Capitolo 26 - Museo Archeologico di La Bassa (parte 3)

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Tra i 60 e i 50 milioni di anni fa, dopo che l'epoca dei dinosauri lasciò il passo al quella dei mammiferi, qualcosa cadde dal cielo.

La Bassa non era altro che il fondale argilloso di un mare basso e tiepido che sarebbe presto diventato la Pianura Padana, schiacciato verso il basso da Alpi e Appennini che si stavano innalzando attorno ad essa fin dal Cretaceo.

L'Eocene era un periodo di tumulto, in cui impatti meteorici erano frequenti in tutto il mondo, ma quella terra ancora doveva subire il più grande stravolgimento che avrebbe mai visto nella sua storia.

Dal cielo, un bolide scintillante cadde.

Era diversi metri di diametro, metallico e mortale, e decise di cadere in quella pozza d'acqua tra due catene montuose appena nate.

Cadde, e il suo corpo metallico si contorse e spezzò nell'impatto e si scavò la propria fossa da solo, chilometri e chilometri fino a raggiungere la crosta sottile di quel mare.

Poi, come un perfetto funerale, i sedimenti che il meteorite metallico aveva lanciato in aria ricaddero su di lui, seppellendolo per sempre.

Quell'asteroide non veniva da nessuna parte dell'universo che gli umani- che ancora all'epoca dovevano fare la loro comparsa- conoscessero, e tutt'ora è un mistero cosa fosse, da dove venisse e perchè avesse deciso di colpire la Terra in particolare.

Non importava. Ora quel souvenir da mondi sconosciuti giaceva tra la sottile crosta marina sotto e i sedimenti sopra di lui, ma non inerte: infatti, quel metallo non era qualcosa che la Terra conosceva.

Era un elemento nuovo, straniero e sconosciuto, che pian piano si diluì alle paludi fangose e acque stagnanti che gli si formarono sopra, impregnò le piante e gli animali, e quel metallo conteneva qualcosa.

Gli animali si comportavano strano, in quel territorio. Le piante sembravano posizionarsi strategicamente e seguendo una logica che apparteneva a organismi molto più elevati di quelli che sarebbero dovuti esseri. Gli animali, anche i più miti e piccoli, si rivelavano mortali.

I primi uomini a raggiungere quelle terre immerse nel fango e nella nebbia provenivano dalle montagne della vasta eurasia, o dal profondo sud della terra madre che era l'Africa. E tutti essi calpestarono quelle acque pregne di un elemento alieno e sconosciuto e ne sentirono le forze, ne morirono, e scapparono e mai vi rimisero piedi, e così i loro antenati ve ne stettero alla larga.

Coi secoli e i millenni altri popoli arrivarono dalle Alpi, e sulle ossa dei più deboli costruirono le loro palafitte, dove quei miasmi extraterrestri e quella natura selvaggia e autoconservatrice non poteva prenderli- o almeno così credevano.

Aravano le terre emerse abbastanza sopraelevate da non venire costantemente sotterrate dal grande fiume che lentamente si stava formando, e ciò che coltivavano poteva ucciderli, o fortificarli.

Le generazioni che nascevano lì bevevano il latte delle madri contaminato dell'elemento, respiravano la nebbia pregna di quel metallo, mangiavano i frutti di una terra ricca di qualcosa che non doveva esserci, e presto svilupparono un potere: lo stand.

Ora erano anche loro forti e selvaggi come quelle acque che avevano deciso di donare il suo più grande segreto a quell'umanità che, forse, ritenne degna.

E quel popolo crebbe, divenne forte, pieno di guerrieri di stand ma sempre più isolato in sé stesso, su quegli scogli di fango isolati da un micidiale fiume. Quei guerrieri ritenuti poco più che barbari erano pressoché inespugnabili, con il fiume dalla loro parte a proteggerli e i loro stand a renderli macchine da guerra perfette.

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