Cripta di San Marco dei Sabariani

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Sono ignote le origini della chiesa di San Marco. La datazione degli affreschi rinvenuti nella cripta potrebbe essere precedente di qualche secolo alle prime menzioni documentate dell'edificio sacro[1]. L'esistenza della chiesa nell'anno 1018 sarebbe attestata da un'epigrafe che era posta sulla facciata e dedicata alla morte del sacerdote Giovanni: tale collocazione suggerisce che egli ne sia stato rettore[2]. Una citazione esplicita della «Parrocchia Sancti Marci» si trova nell'Obituarium S. Spiritus, già a partire dalla prima redazione di quest'ultimo nel 1198; qui viene anche ricordata la morte del sacerdote Pietro[3].

Secondo una tradizione riportata da nel XVIII secolo da Filippo Ferrari e dagli eruditi beneventani Mario De Vipera e Giovanni De Nicastro, nella chiesa erano ospitate le reliquie di san Marco, vescovo di Eca fra il III e il IV secolo. Tali reliquie, prima custodite nella cattedrale di Bovino, sarebbero state traslate a Benevento in un tempo imprecisato, e in città si sarebbe celebrato il 7 ottobre come giorno della traslazione.[4] A Bovino, però, è consolidata una ininterrotta tradizione di possesso delle spoglie del santo, ragion per cui i Bollandisti, esaminando la questione, suggerirono che a Benevento giunsero solo alcune reliquie, oppure le spoglie di un omonimo san Marco Africano.[5]

A partire dagli ultimi anni XIII secolo la storia della chiesa di San Marco si intrecciò con quella della famiglia Sabariani (o Savariani), una derivazione beneventana dei de Sabrano di origine provenzale, i quali all'incirca nello stesso periodo acquisivano il titolo di conti di Ariano[6]. I Sabariani avrebbero rifondato o ampliato la chiesa[7] e la denominazione «San Marco delli Savariani» appare a partire dal 1288 ad attestare il legame della famiglia con l'edificio sacro. Nei secoli a venire, i Sabariani mantennero lo iuspatronato sull'edificio di culto e lo dotarono «di ricche, e copiose rendite».[8]

Come era attestato da una lapide posta all'interno della chiesa, essa fu restaurata nel 1614: i fratelli Lelio e Antonio Sabariani spesero più di 600 ducati[7] per renderla una delle più sfarzose di Benevento. Essi, inoltre, stabilirono un contributo annuo di 10 ducati per il curato, affinché celebrasse messa ogni martedì e giovedì.[8]

La parrocchia di San Marco dei Sabariani fu una delle 8 della città di Benevento conservate con la riorganizzazione introdotta dall'arcivescovo Vincenzo Maria Orsini (il futuro papa Benedetto XIII) il 1º aprile 1688.Nello stesso anno il terremoto del 5 giugno danneggiò la chiesa di San Marco dei Sabariani in un modo che fu giudicato irreparabile.[10] Forse la cripta continuò momentaneamente a essere utilizzata[1], ma il 1º dicembre 1696 fu consacrata la nuova chiesa di sant'Andrea apostolo all'interno del vicino seminario arcivescovile. L'arcivescovo Orsini spostò in questa chiesa le funzioni della parrocchia di San Marco[11]; e qui furono anche traslate le presunte spoglie del vescovo Marco[12].

La famiglia Sabariani, che avrebbe avuto l'obbligo di ricostruire la chiesa distrutta, non lo fece e perse il diritto di patronato[13]. Il terreno ove sorgeva il tempio, di proprietà del parroco, fu dato in enfiteusi alla famiglia Ascolese, che fra il 1718 e il 1719 vi edificò un filare di tre casette[14]. Probabilmente fu tra il terremoto del 1702 e questo reimpiego dell'area che anche la cripta della vecchia chiesa fu definitivamente dismessa: la sua volta fu distrutta per livellare il terreno, e il vano fu riempito di cocci e macerie provenienti dal seminario, com'è evidenziato dalle scritte che recano molte delle ceramiche rinvenute[15].

