Capitolo 4

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Pov's Diego

Arrivai al parchetto con il fiatone, nonostante si trovasse vicino casa. Cercai con lo sguardo i due ragazzi, finché non scorsi in lontananza la figura di una ragazza accucciata accanto a un'altra figura umana.
"Sono loro per forza" pensai, e ne ebbi la conferma quando, avvicinandomi,  vidi Mario stesso a terra, privo di coscienza e circondato da schizzi di sangue. Lo scossi leggermente per vedere se fosse sveglio, e lui di tutta risposta mugugnò dal dolore. Lo presi in braccio a mo' di sposa e lo riportai a casa, seguito dalla ragazza di cui sapevo a malapena il nome e che, preso dalla preoccupazione, non avevo neanche salutato .
Entrammo nel vecchio portone di casa, mi girai per chiuderlo e vidi la ragazza rimanere fuori a fissarmi.
Decisi quindi, con un cenno della testa, di invitarla ad entrare e, dopo essersi guardata un po' intorno, accettò. Salimmo le scale e le diedi le chiavi di casa, aprì e mi fece entrare. Poggiai Mario sul divano, cercando di non fargli del male, e  invitai la ragazza ad entrare, andando in bagno a prendere del disinfettante con un po' d'ovatta e delle garze. Posai le cose sul tavolino del salone e andai in cucina per prendere un panno bagnato in modo tale da potergli pulire la faccia dalla terra. Tornai in salone e cominciai a passargli il panno sul viso, ma mi fermai quando lo sentì sussultare sotto il mio tocco.
<Diego mi fai male> sussurrò lui con voce tremolante, soffrendo per il dolore. Effettivamente non ero molto delicato, quindi poggiai il panno sul tavolino e mi allontani, non volevo procurargli altro dolore. Senti qualcuno toccarmi la spalla e sobbalzai per la paura, ma mi tranquillizzai quando vidi il volto della ragazza misteriosa, mi ero dimenticato della sua presenza dato il suo essere così silenziosa.
<Se vuoi posso medicarlo io> disse con un filo voce spezzata dalla paura. Le sorrisi, un sorriso gentile e la ringraziai dell'aiuto.
<Grazie mille davvero, chiedimi qualunque cosa ti serva> le dissi, ringraziandola un'ulteriore volta, lasciandola medicare il mio amico. Mi sorrise e cominciò a fare quel che doveva fare. Mi misi in un angolino ad osservare la ragazza che medicava il ragazzo moribondo sul divano. Osservai ogni suo gesto, era molto delicata e attenta a non fargli male. Solo ora che l'osservai bene notai la sua carnagione pallida, le sue labbra rosse e carnose, il suo naso all'insù contornato da un septum e i suoi occhi leggermente storti, di un colore da mozzare il fiato. Erano quasi trasparenti con delle sfumature verdi e azzurre, come il cielo. Stetti a guardarla ancora per molto, finché la sua voce, la sua dolce e angelica voce mi riportò alla realtà.
<Come scusa?> le chiesi, dato che non avevo sentito neanche una parola di quello che aveva detto, siccome ero troppo impegnato ad ammirare la sua bellezza.
<Emh ce l'hai un paio di forbici?> domando lei, un'altra volta, con la voce da bambina.
<Certo, le vado a prendere> le risposi, e mi maledi da solo per quello che avevo appena pensato.
"Non la conosci nemmeno, sai a malapena il suo nome, e già rimani incantato da lei? Andiamo Diego riprenditi" pensai tra me e me, andando a prendere le forbici. Gliele portai e lei sorrise, un sorriso bellissimo.

