EPILOGO - BANYAN TREE

Comincia dall'inizio
                                    

Era la prima volta che sentivo di stare suonando per me. Le rare volte che era capitato, lo avevo sempre fatto per strappare un sorriso a Victoria, farle provare qualche emozione al di fuori del dolore che portava sempre con sé ovunque andasse. Non mi capitava da tanto di sentire l'estrema necessità di suonare guardando il pianoforte, fu per quello che sorrisi e chiusi gli occhi assaporando ogni nota. Ogni accordo. Ogni ricordo che evocava la melodia.

Pensai a mia madre, che si commuoveva così facilmente da essere sempre presa in giro. Era una donna estremamente sensibile, prima che lei e mio padre si separassero. Dopo che lui se ne andò di casa, mia madre non fu più la stessa. Aveva eretto un muro, talmente spesso che né a me né a Ryan era stato più concesso l'onore di vederla sorridere o uscire dalla sua stanza. Mio fratello mi aveva fatto da padre, era stato costretto a farlo: sospettavamo fosse caduta in depressione, ma non ne avevamo mai avuto la conferma, non aveva mai voluto andare in terapia o farsi aiutare. Poi era arrivato Vincent e io lo odiavo così tanto che ero riuscito a far sì che ogni cosa si sgretolasse. Ero andato a vivere da mio padre, ero scappato e avevo lasciato che l'odio mi consumasse. Avevo scoperto che mio padre aveva il cancro, la leucemia. Lui era morto.
A causa mia, a causa del fatto che lo avessi lasciato solo in quella casa, Ryan era entrato nel giro di Vincent e poi ci avevano arrestati.

Alla morte di mio padre promisi che non avrei mai più suonato il piano: mi faceva troppo male, sentivo troppo la sua mancanza, provavo troppo dolore. Non riuscivo più a sentire la pace di una volta. Sentivo solo un infinito e instancabile senso di malinconia. Sapevo che non potevo più riaverlo indietro, che non sarebbe mai tornato, ma non riuscivo ad accettarlo. Soprattutto, non riuscivo a trovare nella musica la ragione per andare avanti. Mi avevano detto di suonare per sentirlo vicino così tante volte da perderne il conto, mi avevano detto che dovevo essere fiero del fatto che mi avesse lasciato la sua eredità più grande, ma io non ce la facevo. Avevo iniziato a sentirlo un peso, non più un dono. Invece che permettermi di respirare come aveva sempre fatto, sentivo il mio cuore smettere di battere ogni qualvolta osservavo i tasti. Fu proprio per questa ragione che scelsi di smettere di suonare.

In quel momento, però, il brivido era tornato. Sentivo il battito del cuore pulsare nelle mie orecchie, la vita scorrermi nelle vene. I ricordi di papà decoravano la mia mente come piccoli fiocchi di neve che incantavano le notti d'inverno: ogni cristallo era un vecchio ricordo. E mi accarezzavano la pelle, la mente, il cuore e io non riuscivo proprio a non sorridere. Per un istante mi sembrò di sentire mio padre arruffarmi i capelli seduto al mio fianco, spalla contro spalla, come l'ultima volta che avevamo suonato insieme. Piovevano i ricordi e il mio muro stava crollando. La torre che avevo eretto in quel castello circondato dalla solitudine, in cui mi ero rinchiuso per rimanere protetto e impedire ai ricordi di uccidermi, stava crollando proprio mentre la stanza era imbottita dalla musica. La mia musica. La musica di mio padre, il regalo più bello che mi fosse mai stato donato. Solo in quel momento me ne accorsi.

Compresi solo allora quale fosse il reale potere dei ricordi e ci riuscii perché mio padre era al mio fianco, proprio mentre suonavo da solo in quel grande salone potevo vedere i miei ricordi riempirlo e metterlo a soqquadro, lo vedevo colmo dei momenti con mio padre e con la mia famiglia, dei momenti con le persone che mi avevano accolto e mi avevo regalato nuovamente qualcosa in cui credere. Il mio vuoto si era riempito.

Ritrovai me stesso fra quelle note. Dove prima regnavano solo sfumature di tristezza per tutti quei momenti che non avevo vissuto con i miei genitori, con la mia famiglia.
Ritrovai me stesso nella folle bellezza racchiusa nello sguardo di mio padre ancora vivo nella mia mente. Ripensai a tutte quelle volte in cui mi aveva ripetuto che il sole per lui sorgeva soltanto quando vedeva me e mio fratello sorridere. Ritrovai me stesso fra le sue parole marchiate a fuoco dentro di me, quando mi diceva che avrebbe vissuto per sempre fra i miei occhi perché era solo lì che ritrovava se stesso. Quanto poco ne sapeva quel bambino che gli sorrideva spensierato, di tutti quei momenti in cui suo padre gli sarebbe mancato e lo avrebbe cercato nel suo sguardo ricordando quelle parole. Quanto poco ne sapeva dei giorni in cui avrebbe camminato nel silenzio della notte, rifugiandosi su un tetto in cima alla città e avrebbe pensato soltanto che avrebbe dato la vita pur di avere la possibilità di parlare con suo padre ancora solo un istante.

UNCONDITIONALLYDove le storie prendono vita. Scoprilo ora