Giorno 2

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Avevo esitato fino all'ultimo, non conoscevo niente di lui, per me era un perfetto sconosciuto, un terreno inesplorato. Sapevo solamente che era estremamente pericoloso quando impugnava una carta di credito. Nulla di più.

Ma appena vidi il suo viso affascinato dalle opere della Pinacoteca di Brera, fui sollevata, e soprattutto ero contenta che aveva apprezzato la mia scelta. Il coreano procedeva a passo lento, passando da un quadro all'altro, osservandoli minuziosamente in religioso silenzio. L'amato cellulare era rimasto in tasca, grazie anche al divieto di scattare fotografie.

Hyunjin sembrava un capolavoro tra i capolavori. I pittori del tempo sarebbero stati entusiasti di ritrarlo e averlo come modello. Le mani nodose, le braccia toniche e ben definite, la pelle diafana, le labbra carnose, il fisico asciutto e il portamento regale. La mia mente cominciò a vagare, immaginandolo con indosso solo leggere vesti bianche, intento a gustare grappoli d'uva serviti su grandi vassoi d'argento.

Oddio che strani pensieri, sicura di stare bene?

Sentii improvvisamente uno schioccare di dita. «Ci sei?»

«Eh?» Scossi la testa quando trovai il suo viso a un palmo dal mio.

«Sei stralunata stamattina, a cosa stavi pensando?»

Se solo sapessi...

«A niente, te lo giuro!» Quando mi accorsi di aver alzato il tono di voce mi portai il palmo alla bocca.

Come al solito mi era uscito un gridolino acuto e avevo attirato l'attenzione dei presenti su di me. Mi guardai attorno, trovando i loro visi pieni di indignazione che mi scrutavano quasi schifati. Mi scusai alzando una mano in aria e finalmente i cultori dell'arte ritornarono a interessarsi delle pitture.

Jin mi osservava con un'espressione annoiata. «Dai usciamo, mi sembri un elefante in un negozio di cristalli.»

«Cosa vorresti dire?»

Mi sorrise senza rispondermi e si voltò, incamminandosi verso l'uscita. Era proprio un vizio quello di lanciare delle provocazioni e poi girare i tacchi. Controllai l'ora e mi stupii di quanto tempo avessimo passato lì dentro e infatti il mio stomaco cominciava a borbottare dalla fame.

Lo raggiunsi portandomi al suo fianco. «Senti, a proposito di elefanti, io ho una fame da lupi. Che ne dici se oggi andiamo a mangiarci un piatto di pasta?»

«Mmh a me piace il sushi.»

«Ah, ok... a me invece non fa impazzire, ma ordinerò qualcos'altro.»

«Sfidiamoci a carta, sasso, forbice!» Si piazzò davanti a me, con il busto reclinato in avanti, pronto per giocare.

«Non fai sul serio? Mi stai prendendo in giro un'altra volta.»

«No, sono serissimo! Chi vince decide.» E mi scrutò affilando lo sguardo.

Accettai la sfida e scuotemmo le mani incrociandole, prima di svelare la figura. Io feci il pugno, cioè il sasso, e Jin aprì la mano, la quale raffigurava il simbolo della carta.

«Ho vinto! Ma tanto lo faccio sempre, sono imbattibile a questo gioco.»

«È stato solo un colpo di cul... cioè di fortuna.»

«Guarda che le puoi dire le parolacce con me, mica mi scandalizzo. Puoi anche ruttare rumorosamente se vuoi. Da noi lo fanno tutti, uomini, donne, per strada e anche al ristorante.»

«Ma per chi mi hai preso, per una scaricatrice di porto? Cioè non ho nulla contro le donne coreane che lo fanno, sia chiaro, però, tu oggi non rutterai, vero? Ti prego dimmi che non lo farai, perché ci guarderebbero tutti in modo molto strano e io ho una certa reputazione da difendere, non che qui a Milano conosca poi tanta gente ma...»

Due settimaneWhere stories live. Discover now