Pov's Lexie

La sveglia suonò, interrompendo il mio flusso di pensieri. La spensi velocemente, cercando di non svegliare mio padre e la sua compagna. Ormai ero sveglia già da un po', avevo dormito solo un'ora e a me bastava, dato che soffrivo di insonnia e più di quello non riuscivo a dormire. Mi alzai a malincuore dal mio letto, non volendo affrontare quel giorno, sentendo il freddo pavimento sotto i piedi, e mi diressi in bagno per lavarmi velocemente i denti e la faccia. Pettinai i capelli, cercando di renderli un minimo ordinati, e mi misi giusto un lucidalabbra per le labbra screpolate. Ritornai in camera e aprì l'armadio, tirando fuori una felpa nera e dei pantaloni della tuta, anch'essi neri. Optai per le mie solite convers, nonché unico paio di scarpe che avevo, e presi il mio zainetto munito di tutte le cose che mi sarebbero servite per quel giorno, compresi alcuni vestiti e intimo. Quel giorno me ne sarei andata di casa, ormai ero diventata un peso per mio padre e lui me lo fece notare la sera prima, dicendo chiaramente di non volermi più vedere. Scesi in cucina e presi due pacchetti di crackers e una bottiglietta d'acqua, per poi uscire di casa. Mi diressi come al solito alla stazione per prendere il treno per Cogoleto e, una volta salita, mi posizionai vicino alle porte, pronta a scendere appena il treno si sarebbe fermato alla mia stazione. Mi guardai intorno, osservando il treno quasi vuoto, se non per un gruppo di ragazzi seduti alla fine del vagone e di qualche signore disperso per tutto il resto. Uno dei ragazzi in fondo si sedette davanti a me, osservandomi, e mi irrigidì quando lo sentì fischiare.
<Ehy bella ragazza, dove vai?> domandò lui, con un sorriso da maniaco sulle labbra. Non era la prima volta che venivo importunata, ma ogni volta mi sentivo sempre più a disagio. Senti le gambe tremare e farsi sempre più pesanti. Pregai che il treno si fermasse il prima possibile, il ragazzo stava continuando ad importunarmi, facendo sempre più commenti sul mio fisico, e temevo si alzasse.
Come al solito gli altri passeggeri guardavano la scena, in silenzio, con un sorrisetto sulle labbra, squadrandomi dalla testa ai piedi.
Mi tremavano le mani, il ragazzo si alzò e per fortuna il treno si fermò, così scesi e cominciai a correre lontano da lì, fermandomi solo qualche metro più in là per prendere fiato. Mi guardai attorno, ero finita in un parchetto e non c'era nessuno per fortuna, ma neanche il tempo di pensarlo che vidi in lontananza il ragazzo di prima, corrermi incontro. Mi prese con molta forza il polso e mi strattonó, avvicinandomi a lui. Feci una smorfia di dolore, la sua mano stava premendo sul mio polso già pieno di ferite. Il ragazzo mi spinse con molta forza, ed io, fragile com'ero, caddi per terra. Diedi un brutta botta al fondoschiena, ma non ci diedi caso e mi rialzai con un po' di fatica.
Un ragazzo spuntato dal nulla mi si parò davanti, cercando di difendermi, ricevendo però parecchi colpi allo stomaco. Cercai di fermarlo, ricevendo così un pugno nello stomaco che mi fece piegare in due dal dolore. Il suono della polizia fece scappare quel delinquente, lasciando me e l'altro ragazzo soli nel bel mezzo del nulla. Pregai che la polizia non si fermasse da noi, e così fu. Senti le sirene farsi sempre più lontane e ringraziai il cielo per avermi ascoltata. Mi alzai a fatica per andare nella direzione del ragazzo che mi salvò la vita, accertandomi che fosse ancora vivo. Per fortuna respirava ancora, così cercai di chiamarlo ma invano, non mi rispose. Cercai aiuto ma non c'era nessuno, nessuno che poteva aiutarci. Mi accasciai affianco al ragazzo e restai lì, accanto a lui a fissarlo. Aveva dei lineamenti ben definiti, il naso a patata e le labbra anch'esse ben definite; era proprio un bel ragazzo. La voglia di rimanere a fissare quel piccolo e bellissimo volto a me sconosciuto era tantissima, ma la vibrazione di un telefono mi riportò alla realtà, costringendomi ad alzarmi; era il suo.
Immediatamente lo presi, non lessi neanche il nome e risposi chiedendo aiuto.

Ma noi imperterriti intenti a baciarci Where stories live. Discover now