L'incontro

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Capelli su o capelli giù. Capelli tutti a sinistra o capelli tutti a destra. Perché la maggior parte delle persone erano nate con i capelli lisci, invece io dovevo avere quell'enorme massa di ricci lunghi fino a metà schiena sempre aggrovigliati, crespi, con le punte secche e pieni di nodi.

Ma se tutti ti dicono sempre «Oh, ma che bei capelli e bla bla bla»

Belli un cazzo! Dovevano provare loro a vivere con il calore che d'estate si forma sotto il collo, manco fosse una serra e la sensazione perenne di essere in disordine.

Mi rimirai nello specchio un'altra volta; l'abito nero era leggermente svasato e il tessuto leggero adornato da tanti piccoli pois tono su tono. Avrei indossato i sandali neri, con i tacchi, quindi serviva una pettinatura semplice.

«Capelli raccolti a metà e non ci pensiamo più!»

Presi le forcine che tenevo nella mano destra, ne raccolsi una parte e li appuntai all'altezza della nuca, un po' a casaccio; inutile domarli, si sarebbero ribellati comunque dopo poco. Mi fissai nella superficie riflettente un'altra volta e fui sollevata nel pensare che, almeno per un po', avrei smesso di vestirmi in quel modo così classico, che mi faceva sentire vecchia.

Sentii bussare e mi precipitai ad aprire, anche se con i tacchi, più che camminare, mi facevano saltellare.

Quando spalancai la porta Erik mi osservò con una strana faccia contrita. Prima di chiedere lumi mi voltai e presi la mia pochette e il cellulare dalla console posta a lato dell'ingresso. «Perché mi guardi così?»

Erik alzò gli occhi verso l'alto, fissandomi la testa e puntò l'indice in aria. «I tuoi capelli...»

«Hai qualcosa contro i miei capelli?»

«No... no... vanno benissimo.» Dopo il mio grugnito rimise il dito al suo posto. «E io invece?» Si lisciò la giacca e si passò una mano a lato della tempia.

Lo scrutai da capo a piedi. «Solito completo scuro, solita camicia bianca, soliti capelli color miele perfettamente impomatati e solita faccia da inglese. Direi tutto come da copione.»

Sì, ma le scarpe?!

Puntai gli occhi verso il basso e rabbrividii. «Però il mocassino potevi evitarlo... fa tanto milanese sbruffone. Se avessi indossato le tue solite Chelsea saresti stato più coerente con le tue origini.» Soffocai una risata cercando di rimanere seria.

«Ma siamo in estate... fa caldo...» Scosse la testa risentito e ci avviammo verso l'ascensore. «Ti lamenti che sono sempre uguale e poi quando oso qualcosa di nuovo, non ti piace.»

Dopo essere saliti di un piano scendemmo e compiuti alcuni passi ci fermammo davanti alla porta dell'abitazione che per quelle settimane sarebbe stata dei signori Hwang. Erik prima di premere il campanello mi rivolse uno sguardo complice, che ricambiai con il cenno del capo; ero molto affezionata a lui e desideravo dimostrargli che poteva contare su di me per la buona riuscita di quella faccenda.

Ci aprì una donna di mezza età, con i lineamenti tipicamente coreani e ci rivolse un lieve inchino in segno, probabilmente, di saluto. Mio fratello la imitò, io invece rimasi imbambolata, con le braccia tese lungo il busto, indecisa sul da farsi; dopo una gomitata nel fianco da parte di Erik, chinai la testa ed infine entrammo.

Mi guardai attorno curiosa saettando gli occhi da una parte all'altra. L'appartamento era simile al mio come metratura, ma l'arredamento era molto più raffinato, con ampi divani color caramello, una libreria stilizzata piena zeppa di libri e poltrone di design sparse un po' ovunque.

«Signor Evans, sono lieto di rivederla.»

Il Sig. Hwang ci accolse piegando la schiena e poi si diresse verso di noi con la mano allungata. Era un ometto non molto alto, con profonde rughe che gli solcavano il viso e che riducevano i suoi occhi simili a piccole fessure. Si intuiva immediatamente che era un uomo tutto d'un pezzo, che si era costruito il suo impero lavorando sodo, ma aveva un'aria umile, malgrado il suo cospicuo patrimonio.

Due settimaneWhere stories live. Discover now