Nel 1753 il Vicario Generale ripristinò il diritto di patronato della famiglia Sabariani, che si impegnò a pagare 5 ducati all'anno alla parrocchia e ricavò una nuova chiesa gentilizia nel pianterreno del proprio palazzo, ubicato di fronte alla chiesa distrutta.[13]

Tale ambiente sacro è ricordato per un episodio avvenuto nel 1848, nell'ambito dei moti liberali: Salvatore Sabariani, dopo aver intessuto rapporti con ambienti liberali napoletani, si mise a capo di una congiura il cui scopo primario era ottenere l'annessione dell'isolata enclave pontificia di Benevento al Regno delle Due Sicilie. A causa di una fuga di notizie, tuttavia, il 15 aprile la polizia si recò a palazzo Sabariani per arrestarlo, proprio mentre si riuniva con altri quattro congiurati. Essi tentarono di adunare il popolo beneventano suonando le campane della chiesa, ma invano: la resistenza alla polizia, fra cui i congiurati fecero un morto e un ferito, si concluse con l'incendio del palazzo e l'arresto di tutti i cospiratori.[16]

Sebbene il vano usato come chiesa non fosse adeguato allo scopo, la nuova chiesa dei Sabariani restò in uso fino al 30 marzo 1900: solo in tale data, infatti, il sindaco di Benevento dichiarò l'edificio inagibile perché le travi del soffitto mostravano dei cedimenti evidenti.[17]

La sede della parrocchia fu allora spostata di nuovo: l'arcivescovo Donato Maria Dell'Olio acconsentì al suo insediamento nella chiesa di Santa Teresa, adiacente al palazzo dei Sabariani. Essa, già chiesa dei carmelitani scalzi, all'epoca era gestita dalla confraternita del Sacro Monte dei Morti. Nel 1924 la chiesa di Santa Teresa fu dichiarata «sede stabile» della parrocchia, e il 23 giugno 1932 un decreto reale di Vittorio Emanuele III la ridenominò come "San Marco dei Sabariani in Santa Teresa".[18] Anche quest'ultimo edificio, però, fu danneggiato dai terremoti del 1962 e del 1980: così, nel 1986, l'arcivescovo Carlo Minchiatti soppresse la parrocchia, e nel 2002 il suo successore Serafino Sprovieri sconsacrò la chiesa.
La cripta giace interamente al di sotto dell'attuale piano stradale. La sua pianta è basata su uno stretto rettangolo (15×1,5 m) il cui lato più lungo è orientato in direzione N-S. L'ambiente era ricoperto da una volta a botte, la cui sommità fu rasata. Al centro della parete orientale si apre una piccola abside dal fondo arcuato, mentre la parete opposta presenta, presso le due estremità, due scalette per la discesa nell'ambiente. Quella a sud conserva resti di un architrave di reimpiego, in pietra calcarea; e al suo fianco era una nicchia, murata in un secondo momento. Al centro della parete sud è un'altra nicchia, mentre in quella nord è una finestrella per l'aerazione dell'ambiente.[1] L'aula è pavimentata in mattonelle di terracotta.

Il vano è ricoperto di intonaco bianco, su cui furono dipinti due cicli di affreschi in fasi distinte: essi sono una delle poche testimonianze rimanenti della pittura della scuola beneventana. Inizialmente gli affreschi della seconda fase, i primi a essere ritrovati, sono stati datati all'VIII o IX secolo, sulla base delle somiglianze stilistiche con quanto rimane degli affreschi di Santa Sofia sempre a Benevento.[1] Tuttavia, ulteriori valutazioni riconoscono l'incapacità, fino a ora, di trovare riferimenti cronologici esatti e si limitano a rilevare che gli affreschi sono espressione di un simbolismo altomedievale, con residui elementi classici, che si è trascinato in alcuni casi fino al XII secolo. Furono realizzati, cioè, mentre era ancora esistente il Principato longobardo di Benevento, o poco dopo.(fonti Wikipedia)

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