Giorno 1

22 5 25
                                    

Non avevo chiuso occhio e i calamari sotto di essi ne erano la prova lampante. Allungai il busto per avvicinarmi ancora di più allo specchio e cominciai a picchiettare il correttore sopra le zone grigiastre. Poi applicai l'ombretto marrone, un po' di phard, terminando la mia opera di ricostruzione con un velo di lucidalabbra color ciliegia e mi guardai un'altra volta.

Esasperata urlai al cielo. «Aaah, perché mi sento una merda!»

Non avevo altro tempo per rimediare, lasciai il bagno e mi precipitati in camera da letto. Indossai l'abitino color senape che avevo scelto per l'occasione prendendolo dalla cabina armadio. A Milano in giugno faceva veramente caldo e non avevo voglia di intrappolarmi in un paio di jeans. Indossai scarpe da ginnastica comode, borsa a tracolla e infine raccolsi velocemente i ricci in un enorme crocchia sopra la testa che fissai con le immancabili forcine.

Più che un cucco a me sembra il nido di una tortorella.

«Piantala, così non fai altro che agitarmi!»

E stai pure parlando ad alta voce.

Feci un respiro profondo e sbuffando aria dalle narici mi avviai verso la mia nuova occupazione: la baby-sitter. Dovevo stare calma, avevo pianificato la giornata nei minimi dettagli e lui mi avrebbe seguito, eccome se lo avrebbe fatto, a costo di prenderlo per i suoi biondi capelli e strattonarlo per la città.

Mi precipitai su per le scale, dato che ero in ritardo e l'ascensore era occupato, facendo i gradini due a due. Arrivata ansimante dinanzi al mio primo obbiettivo suonai il campanello. La governante mi aprì la porta gentilmente, ci inchinammo all'unisono, ormai avevo capito l'antifona, ma poi la donna rimase in silenzio, piazzandosi sulla soglia con le mani in grembo. Ero un po' in imbarazzo, non sapendo se dribblarla ed entrare oppure chiedere se il biondino era pronto, però ero sicura che non capisse una sola parola né d'inglese né tantomeno d'italiano. Avrei potuto mimare qualcosa, ma visto che la signora si era parata davanti a me, decisi di aspettare pazientemente sull'uscio.

Poco dopo Jin e qualcosa apparve alle sue spalle, gli sussurrò qualcosa in coreano accostandosi all'orecchio e infine uscì, chiudendo la porta dietro di sé.

Mi studiò immediatamente dall'alto verso il basso. «Sei diversa oggi.»

Dunque, parla!

Corrucciai la fronte. «In che senso, scusa?»

Ma la mia risposta rimase persa nell'aria, il ragazzo si avviò verso l'ascensore, dandomi le spalle. Portando entrambe le mani in tasca ruotò il viso, osservandomi con la coda dei suoi occhi affilati. «Non vieni?»

Serrai i pugni cercando di mantenere un certo contegno. Saliti in ascensore notai che anche lui era differente. Intanto sembrava meno sciatto della sera precedente. Stava giocherellando con il cellulare, quindi potevo squadrarlo meglio, senza rischiare di essere trafitta dai pugnali che aveva al posto dei bulbi oculari. Indossava dei jeans bianchi con una maglietta nera dal taglio dritto. Portava i capelli legati in un codino al centro della nuca e dei lunghi ciuffi liberi gli ricadevano sul viso, che ogni tanto fermava dietro l'orecchio. Aveva mani grandi con dita lunghe e affusolate, adornate da alcuni anelli in oro. Doveva aver preso tutto dalla madre, ne ero sicura.

Mi sforzai di fare conversazione. «Hai fame? Pensavo di farti provare la tipica colazione italiana con cappuccino e brioches.»

Fece spallucce, senza alzare lo sguardo dal cellulare e soprattutto senza proferire una risposta verbale.

Mi sa che sarà una lunga e difficile giornata.

Scelsi uno tra i tanti bar disseminati un po' ovunque per Piazza Duomo. Era una bellissima giornata, c'era stato un temporale nella notte e il cielo era insolitamente terso. Ci sedemmo fuori, volevo godermi l'ombra del mattino prima che arrivasse l'afa e ci costringesse a chiuderci in qualche locale con l'aria condizionata. Ordinai lo stesso cibo per tutti e due e presi di nuovo l'iniziativa.

Due settimaneWhere stories live. Discover now