Capitolo 32

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15 febbraio;

«Ma non ha senso!» Esclamo ridendo contro il suo petto.

«Oh ma che vuoi capirne tu che ne hai solo uno!»

Siamo sul letto, sono le quattro del pomeriggio e abbiamo fatto l'amore per ore. Oggi ho dato l'esame, è andato bene e Elijah ha deciso di festeggiare nel suo modo preferito. Sono minuti che battibecchiamo sui suoi tatuaggi. Lo sto prendendo in giro perché alcuni sono così stupidi che neanche lui ricorda il motivo per cui li ha fatti.

«Dovrò rimediare, è da un po' che pensavo di farne un altro.» Rispondo disegnando cerchi astratti sul suo petto nudo.

«Tipo?»

«Non lo so..»

«Ti porto dal mio se vuoi.» Propone ma io lo guardo indecisa.

«Se è lo stesso che ha tatuato la stampella allora no, grazie.» Elijah scoppia a ridere e mi stringe di più al suo petto come per farmi soffocare. «Smettila.» Rido mordendogli il collo e facendogli allentare la presa. Mi tiro un po' su per sistemarmi sul cuscino, lui si gira verso di me e intreccia le gambe con le mie tenendo una mano sul mio fianco. Siamo ancora nudi e sentirei freddo se non emanassimo così tanto calore. Mi sposta i capelli dietro la spalla, sfiorandomi il collo, le spalle e poi su verso il viso con i polpastrelli. Sorrido mordendomi il labbro perché mi sento così piena di serenità che mi sembra di non riuscirne a contenere abbastanza. È immerso nei pensieri, lo capisco perché mi guarda ma non mi osserva. La sua mano è ferma sul mio viso e sono costretta a riportarlo alla realtà perché sono troppo curiosa.

«Tutto okay?»

«Posso dirti una cosa?» Annuisco, è serio e non ha più l'aria rilassata di qualche minuto fa. «Però non voglio che tu ti arrabbi.»

«Perché dovrei?»

«Non te l'ho mai detto perché ho sempre pensato che fosse stupido da parte mia e che i miei non fossero problemi rispetto ai tuoi.» Corrugo la fronte alzandomi con il busto per ascoltarlo meglio. Il lenzuolo cade scoprendo i miei seni ma non mi preoccupo di coprirmi, lui è Elijah.

«Che stai dicendo?»

«Ricordi quando ci siamo incontrati da Mitchell?» Annuisco, forse so cosa vuole dirmi. «E quando siamo arrivati qui, mi hai chiesto cosa ci facessi lì?»

«Sì, poi ti sei arrabbiato.»

«Non mi sono arrabbiato.»

«Sì invece.»

«Semplicemente non era il momento giusto per dirtelo.» Lo guardo aspettando pazientemente che lo dica. «Anch'io vado alle sue sedute»

«Lo sapevo.» Ora lui è confuso e mi imita nella posizione.

«Come?»

«Questa cosa mi era passata per la testa ma ho preferito non chiedetelo perché volevo che fossi tu a dirmelo.»

«Da quanto lo sai?»

«Una volta ho sentito Janette fare il tuo nome in sala d'attesa. Per non parlare di tutte le volte che Mitchell ti ha nominato, seppur indirettamente.» Lui annuisce e sospira contemporaneamente, sembra essere un po' sollevato ed io non posso che capirlo. «È molto che ci vai?»

«Da quando avevo quindici anni, credo. A scuola vennero a sapere che ero stato adottato e usavano questa cosa contro di me.» Schiudo la bocca potendo solo immaginare un situazione così ingiusta. «Poi, sembra un po' stupida come cosa, ma non mi piacevo per nulla e non riuscivo ad accettarmi.»

«Sei stato tu a chiedere aiuto?»

«No, mia madre mi beccò col rasoio di papà. Solo che avevo quindici anni e la barba non ancora mi era spuntata.» Ridacchia malinconicamente ed io capisco subito cosa intende dire. Sento qualcosa spezzarsi dentro di me, mi rendo conto che per tutto questo tempo ho creduto di conoscerlo, ma in realtà non era così. «Quindi mi ci hanno trascinato ed è stato anche grazie a Mitchell se ho deciso di incontrare i miei genitori biologici.»

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