01. Godi il momento.

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Avevo sentito dire che Casa fosse il luogo in cui si nasce e si cresce, dove eri semplicemente te stesso e per cui avresti riserbato solo dolci ricordi. 

Avevo studiato che Ulisse aveva combattuto pur di ritornarci, mentre Astolfo era ancora alla sua ricerca. Avevo sperato che Casa potesse averla anche qualcuno che non c'era più.

Avevo finito così per credere che Casa non fosse un luogo, ma l'insieme delle persone che amavi e che sarebbero state per sempre nel tuo cuore.

31 Maggio, ore 13.21

Improvvisamente l'anta del mio armadietto si chiuse a pochi millimetri dal mio naso, il vuoto blu metallizzato, che stavo osservando dentro di esso, cedette il posto al viso allegro di James. Balzai all'indietro portandomi una mano al petto.

«Cazzo, James! Mi hai fatto venire un colpo! Potevi anche tagliarmi una mano!» sbraitai irritata. La cosa sembrò non toccarlo più di tanto. Rise di gusto ponendomi un braccio attorno le spalle. Prese il mio zaino da terra guidandomi verso l'uscita della Columbia.

«Ti ho chiamata per due interi minuti, Delaney, stavi proprio con la testa tra le nuvole, dovevo fare qualcosa di drastico per svegliarti» si giustificò facendo spallucce. Scossi il volto visibilmente provata. Gli puntai un dito contro.

«Non ci provare, non mi hai chiamata! Ti avrei sentito, altrimenti.» Misi il broncio strappandogli lo zaino dalle mani. Feci dei passi in avanti solo per dare forma alla mia protesta silenziosa.

«Ma dove stai andando, Dely? Lo sai che dobbiamo fare la stessa strada per tornare a casa! Identica strada!» gridò prima di raggiungermi con un paio di falcate, non che ce ne volessero di più, in realtà.

«Abitiamo nella stessa casa!» lo corressi mantenendo il mento alzato per non cedere alle sue provocazioni. La mia statura copriva a malapena la visuale sulle sue spalle, figurarsi puntare i miei occhi nei suoi. Avrebbe potuto farmi veramente male se mi fossi mossa all'improvviso.

Mi fermò piazzandosi dinanzi, tenendomi ferma per le braccia. I suoi smeraldi luccicavano sotto la luce del sole cocente. Era tipico suo sfoderare l'arma dello sguardo: non potevo resistergli. Mi morsi un labbro roteando gli occhi al cielo poiché avevo già intuito come si sarebbe evoluta la conversazione.

«Mi perdoni, Dely?» supplicò incrociando le mani davanti al mio volto volubile. Sospirai rumorosamente dopo quella domanda. In effetti, non aveva fatto nulla di così grave e imperdonabile, ma avrei avuto la mia rivincita.

Allungai una mano fino a scombinargli i capelli.

«Ora siamo pari, ma vedi che lo faccio solo per Noora perché prepara un ottimo polpettone. Non vorrei che ne desse di più a te solo perché sei suo figlio e che lei mi considerasse una strega, fratellino.» Lasciai che il suo braccio tornasse di nuovo ad accerchiarmi le spalle. Quei piccoli battibecchi costituivano da anni la nostra quotidianità.

«Ma lo sai che la mamma ti ama come se fossi figlia sua.» Lo sapevo bene, era una donna eccezionale con un figlio altrettanto fantastico.

«La stessa cosa vale per papà!» sorrisi appoggiando la mia testa sulla sua spalla. James mi strinse a sé lasciandomi un bacio tra i capelli.

«Siamo una famiglia, ovviamente. Ma è successo qualcosa? Ti sento strana ultimamente...» Scossi la testa. Non volevo farlo preoccupare più del necessario, però non riuscivo a mentirgli.

«È solo che... Ho una strana sensazione, da un po' di tempo. Ho fatto dei brutti sogni in cui venivamo separati e mi sento giù. È tutto fin troppo perfetto... Voglio dire, noi insieme all'università, i nostri genitori anche...»

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