41. Sicurezza e preoccupazione

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Pranzarono con panini al prosciutto cotto e maionese, preparati da Tommaso quella mattina. Si godettero il cibo e non chiacchierarono come prima, anche perché ognuno era perso nei propri pensieri.

Michelangelo cercava in tutti i modi possibili di ignorare la voce che gli suggeriva che tra i suoi due migliori amici ci potesse essere del tenero. Sapeva che non era vero, ne era certo, eppure non riusciva a smettere di pensarci. Era un chiodo fisso ed era assai fastidioso.

Voleva liberarsene una volta per tutte, così si fece coraggio e domandò: "Avete qualcosa da dirmi?". Poi osservò con crescente trepidazione i loro volti, per scorgervi anche la minima reazione alle sue parole.

Tommaso voltò la testa verso di lui e corrugò la fronte. Federico, invece, abbassò lo sguardo sui suoi piedi, penzolanti nel vuoto. Infatti i tre ragazzi erano seduti su un muretto che separava il marciapiede dal giardino di una casa piuttosto fatiscente.

"Io sì" sussurrò il corvino. "Ecco... mi sono iscritto a un paio di test di ammissione all'università".

Michelangelo abbassò involontariamente le spalle. Si sentiva leggermente deluso, sebbene non ne capisse il motivo. Si era aspettato qualcosa di più da quella risposta, ma allo stesso tempo era contento che si trattasse solo di quello.

"Oh, Fede, e perché non ce l'hai detto prima?" gli chiese Tommaso sorridendo e alzando con un dito il mento del suo amico, in modo che si potessero guardare direttamente negli occhi.

"Non lo so. Forse volevo lasciarvi vivere ancora per un po' nella speranza che non sarei andato a studiare lontano, dato che i test a cui mi sono iscritto sono di università dall'altra parte del Paese, oppure avevo semplicemente paura che non foste d'accordo".

"Come potremmo non essere d'accordo? Noi vogliamo che tu segua il tuo cuore. Non pensare a noi e prova a entrare in tutte le università che vuoi... anche se non so se ci riuscirai, considerando quanto poco cervello ti ritrovi!" scherzò il rosso, per poi abbracciare affettuosamente il suo migliore amico.

"Grazie, eh!" esclamò il corvino, offeso, senza tuttavia allontanarsi dalle sue braccia.

"Che ci vuoi fare, è Tommaso" lo difese Michelangelo, sorridendo alla vista di quei due che si abbracciavano. "Comunque, Fede, per una volta concordo pienamente con pel di carota. Non pensare a noi e segui la tua strada, almeno tu che ne hai una...".

"Tu proprio non hai idee, Michi?" gli chiese Federico, corrugando le sopracciglia e sciogliendo l'abbraccio.

"Lo sai, io non ho nessun sogno. Penso che resterò qui, in questa città, o al massimo in questa regione. Io non sono come te, Fede. Io non ho voglia di andare lontano, perché ho tutto ciò che mi serve proprio qui".

"Secondo me non è vero, ma rispetto la tua scelta. Dev'essere bello pensare di restare accanto alla propria famiglia e ai posti in cui si è cresciuti. Se non avessi il desiderio di vedere un altro pezzo di mondo e imparare a vivere da solo, credo che ti invidierei e non poco" disse il corvino, di nuovo allegro, poiché era riuscito a confidarsi con i suoi migliori amici.

"Io non so come possiate essere così sicuri di voi stessi. Io andrò dove mi prenderanno, punto. La cosa importante, però, è non restare qui. Sai che brutto, sennò, doversi sorbire ancora questo ragazzo?" fece Tommaso, indicando Michelangelo e ridendo allegramente.

Il castano scosse la testa, ma non riuscì a trattenere anche lui una risatina. Poi tutti e tre si rimisero a mangiare i loro panini.

Michelangelo sapeva che quello era il momento perfetto per parlare ai due di Ginevra. Aveva le parole sulla punta della lingua e tutto ciò che gli serviva era un pizzico di coraggio per pronunciarle.

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