato per San Valentino. E mentirei se ti dicessi che non mi interessa davvero, ma non posso. Perché è tutto ciò a cui penso ogni giorno. Nessun ragazzo mi ha mai detto che sono bello.»

«Sei bello.»

Soo-Min si copre gli occhi con una mano, tirandogli un cuscino addosso con l'altra. «Fai cagare» biascica, mentre Levi scoppia a ridere. Entrambi scoppiano a ridere. Non c'era modo di fermarli. 

Avevano trascorso molto tempo insieme ad ascoltare nuova musica e a discuterla. Soo-Min aveva imparato che Levi cercava il significato delle parole, una spiegazione nei testi delle canzoni, invece lui le ascoltava e basta.

«Quindi hai detto che sei uno scappato di casa e lavori come cameriere. E vivi da solo?»

«Sì.»

«E com'è?»

«Triste. Ogni volta che torno a casa non spengo mai tutte le luci, ne lascio sempre una accesa, perché mi da come la sensazione che qualcuno mi stia aspettando.»

Soo-Min rimane in silenzio, cercando di dare l'idea di star pensando a cosa dire ancora, in modo tale che Levi non si sentisse obbligato a parlare. Non voleva questo. Desiderava che si fidasse di lui, che si lasciasse andare. 

Levi si distingueva molto al di sopra di qualsiasi altra persona che aveva conosciuto. Era difficile da spiegare. Ma era proprio il suo tipo.

Soo-Min solleva le maniche della felpa sopra il gomito, perché erano troppo larghe e gli davano fastidio.

Levi sospira. Era diventato improvvisamente triste. Così gli aveva chiesto. «Va tutto bene?»

«Ti tagli?»

Soo-Min accenna un sorriso. «La mia testa è un casino, Levi. Se non fai questa cosa andrà tutto male, mi ripetevo. Se non la facevo, avrei potuto impazzire. Poi mi hanno diagnosticato con il disturbo ossessivo compulsivo. Un pensiero normale, per me diventa profondo» dice tutto d'un fiato, accarezzandosi le braccia. «Non ne vado molto fiero, forse le coprirò in futuro. Pensavo a un tatuaggio.»

«I disturbi mentali possono essere logoranti, ma è il modo in cui scegli di fare pace con loro, che richiede una vita di considerazione. Non c'è nulla di cui vergognarsi. Oggi sei stato molto coraggioso, Soo-Min.»

Ormai quest'ultimo piangeva. Aveva aspettato tanto che qualcuno lo ascoltasse, riconoscesse il suo dolore e lo rassicurasse sul futuro.

L'attesa n'era valsa la pena.

Poi lo aveva baciato. Si erano baciati. E avevano continuato a farlo. Si erano baciati ancora. Sempre più vicini, i loro respiri che si mescolavano.

«Un giorno ci sarà qualcuno ad aspettarti a casa, Levi.»

So far away (Inspired by the lyrics of SUGA song)Kde žijí příběhy. Začni objevovat