05. Scampare alla morte

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"Settantamila corone?"

"Sono l'equivalente di cinquecentoset-..." adesso crucciata in volto, Lóreley si passò la lingua sui denti, concentrata. "...-settantacinque euro, sì. Come avrà potuto intuire dal mio racconto, Johanna non si risparmia affatto quando sa di avere la vittoria in pugno. Perché, diciamocelo: se mia madre avesse potuto permettersi una bottiglia di Jameson alla settimana –nonostante sia astemia–, io non avrei mai preso in considerazione un lavoro part-time, è un dato di fatto".

"Scusa la franchezza, ma se fossi stata nei tuoi panni..."

"Lei avrebbe reagito, giusto? No, mi creda, avrebbe contato fino a dieci e sarebbe rimasta a terra come ho fatto io. La stratificazione sociale della Fær Øer parlava chiaro a quelle come me. Si metta nei miei panni per un momento, uno soltanto: io ero il fondo, la campagnola di Selfoss, la sfigata della borsa di studio e Johanna la cima, la bionda accattivante, nipote della Benóný, oltretutto".

"Ed è per questo che hai avuto paura di una come lei? Andiamo, quasi stento a crederci... è assurdo, inverosimile".

"Davvero trova difficile capirlo?"

"Non comprenderlo, anzi. È solo che certe dinamiche le trovo esagerate, Johanna è esagerata. Io credo che fosse solo una stronza egocentrica, tutto qua. Repressa e arrabbiata col mondo, molto probabilmente. Sbaglio?"

"Ha ragione, lo era eccome. Ma, anche se non sembra, la sua cattiveria ha una motivazione di fondo. Non la sto giustificando, sia chiaro, tuttavia ho sempre pensato che quel suo modo di agire fosse in realtà una finta. Johanna è abituata ad avere tutto sotto controllo, ogni stramaledettissima cosa, e i miei affronti devono averle mandato in tilt il cervello. Prenda in esame Edith, per esempio, il suo fantoccio preferito. Possiamo considerarla un mio opposto".

"Parli della timidona casa e chiesa?"

"Esatto".

Audrine mordicchiò il cappuccio della stilografica prima di parlare. "Non capisco dove vuoi arrivare".

"La tenga a mente, presto le spiegherò anche di questo".

Il ticchettare della pioggia condusse entrambe a un silenzio momentaneo e Lóreley ne approfittò per bearsi dell'ennesimo sorso d'acqua. Gli occhi le ricaddero sull'orologio appeso accanto alla porta: erano da poco passate le tre.

"E Werner?" le domandò all'improvviso Audrine.

"Cosa?"

"Insomma, mi è parso di tutto tranne che il tipico teenager pieno di soldi e con pochi meriti meritati".

"Sapeva da che parte stare, non l'ho mai biasimato per questo, nemmeno allora" la risposta di Lór risuonò calcolata e meccanica. "Siamo pur sempre animali sociali: che lo si voglia o meno, siamo costretti ad adattarci alle circostanze pur di sopravvivere".

"Arrivasti mai a ricambiarlo? Sentimentalmente, dico".

Lóreley si prese del tempo per rispondere. D'istinto gettò un'ulteriore occhiata alle spalle della dottoressa alla ricerca dell'orologio, come se volesse assicurarsi della veridicità del tempo, il suo tempo, quel poco che le era rimasto. L'attenzione le venne però a mancare: sul terzo scaffale della libreria di sinistra, lasciata lì a vegetare tra gli sbuffi di polvere e i tomi di psicologia, faceva capolino una foto di famiglia, conservata in una cornice gialla.

Un bagliore bianco, scandito da un fulmine lontano, la costrinse ad abbandonare quella fugace curiosità. "No. No, certo che no".

"Perché?"

Un boato soffocato dallo scrosciare dell'acqua anticipò quanto stava per dirle. "Io non facevo per lui".

"Sei molto carina, non sminuirti".

Litlaus - Incolore {COMPLETA}Where stories live. Discover now