02. Alla più str***a ✔

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Lór si trascinò oltre l'arcata che conduceva ai dormitori, sopportando gli spilli gelidi che le punzecchiavano le guance e il collo

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Lór si trascinò oltre l'arcata che conduceva ai dormitori, sopportando gli spilli gelidi che le punzecchiavano le guance e il collo.

Spinta dall'irresistibile desiderio di abbracciare il suo letto, continuò quella penosa marcia a occhi socchiusi, troppo sconvolta per riuscire a mascherare la camminata zoppicante. Björn e Bergljót non avevano proferito parola sulla sua decisione di rientrare a stomaco vuoto, poco propensi a chiederle spiegazioni sull'improvviso malessere che le aveva rovinato la cena. Tutto d'un tratto era impallidita, a detta di Björn, e del sangue aveva cominciato a colarle dal naso, tanto copioso da far schizzare Ber sulla sedia. Poi le sue pupille si erano fatte piccole e tremolanti come fiammelle, quasi avesse avuto modo di vedere un fantasma.

I due non avrebbero potuto capirla, Lór lo aveva metabolizzato uscendo dalla mensa col tampone nel naso, il secondo della giornata. Perché un fantasma lo aveva visto eccome, ma a poco sarebbe servito parlarne senza avere qualche certezza alla base: chi era Gaël Elíasson per lei? Avevano già avuto modo di incontrarsi? Se sì, dove? E come? Quando? A conti fatti, cosa volevano dire quelle percezioni? Lo erano per davvero? Oppure il suo cervello era bello che andato?

I deja-vù, i suoi deja-vù quotidiani, altro non erano che sensazioni, brividi, azioni e visioni; guazzabugli di roba destinati a rimanere tali, scarti esistenziali e memorie andate perdute –o semplici deliri?–. C'erano perché c'era lei e avrebbero continuato ad esserci perché così era stato deciso da chissà che cosa. Eppure niente prima di allora l'aveva sfregiata tanto nel profondo, nella carne, nell'anima, nella psiche.

Quegli abiti unti d'acqua, quelle labbra viola e salate, quell'espressione terrorizzata...

Terrorizzata. Una morte già vista, già vissuta.
Una morte che poteva non essere tale.
Era... era...
lasciami tornare

Lór si fermò e guardò la felpa chiazzata di sangue. Focalizzò la sua Selfoss nella testa e viaggiò a ritroso negli anni, giungendo sull'uscio dei suoi otto anni.

Mi è già successo. Sì, è già successo. Gaël non è il primo. Io ho già predetto in passato.
eri troppo piccola per capire

Quel nome risuonò come un eco nelle sue orecchie, dapprima soffocato dal senso di colpa e poi urlato vicino al cuore.

Ían. Ían Geirsson.
Ían...
ho commesso un errore
non avrei

Un brivido la invogliò ad accelerare il passo.

Come ho fatto a dimenticarmi di lui?
non avrei dovuto
forzati

Mentre percorreva a grandi falcate la scalinata, il suo subconscio si decise a vomitare tutto quello che gli era indigesto. Ían Geirsón, quel bambino paffuto e riccioluto investito da un'auto nera proprio fuori il cancello della scuola, sui confini del parco naturale di Selfoss. Morto sul colpo. Morto a causa di un pessimo tempismo, vittima di uno scherzo del destino a senso unico. Morto e basta.

Litlaus - Incolore {COMPLETA}Where stories live. Discover now