Capitolo otto.

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«Ma che cazzo», sibilai, dolorante.

Tentai di sollevare le mani per liberarmi dalla presa, ma qualcosa di freddo e sottile puntato sulla mia guancia mi fece desistere.

Che diavolo stava succedendo? Perché avevo un fottuto coltello premuto sulla pelle?

Poi il volto sfregiato di Declan apparve nella mia visuale. La cicatrice che gli tagliava la bocca era ancora più orrida da quella vicinanza, per non parlare della sua pelle secca e i denti ingialliti dalla vecchiaia e dal fumo.

Dio, speravo di non arrivare alla sua età con quell'aspetto. Doveva avere una decina d'anni in meno di mio padre, eppure sembrava vecchio il doppio.

E io mi stavo facendo minacciare da un nonnetto. Che schifo di mondo.

Lui sorrise. «Ciao, Raving».

«Ciao, Dec. Puoi dire al tuo amichetto di lasciarmi andare? Stanotte non ho dormito molto bene e mi fa un pochino male il collo».

«Oh, ma certo. Sono desolato».

Gli bastò una veloce occhiata al suo scagnozzo affinché la presa si allentasse, prima di sbattermi di nuovo sulla superficie con ancora più forza.

«Cazzo!», urlai, avvertivo di già lo zigomo gonfiarsi. «Ma che razza di problemi hai?».

Alla faccia del posto più tranquillo. La biblioteca in un attimo si era trasformata in un inferno.

Inspirai a fondo, digrignai i denti e tremai nel momento in cui prese a far scorrere la lama ghiacciata sulla mia pelle senza porsi alcun tipo di problema. Se mi avesse tagliato... anni di skincare buttati all'aria.

«Vuoi sapere che problema ho?», biascicò, divertito, e arricciai il naso dinnanzi al suo alito che puzzava di formaggio scaduto e merda.

«Beh, te l'ho chiest... 'Fanculo!», sbottai quando il bastardo dietro di me mi pestò di nuovo la testa sulla superficie.

«Attento a come parli, ragazzo. Fossi in te imparerei a tenere a freno la lingua, prima che qualcuno decida di tagliartela», mi redarguì Declan. Sibilai quando affondò leggermente la lama nella mia guancia, e un rivolo di sangue mi scivolò giù per il collo. «Intesi?».

Se Declan davvero credeva che me ne fottesse qualcosa della mia stessa vita, allora era un povero illuso. Non me ne fregava assolutamente niente. Potevo morire anche in quel preciso istante.

Forse a quel punto a qualcuno sarebbe davvero importato di me.

Ciononostante strinsi le labbra in una linea retta, perché volevo capire che cosa volesse da me. Non avevo più voglia di assecondare il suo teatrino.

Ero a tanto così dal piantargli il coltello in un occhio.

Lui curvò la bocca in un sorrisetto soddisfatto, che ebbe il risultato di farmi prudere le mani. «Bene, vedo che ci siamo capiti», mormorò, viscido come una serpe. «Sai cosa mi è successo stamattina?».

«Devo tirare a indovinare?».

Mugolai sofferente per lo strattone brutale alla cute che ottenni in risposta. No, a quanto pare non dovevamo giocare a Indovina Indovinello.

«Quando sono tornato dal mio giro di colazioni, ho trovato una busta nella federa del cuscino», continuò, e deglutii, perché sapevo dove stava andando a parare. «Era da parte di un certo Baby J e conteneva più di duemila dollari in contanti. Tutti pezzi da cento. Ma non è stato Baby J a pagare, non è vero,  Raving?».

Un tremito di inquietudine mi si cristallizzò nelle terminazioni nervose. Per un momento smisi addirittura di respirare,  con la pelle ferita che iniziava a bruciare e la presa di coscienza di quanto avevo fatto che mi serrava la gola.

Raving. Ladro di CuoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora