04 | I n v i d i o s o

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«Si può sapere dove sei stato, eh? - ringhiò il moro dopo un lungo silenzio, guardando in cagnesco il più piccolo - Maledizione, Luke! Sono quattro fottutissimi giorni che non ti fai vedere!»

Iniziò poi a camminare avanti e indietro per tutto il salotto, scalciando il vuoto e conficcando le unghie mal messe e mangiucchiate sui propri palmi pallidi, nel tentativo di far scemare la rabbia.

Al vederlo, Luke sorrise amaramente «Tu che ti preoccupi? Seriamente? Non farmi ridere! Piuttosto - soffiò - lasciami in pace!»

«Ma non capisci che mi sento responsabile per te? - dichiarò severo l'altro, prima di rilasciare un finto sbuffo rassegnato - Sei un idiota, davvero un idiota!» Scosse la testa ed abbassò lo sguardo sui propri calzini «Non capisco nemmeno perchè mi sono agitato tanto... Anzi, sai una cosa? Se anche la prossima volta ti venisse l'insana idea di allontanarti senza avvertire considerati morto, hai capito? Ti ignorerò»

«Zitto Hood, sta zitto»

Il biondo lanciò uno sguardo di fuoco al coinquilino e si avviò a grandi falcate verso la propria camera, chiudendo bruscamente la porta dietro di sè. Si sedette sul letto e si massaggiò le tempie dolenti: nella testa lui, di pensieri confusi e vorticanti, ne aveva già troppi, ed era sicuro che prima o poi questa gli sarebbe scoppiata, con o senza le lamentele del moro.

«Non è finita qui, biondino!» urlò Calum dall'altra parte dell'appartamento, prima di prendere un sacchetto di patatine e sdraiarsi sul divano sbuffando. Luke lo stava ignorando? Beh, il moro avrebbe fatto altrettanto.

+

Il ragazzo camminò silenziosamente lungo quella stradina buia, fissando con poco interesse le punte delle proprie converse nere e consunte. Il vento - freddo, immaginò lui - scompigliò un paio di volte il suo ciuffo, costringendolo a portarsi la mano, adornata dallo spesso anello d'argento, sulla fronte, pur di spostarsi dagli occhi le chiare ciocche. Da lontano, chiunque avrebbe potuto paragonare Luke ad un angelo, con quei capelli color oro e la pelle candida, e, da vicino, tutti sarebbero rimasti colpiti da occhi così azzurri e dalle quelle dolci fossette che apparivano ogni volta che muoveva le labbra.

Se solo quelle persone, poveri esseri illusi, avessero conosciuto la verità! Se solo avessero immaginato cosa sarebbe accaduto dopo aver incrociato quegli occhi, o dopo aver sguadrato quelle labbra lisce, leggermente in contrasto con la pelle bianca. Se solo qualcuno li avesse avvisati, messi in guardia, che dietro a quei pozzi color cielo e a quelle mezzelune carnose, non si nascondeva che lei, la morte.

Ed era proprio come l'angelo della morte Luke Hemmings, mentre si aggirava silenziosamente per le strade più buie di Londra. Un celestiale boia, dall' immortalità luminosa, venuto a prendere quelle povere anime mortali, quando giungeva la loro ora, per poi portarle sul patibolo. Bello e dannato.

Aumentò il passo e si infilò in un vicolo privo di illuminazione, prima di arrampicarsi e salire sul tetto. Da lì, poi, continuò la strada verso la villa (che nemmeno si era reso conto di aver preso), iniziando a correre ed a sfrecciare nella notte.

Il tutto, sotto lo sguardo di un lontano ed indifferente cielo londinese, limpido e privo di nuvole. Così nitido e quasi trasparente che avrebbe permesso, a chiunque avesse alzato lo sguardo, di vedere quei miliardi di astri bianchi e brillanti che lo illuminavano, e, magari, anche qualche straccio rubato della via Lattea. Anche Luke, quasi giunto a destinazione, si fermò ad ammirare quelle piccole stelle luminose, che parevano perse, in quella grande massa scura.

Una massa profonda e bluastra come gli occhi della sua Sfavilla.

+

Si concesse qualche secondo per captare possibili movimenti nella casa, accertandosi che i genitori della bambina si fossero addormentarti, e si affacciò alla culla.

Si avvicinò ancora, silenziosamente, per poterla guardare un pò più da vicino, e questa, sentendo il respiro freddo del ragazzo sulle guanciotte, aprì gli occhi.

