32. Corpo a corpo.

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Quel respiro rotto si levò in mezzo alla sala nella più soffusa delle tenebre. Non avevamo idea di chi fosse con noi e cosa avesse udito. Nel caso estremo, però, saremmo ricorsi a qualsiasi mezzo a nostra disposizione.

«Chi c'è? Esci allo scoperto, vigliacco!» gridò Lake balzando in piedi. Tutti avevano alzato la guardia, pronti a combattere: erano davvero preparati per ogni evenienza. Bastò un semplice quanto impercettibile movimento degli occhi di Christopher per dare il via alla squadra.

Kit si fece cadere all'indietro dalla sedia e, mentre il legno pesante toccava il suolo per la prima volta, la sua figura si era già teletrasportata alle spalle di quell'ombra. Allo stesso modo, Lake saltò in avanti in un buco scuro di antimateria per braccare il sospettato.

Sia JJ che Max avevano tirato fuori le pistole, mentre Sol lanciò la sua frusta in direzione dei compagni agganciando il bersaglio: tirato a sedere sulle ginocchia e con le lacrime agli occhi vi era Mike.

Lo sgomento era visibile sul volto di tutti. Capendo che non fosse un nemico, cercarono di rimediare per metterlo a suo agio.

I ragazzi alle sue spalle lo aiutarono a rialzarsi rendendosi conto del malinteso, chiedendo il motivo della sua furtività, mentre Sol ritirava la propria arma.

«Mallek?» domandò con un filo di voce il ragazzino spaventato tra un singhiozzo e un altro, senza mai alzare il tono. Il biondo era scosso come mai lo avevo visto. Era solo un bambino spaurito e noi lo avevamo trattato come un criminale.

«Mallek è vivo?» ripeté con rinnovato vigore.

Le iridi di tutti i presenti puntarono nella mia direzione: ero l'unica che sarebbe stata capace di rispondere al quesito con sincerità. Scossi il capo per assenso. «L'ho sognato... sono certa mi stia aspettando» affermai portandomi in avanti.

Mike aveva un nodo alla gola. Utilizzò un avambraccio per coprire le iridi splendenti ricolme di lacrime. Quando voletti dare il mio contributo, un piccolo scricciolo mi precedette: Lake abbracciò lo sconsolato afferrando saldamente la sua nuca. Seppur non gli volesse mai rivolgere parola, lui era uno dei suoi più cari amici.

«Lo troveremo e lo porteremo a casa, te lo prometto» gli confidò in un orecchio certa nella nostra riuscita.

***

Quattordicesimo giorno

Mi ero trovata a dover seguire la routine così come mi aveva consigliato Chris. Avremmo agito nell'ombra del Consiglio, cercando indizi e pensando a soluzioni che avrebbero potuto portarci un passo più vicino alla verità. Qualcosa non quadrava, ma non avremmo smesso di fare il nostro dovere.

Fino a nuovo ordine avrei dovuto continuare a seguire le lezioni di Sander a tempo pieno. Ero la sua allieva. O meglio, una dei suoi innumerevoli protetti. Era difficile tenere il conto quando i bambini non la smettevano di teletrasportarsi.

«Non usare i tuoi poteri dinanzi a nessuno dei presenti. Ti ricordo che sei qui come una studentessa del primo anno, capace solo di bloccare il tempo. Non lo manipoli, né ti teletrasporti, né lo predici, ci siamo intesi?» Sander mi si affiancò senza mai distogliere lo sguardo dai ragazzini urlanti. La lezione doveva ancora iniziare: il bastone non aveva ancora toccato il suolo.

«Vedo che le notizie corrono veloci» ammisi non troppo sorpresa.

«Solo quando vieni aggiornato dal fratellino e dalla fidanzata in piena notte.» Mi sorrise beffardo. «A ogni modo, mi dispiace per ieri. Non mi sarei dovuto mostrare così fragile e incapace di gestire le mie emozioni.» L'uomo non aveva mai dato segni di cedimento prima di quel momento: ma non lo biasimavo, io non ero migliore. I sentimenti regnavano la mia vita e, in un certo senso, anche i miei poteri.

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