56. Darling, all of the city lights never shine as bright as your eyes

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Si gratta una tempia con il dito, nel punto in cui i capelli sono leggermente più corti e le orecchie rimangono scoperte.
Lo vedo pensare e negli istanti di silenzio che seguono, spero che possa passare del tempo insieme a me, perché ne ho davvero bisogno.

«Pomeriggio. Dalle dodici alle diciotto, se tutto va bene e mi lasciano tornare a casa per cena» risponde, «Perché? Volevi fare qualcosa? So che ti annoi a stare da sola tutto il giorno. Mi dispiace di non essere presente in queste ultime settimane».

Annuisco flebilmente, «Non dispiacerti, non è colpa tua. Volevo chiederti di venire con me in spiaggia, ma non fa niente. Puoi passarmi a prendere quando hai finito?».

«Certo, senza alcun problema» beve un profondo sorso di birra per finirla, «Vuoi andare a cena da qualche parte?».

Quel verde mi cattura di nuovo e sono costretta a pungermi con l'unghia il palmo dell'altra mano, per tornare a concentrarmi nuovamente su di lui.

Mi stringo nelle spalle, pensandoci, «Sarebbe carino, so che hanno aperto un nuovo ristorante in centro. Dicono che si mangi bene. Non è nemmeno troppo caro».

Sorride dolcemente, alzandosi dalla sedia con scioltezza. «Vada per quello».

Si ferma davanti alla sedia quando io continuo a parlargli. «Però siamo usciti già due volte, questa settimana».

«Non è un problema, se tu vuoi andarci ci andiamo».

«Sì, però mi dispiace farti spendere continuamente soldi e uscire anche quando sei stanco. Tu lavori, io invece no e non voglio disturbarti o farti stancare».

Mi guarda sconvolto, come se avessi detto una cosa bruttissima e sperasse in tutti i modi di non averla mai sentita. «Innanzitutto non sei in alcun modo un disturbo» mette in chiaro, «Secondariamente, non ci sono problemi di soldi. Lavoro per spendere, tu ed io siamo una coppia e lo sai che non mi piace contare chi spende per cosa e quanto. Ringrazio i tuoi genitori, ma voglio pensare a te anche io, nel mio piccolo e voglio passare del tempo insieme».

Prendo un grande respiro, «D'accordo, scusami. È che dovevo dirtelo, era una pensiero che mi portavo dentro da un po'».

Ci sto provando. Sto facendo del mio meglio per non chiudermi in me stessa e restare a labbra cucite fino a quando tutto non si dissipa e fingiamo di stare bene.

Ce la sto mettendo tutta. Anche se mi sento a disagio a dirgli certe cose ad alta voce e non tenermele per me come faccio sempre. Nonostante non riesca sempre a guardarlo negli occhi mentre gliele dico e anche quando la sua sicurezza è così forte da farmi sentir piccola come una formica.

Voglio credere sul serio di potercela fare, di poter affrontare e superare questo lato di me che ho sempre nascosto con la maggior parte delle persone. So che Scott è importante e che di lui mi posso fidare. Lo sento nel cuore, eppure non è lo stesso facile.

Non si può cambiare per qualcuno. Non lo si può fare in meno di due settimane.
Mi dispiace per entrambi, perché vorrei poter fare di più per noi, anche al costo di dirmi menzogne e farmi credere ciò che non sono.
Eppure, più spingo dentro di me, più una ferita in un'altra parte del corpo si apre.
Perché... non voglio che sia così.

Annuisce, dopodiché alza leggermente un angolo della bocca, mostrandomi un sorriso da togliere il fiato. Così puro e genuino da sembrare lucido come un sole estivo, quello che ti brucia perfino con la protezione cinquanta. E Scott riesce a bruciarmi ogni volta.

«Hai fatto bene a parlarmene, grazie» afferma, «È importante quello che hai fatto, che stiamo facendo. Grazie».

Perché continui a ringraziarmi?

PATENTE E LIBRETTO, SIGNORINA.Donde viven las historias. Descúbrelo ahora