Lo riconobbe subito, regalandogli uno dei suoi più luminosi sorrisi.
Luke, dal canto suo, la guardò perplesso, scrollando poi le larghe spalle indifferente.

Eppure, una volta aver fatto sfarfallare le proprie ciglia, rimase quasi sconcertato da tutte le tonalità di blu che quegli occhioni, che aveva dinnanzi, parevano contenere.

La Sfavilla si lasciò scappare una risatina, al quale il biondo non potè resistere, ed allungò le piccole braccia cicciotte verso di lui, desiderando di essere presa in braccio.

«Eh no, non ci pensare neanche - Luke si allontanò leggermente schifato - non ti prenderò in braccio se è questo che vuoi, piccolo mostriciattolo. Scordatelo»

La piccola, prendendola per una risposta affermativa, iniziò a lanciare urletti contenti ed abbastanza rumorosi.

«Okay okay, calmati, così rischi di svegliare i tuoi genitori. Shh...» allungò, rassegnato, le proprie braccia fredde e pallide verso di lei, alzandola e stringendola goffamente al proprio petto.

Lanciò alla Sfavilla uno sguardo truce e «Certo che sei proprio una rompiscatole, eh? Ew! Guarda che schifo!» borbottò, quando lei, emettendo versetti soddisfatti, gli circondò il collo in un abbraccio e gli stampò un bacio umidiccio sulla guancia.

Dopo qualche secondo cercò di staccarla da sè, ma dato che ormai quel piccolo bradipo pareva essersi ancorato al suo collo, il ragazzo decise di cogliere quell'occasione per esplorare la cameretta.

Osservò divertito la multitudine di giocattoli sparsi sul pavimento e il lettino rosa ancora mai usato, soffermandosi poi sulle fotografie poste sopra la cassettiera.

E di tutte, raffiguranti la bambina ed i suoi genitori, una sola lo colpì particolarmente.

Era una delle più grandi e ritraeva la piccola, adagiata sul passeggino e probabilmente appena portata a casa dall'ospedale, vicino ad un tavolo con sopra una grande torta bianca e rosa e un 'benvenuta Kathleen' scrittovi con la glassa.

«E così tu saresti Kathleen? Hai un nome e non me lo hai mai detto?» scherzò il biondo, mentre la bambina lo guardava con occhi colmi di adorazione.

Kathleen.

A Luke piaceva un sacco quel nome, e lo ripetè a bassa voce più e più volte, piegando le labbra in un timido sorriso. Gli sembrò perfino di poterne percepire il sapore, un'essenza simile alla vaniglia, e rimase quasi amaliato dalla dolce melodia che la sua voce creava pronunciandolo.

«È carino, dai. Ma penso che ti chiamerò Katy» sorrise, tornando a fissare la fotografia che, se avesse potuto, avrebbe rubato ed infilato nella tasca dei jeans, solo per poterla vedere e rivedere a piacimento.
Avrebbe passato ore intere, sdraiato sul letto, a rigirare quella foto tra le mani, con un sorriso ebete stampato in faccia e la consapevolezza che ormai quella piccola, rumorosa, rompiscatole, appiccicosa e tenera creatura era sua. Sua per davvero.

E Luke Hemmings amava e proteggeva ciò che era suo con tutto se stesso.

. . .

"All'inizio l'aveva odiata, odiata nel profondo.
Odiata come era solito arrivare ad odiare le cose belle, anzi, quelle troppo belle.
Quelle che Luke, per quanto grandi fossero i suoi sforzi, non riusciva mai a smettere di guardare, di bramare, continuando poi, stupidamente, a sperare che così facendo esse potessero entrargli dentro, divenendo parte di lui.
Continuando a sperare, ancora ed ancora, di potersi appropriare per sempre della loro bellezza, della loro essenza, della loro luce.
Eppure lui, al di là di ogni sogno, già sapeva, già sapeva che nulla di tutto quello sarebbe mai accaduto. E allora iniziava ad odiarle, quelle cose troppo belle, desiderando, nel profondo, di poterle distruggere, smembrare, scomporre.
Di poterle cancellare dalla faccia della Terra una volta per tutte.

E Luke, lei, l'aveva odiata in quel modo acceso e bramoso che solitamente riservava solo alle cose troppo belle.

Ma tanto si sa, se troppo odi una cosa, a giochi fatti, finisci per l'amarla."

Dreamcatcher ✝ luke au (sospesa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora