CAPITOLO VENTOTTO - till the last breath

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Mio fratello Ryan si stava, invece, occupando dei due uomini che ci avevano inseguiti e avevano, chissà se per errore o meno, ucciso Katherine. Parlando con Gabriel era uscito fuori che non si sapeva assolutamente nulla di loro due, né delle motivazioni per le quali potessero avercela con noi, ma ci stava lavorando. Sapevamo soltanto che dalla notte della sparatoria non avevamo più ricevuto loro notizie ed erano completamente spariti. Tutto ciò faceva pensare a Gabriel che la morte di Kat fosse stata un errore, ma faceva provare a me il doppio della rabbia. Mi domandai cosa ci fosse sotto di tanto grande, per quale causa fosse morta una delle mie migliori amiche e soprattutto continuavo a ripetermi che dovevo essere io al suo posto, non lei.

Carter si stava occupando di Vanessa, cercando di distrarla ed aiutarla a non perdersi troppo per strada, imponendole di continuare i suoi studi come la sua migliore amica avrebbe voluto e mio fratello Arthur, invece, saltava da una casa all'altra per accertarsi che tutti stessero più o meno bene. Lui era l'unico a vedere Sam: a volte si presentava al campus e faceva qualche lezione con lui, ma evitava tutti noi, compresa sua sorella. In tutta onestà ero certo che non lo stesse facendo con cattiveria, semplicemente credevo non volesse farsi vedere da Victoria in quelle condizioni. Sapevo anche che Juliette aveva provato a parlargli, dicendogli che sua sorella aveva bisogno di lui, ma lui l'aveva cacciata. Aveva chiesto a Sean come stava Victoria, ogni tanto chiamava o Nicole o Alexander, ma non parlava mai direttamente con noi.

Per quanto mi riguardava, continuavo a svegliarmi spesso a causa del solito incubo ricorrente e Ryan continuava a portarmi una birra ogni volta, si sedeva accanto a me in silenzio oppure teneva fermo il mio sacco da box quando sentiva che, in piena notte, cominciavo a prenderlo a pugni perché non riuscivo a dormire. Il tempo non mi stava aiutando a guarire, nulla mi stava aiutando a sentirmi meglio, solo Victoria era in grado di curare le mie ferite, solo guardandola potevo sentirmi ancora vivo. Le lasciai un bacio sulla fronte, mentre dormiva, osservandola inspirare di scatto al mio tocco e accoccolarsi di più a me, come se anche nel suo sogno lo avessi fatto. Avrei voluto avere quella capacità: quella di fra breccia nei suoi pensieri e trascinarla fuori da quel labirinto del quale non trovava la via d'uscita, ma non potevo. Non c'era modo per me di poter fare una cosa di quel tipo, non c'era nulla che potessi fare per lei, soltanto amarla come meritava di essere amata, sperando che quell'amore l'avrebbe salvata e non uccisa.

Mi scostai da quella posizione cercando di non svegliarla e controllai l'ora sul cellulare: erano le dieci del mattino. Mi tirai su a sedere, infilai la maglietta e arricciai il naso tossicchiando a causa della gola secca, così prima di uscire dalla stanza presi la bottiglia di acqua posata sul suo comodino. Quando, però, me la portai alle labbra per berne un sorso mi resi conto, dall'odore che aveva, che non si trattava di acqua: era vodka.

Uscii dalla stanza con la bottiglia stretta tra le mani, in preda al panico e scesi le scale così velocemente che quasi inciampai sugli ultimi gradini cadendo a terra come una pera cotta. In cucina trovai sia Nicole, che Alexander che Richie, intenti a chiacchierare e fare colazione come sempre. Mi dispiaceva rovinare così la giornata, ma non avevo alternative. Quando Richie mi vide, aggrottò le sopracciglia confuso e piegò la testa di lato, scrutandomi attentamente in viso. – Ehi Woods – Esordì portandosi la tazza di caffè alle labbra. – Dall'espressione che hai deduco che non sia un buongiorno, sembra che tu abbia visto un fantasma. – Disse poi battendo le palpebre.

Raddrizzai la schiena e piegai la testa di lato nel momento in cui sentii il mio cuore prendere a battere più velocemente ed il respiro farsi via via sempre più affannato. Tirai il colletto della maglietta, infilando le mani fra i ricci e rimanendo in silenzio quel tanto che bastava per realizzare quello che era appena successo e comunicarlo a loro, ma non riuscivo a trovare le parole. Più ci provavo, più andavo nel pallone.

UNCONDITIONALLYWhere stories live. Discover now