26. Una storia già sentita

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Quella sera Michelangelo decise di andare a letto presto, perché sapeva che non sarebbe riuscito a combinare niente, dato che la sua mente era occupata da Ginevra.

Purtroppo il brulichio di pensieri non volle lasciarlo in pace nemmeno quando il ragazzo spense la luce e si infilò sotto le coperte. Nel buio e nel silenzio più totali, Michelangelo ripensava al pomeriggio appena trascorso, a ogni singola parola e a ogni singola azione.

Oltre a ciò, ripercorreva tutti i momenti che avevano vissuto lui e la corvina da quando si erano conosciuti. Cercava di analizzarli uno a uno, per la prima volta osservandoli sotto una luce nuova.

Infatti quel giorno le cose erano cambiate. Ormai era sicuro di piacerle, perché lei lo aveva baciato.

Fiumi di parole riempivano la sua mente e stralci di conversazioni passate risuonavano nel silenzio della sua stanza. In mezzo a tutto questo, comparivano gli occhi grigi della ragazza, le sue labbra, il suo naso, i suoi capelli neri, i suoi vestiti, il suo profumo, il suo sorriso e ogni sua espressione.

Ginevra gli riempiva la mente e il cuore, proprio come era accaduto tante altre sere prima di quella.

Michelangelo voleva parlarle, voleva sentirla confessare i propri sentimenti e voleva confessarle i suoi. Voleva rivederla e baciarla ancora.

Il suo viaggio di pensieri ed emozioni lo portò ad addormentarsi solamente alle tre di notte.

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Aveva creduto che il giorno seguente sarebbe stato stanco morto, ma in realtà il pensiero di Ginevra lo tenne sveglio anche durante il corso delle ore scolastiche.

Sveglio, ma non attento e concentrato. Alcuni insegnanti lo richiamarono sventolandogli una mano davanti alla faccia e i suoi migliori amici lo guardarono confusi, non riconoscendolo più, ma a Michelangelo tutto questo importava assai poco.

Tra le varie cose, rifletteva anche sul fatto che prima o poi avrebbe dovuto dire ai suoi genitori di Ginevra. Già temeva di vedere la loro reazione, eppure ciò che gli faceva più paura era la prospettiva di comunicarlo a Tommaso e Federico.

Ricordava bene il patto che loro tre avevano siglato soltanto poche settimane prima, il patto che stabiliva che nessuno di loro avrebbe avuto una ragazza fino al termine dell'anno scolastico, così da avere tempo da dedicare esclusivamente alla loro amicizia.

Michelangelo si chiedeva se lo avrebbero perdonato o se si sarebbero arrabbiati. In ogni caso, voleva rimandare il più possibile quello spiacevole momento.

Non voleva vedere la delusione negli occhi dei suoi migliori amici, per questo aveva intenzione di aspettare ancora un po'.

Intanto avrebbe dedicato la maggior parte del suo tempo a Ginevra e avrebbe cercato di capire quali fossero le sue intenzioni. Un bacio, d'altronde, per lui non significava necessariamente stare insieme, anche se lo desiderava dal più profondo del suo cuore.

Michelangelo pensò anche alla danza. Ormai non aveva più senso andarci allo scopo di incontrare la corvina, perché era sicuro che si sarebbero potuti vedere comodamente in altre occasioni.

Per non parlare del fatto che quel corso gli rubava parecchio tempo e che sarebbe sempre stata quella cosa di cui i suoi genitori lo avrebbero rimproverato e per cui persone come Patrick lo avrebbero preso in giro.

Tuttavia sapeva che non avrebbe mollato. Nonostante lo conoscesse da poco, quel mondo lo attraeva e non avrebbe avuto senso rinunciarci dopo tutto ciò che a causa sua aveva dovuto passare.

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"Allora, da che parte si comincia?" domandò Federico.

Michelangelo osservò attentamente il limite matematico che aveva davanti, scritto in cima alla pagina del suo quaderno, e in pochi secondi capì come affrontarlo.

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