Capitolo 4

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Le dissi mentre sorridevo con amore a quello spettacolo che dovevo proteggere a tutti i costi e per il quale sapevo sarei finita nei guai. Guardai quegli occhi verdi così pieni di gioia e allegria, così vivi e accesi, talmente belli e pieni di pensieri e emozioni che sembravano il mare dei Caraibi tanto erano limpidi: potevi davvero vederle l'anima.

"Ehi ci sei?"

Disse sorridendo con la testa leggermente inclinata e gli occhi che curiosi.

"Eh? Sisi certo.."

Risposi imbarazzata quando realizzai che mi ero persa dentro a quegli occhi stupendi tanto da non sentire più quello che mi stava dicendo.

"Come ti sei fatta tutte quelle cicatrici sul corpo?"

Chiese aggottando la fronte. In quel momento tornai in me e realizzai che il sole ormai era sorto e che poteva vedermi in volto. Dopo tre anni finalmente mi vedeva in viso. Mi irrigidì visibilmente. Manteneva le distanze mentre mi osservava: sentivo i suoi occhi verdi esaminare ogni centimetro di me dalla testa ai piedi, il suo sguardo bruciava quando passava sulle cicatrici di cui ero ricoperta. Abbassai la testa consapevole che se ora l'avessi guardata nei suoi occhi avrei visto solo orrore e ribrezzo per una sfregiata come me. Non sarei riuscita a sopportare di vedere nei suoi occhi quelle emozioni, mi avrebbe distrutto vedere queste cose negli occhi della ragazza che amavo e di cui mi ero presa cura ogni singolo secondo nel corso di questi tre anni. Così a testa bassa mi girai e con le ali che strisciavano a terra iniziai ad allontanarmi da lei per non farle più vedere l'orrore che ero. Quando la sua voce mi richiamò indietro

"Aspettami Ali! Dove vai? Torniamo già a casa?"

Mi chiese mentre si avvicinava a me di corsa.

"Stai lontano...possiamo stare qui quanto tempo vuoi ma io devo andare adesso...di giorno non posso stare fisicamente accanto a te"

Le spiegai dandole le spalle. Non volevo mi vedesse di nuovo. Avevo paura di spaventarla ancora.

"Non mi fai paura"

Disse abbracciandomi da dietro, il suo viso affondato nelle mie ali, la sua voce attutita dalle mie piume

"Non mi fai paura perché quelle cicatrici non significano che tu sia malvagia. Non mi fai ribrezzo perché quei segni sono il simbolo dei tuoi sbagli e non bisogna vergognarsi di aver sbagliato. Non ho orrore di te perché so che sotto quegli sfregi e quell'aria da dura si nasconde un anima buona e tenera. Tu non sei come sembri, hai sofferto tanto e si vede, ma puoi tornare a essere felice. Tu non sei il mostro che credi di essere"

Continuò Jayda convinta mentre mi abbracciava, lasciando un bacio in mezzo all'attaccatura delle mie ali. Quel contatto, quelle parole, mi fecero venire gli occhi lucidi per l'emozione. Lei non aveva ribrezzo, non mi aveva allontanato. Lei mi voleva nonostante tutto. La luce della mattina che filtrava dalle fronde degli alberi illuminava quel momento, che si impresse a fuoco nella mia memoria. Rimanemmo li tutta la mattina a parlare delle nostre vite, della mia soprattutto perché di lei conoscevo già ogni singolo momento.

"Hai un fidanzato li da dove vieni? Come mai sei qui e non in cielo? Perché hai le ali grigie e non bianche? E tutte quelle cicatrici? Come tele sei fatte? Quanti anni hai? Hai dei poteri speciali? E.."

Posai un dito sulle labbra, fermando quel fiume in piena. Osservai un attimo le sue guance farsi rosse poi risposi con vice calma e suadente

"Vuoi fare una nuotata splendore?"

Le chiesi avvicinandomi a lei e sfiorandole la pancia con la punta delle dita. La sentii sussultare mentre sussurrava qualcosa riguardo al fatto di non avere il costume. Con un sorriso sbarazzino e uno schiocco di dita feci comparire un costume a due pezzi bianco a fascia

"Ora non hai più scuse. Vieni con me?"

"I-io..n-non..."

Inizio a balbettare imbarazzata e stupita dal piccolo prodigio che avevo operato. Sorridendole la presi in braccio come se fosse una sposa e mi avvicinai alle sponde del laghetto. Piano, con un passo alla volta mi immersi nell'acqua fredda del laghetto con Jayda ancora tra le braccia. A ogni passo che facevo l'acqua si scaldava assorbendo la luce flebile che le mie ali emettevano e che bastava a scaldare l'intero lago quanto bastava per non far sentire freddo alla mia piccola protetta. Sebbene fosse piccolo era molto profondo tanto che dopo non molti passi non toccai più il fondo. Così lasciai libera Jayda che ben presto inizio a nuotare felice nel lago. Restai ferma per un po a guardarla nuotare felice ma ben presto mi si avvicinò e mi schizzò con l'acqua dichiarando aperta la guerra. Passammo così l'intero pomeriggio, a giocare nel lago e a goderci il tepore dei raggi di sole che filtravano dagli alberi tra uno spuntino a base di frutta e l'altro. Ben presto però venne la sera e con essa il ritorno alla realtà. La abbracciai da dietro dopo averle lasciato il tempo di rivestirsi e mi sollevai in volo, la sua schiena contro il mio petto, le mie braccia intorno ai suoi fianchi a sostenerla, le nostre gambe intrecciate, eravamo una cosa sola. Il viaggio di ritorno sembro fin troppo breve e in un lampo fummo di nuovo in camera sua. Lei si era addormentata a metà strada così la misi a letto e dopo averla coperta mi sdraiai al suo fianco abbracciandola nonostante le ali lo rendessero difficile. La guardai dormire tutta notte pensando a quanto quella ragazza così fragile e indifesa mi aveva cambiato la vita. Quando vidi le prime luci dell'alba mi alzai e controvoglia volai fuori dalla finestra. Mi diressi subito verso un palazzo al centro della città: era il palazzo più alto della città ed era anche il luogo in cui gli quelli come me parlavano con gli angeli. Solitamente se si andava la era per essere puniti e lo sapevo bene, così come sapevo bene di aver infranto molte regole fondamentali per noi angeli custodi in una sola giornata dopo più di tremila anni di servizio perfetto.

JaydaWhere stories live. Discover now