6. Il manicomio abbandonato

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Camminarono per un bel pezzo. Zeno e Ginevra si tenevano sempre a braccetto, mentre dietro di loro Michelangelo non riusciva a smettere di osservarli, leggermente infastidito, nonostante facesse di tutto per convincersi del fatto che essendo ottimi amici, quei due ragazzi avevano il diritto di tenersi in quel modo. Chi era lui per esserne contrario?

Arrivarono in una zona piuttosto degradata della città, dove molti edifici erano abbandonati. A un tratto il castano lanciò un'occhiata al cartello che indicava il nome della strada che stavano percorrendo e sgranò gli occhi rendendosi conto che era la stessa via indicata da Ginevra sul foglietto di carta che gli aveva dato il giorno prima.

Gli vennero i brividi. Ovviamente la corvina aveva già in mente di portarli lì, ma come poteva sapere che si sarebbero incontrati proprio il giorno dopo?

Zeno non poteva avere avuto già intenzione di chiedergli di trovarsi in biblioteca a studiare matematica, quindi la corvina aveva provato a indovinare? Oppure aveva suggerito lei stessa a Zeno di chiedere a Michelangelo di trovarsi in biblioteca?

Michelangelo scosse la testa e decise di abbandonare per un po' quei pensieri confusi. Qualsiasi cosa fosse avvenuta, in quel momento lui era lì, nella periferia della città, insieme a Zeno e Ginevra, e già quella era una cosa sbalorditiva.

La ragazza condusse gli altri due verso un edificio in parte coperto dalla vegetazione. Disse loro che si trattava di un manicomio abbandonato.

Michelangelo si chiese come potesse sapere che si trattava proprio di un manicomio, ma preferì non domandarglielo.

Dopodiché Ginevra lasciò andare il braccio di Zeno e si fece avanti, per spostare senza esitazione una palizzata di ferro.

"Ci sei già venuta?" le chiese Michelangelo mentre percorrevano il breve vialetto di ghiaia che portava all'edificio.

La ragazza annuì. "Ci vengo spesso, a dir la verità".

Quel manicomio doveva essere stato abbandonato durante i lavori di costruzione, perché alcune parti dell'edificio erano rimaste incompiute. Eppure forse erano proprio quei dettagli imperfetti a conferirgli un certo fascino.

Ginevra li guidò all'interno. Attraversarono l'atrio muovendosi con cautela. Sul pavimento di cemento erano cresciute delle erbacce e qualche rifiuto era stato accumulato in un angolo. Grandi ragnatele pendevano dal soffitto e alla scala di cemento che si ergeva di fronte ai tre ragazzi mancava un pezzo di ringhiera.

Senza dire una parola i tre giovani avanzarono in quel posto silenzioso, guardandosi attorno e facendo attenzione a dove mettevano i piedi, nel tentativo di evitare travi di legno, pietre e sterpaglie, che lì abbondavano.

Ginevra li guidò attraverso alcune stanze, in cui grandi aperture sostituivano le finestre e la polvere danzava nell'aria.

Infine giunsero sul retro dell'edificio, che dava su una fitta boscaglia.

Un soffio di vento li investì in pieno e scompigliò i capelli neri di Ginevra. Sbuffando la ragazza se li scostò dal viso e poi indicò a Zeno e a Michelangelo una scala di servizio, che saliva fino all'ultimo piano.

"È più sicura di quella che avete visto prima" spiegò.

Gli altri due annuirono e la seguirono su per le scale, fino al tetto. Era piatto e di cemento e probabilmente sarebbe dovuto essere l'ennesimo piano dell'edificio.

Appena vi posò piede, Michelangelo capì perché a Ginevra piacesse tanto quel posto. Da lì si godeva di una vista magnifica.

Osservò la boscaglia sotto di loro, gli edifici grigi e ammassati e in fondo una striscia azzurra, il mare.

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