Ember

By FDFlames

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[Fantascientifico/Distopico] 🏆VINCITRICE WATTYS 2021🏆 Serie "Ember" - Libro 1 Ember è il nuovo nome che l'u... More

Premi e Riconoscimenti
Aesthetic dei Personaggi Principali
Glossario e Pronunce
Prefazione
Mappa
Prologo I
Prologo II
Prologo III
Prologo IV
Parte I - L'Imperatore lo sa
Capitolo Uno
Capitolo Due
Capitolo Tre
Capitolo Quattro
Capitolo Cinque
Capitolo Sei
Capitolo Sette
Capitolo Otto
Capitolo Nove
Capitolo Dieci
Capitolo Undici
Capitolo Dodici
Capitolo Tredici
Capitolo Quattordici
Capitolo Quindici
Capitolo Sedici
Capitolo Diciassette
Capitolo Diciotto
Capitolo Diciannove
Capitolo Venti
Capitolo Ventidue
Capitolo Ventitré
Capitolo Ventiquattro
Capitolo Venticinque
Capitolo Ventisei
Capitolo Ventisette
Capitolo Ventotto
Capitolo Ventinove
Capitolo Trenta
Capitolo Trentuno
Capitolo Trentadue
Capitolo Trentatré
Capitolo Trentaquattro
Capitolo Trentacinque
Capitolo Trentasei
Capitolo Trentasette
Capitolo Trentotto
Capitolo Trentanove
Capitolo Quaranta
Capitolo Quarantuno
Capitolo Quarantadue
Capitolo Quarantatré
Capitolo Quarantaquattro
Parte II - L'Onirico
Capitolo Quarantacinque
Capitolo Quarantasei
Capitolo Quarantasette
Capitolo Quarantotto
Capitolo Quarantanove
Capitolo Cinquanta
Capitolo Cinquantuno
Capitolo Cinquantadue
Capitolo Cinquantatré
Capitolo Cinquantaquattro
Parte III - L'Aldilà
Capitolo Cinquantacinque
Capitolo Cinquantasei
Capitolo Cinquantasette
Capitolo Cinquantotto
Capitolo Cinquantanove
Capitolo Sessanta
Capitolo Sessantuno
Epilogo
Playlist

Capitolo Ventuno

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By FDFlames

Il refettorio dell'Accademia della Guerra era pressoché vuoto, a quell'ora della sera, salvo per un gruppo di studenti del centosettantacinquesimo corso rapiti dallo spettacolo proiettato su un grande schermo, e alcuni altri studenti più grandi, intenti a giocare a carte o semplicemente a conversare. I minuscoli gruppetti erano sparpagliati per le lunghe tavolate, e ognuno si preoccupava solo ed esclusivamente degli affari propri.

Fino alla mezzanotte, gli studenti potevano consumare pasti e bevande – in questo senso, il refettorio funzionava esattamente come un bar – e gli schermi restavano accesi anche per tutta la notte, mostrando film, notiziari, o altri spettacoli.

Il refettorio dell'Accademia della Guerra era identico a quello dell'Accademia delle Scienze, e non vi erano divieti od obblighi da parte degli studenti dei differenti indirizzi di consumare i propri pasti in una specifica mensa. Il fatto era che i due locali erano diametralmente opposti, e non era quindi affatto comodo, per un qualsiasi studente, recarsi nel refettorio dell'Accademia opposta, considerando che le lezioni si svolgevano nelle rispettive ali.

Larenc e Solean erano seduti al margine di uno dei lunghi tavoli. Non si erano mossi dall'ora di cena, che avevano consumato insieme a Kerol, Loura e Rozsalia. Le due sorelle si erano congedate per prime, dicendo di voler passeggiare per i giardini e passare un poco di tempo insieme. Kerol se ne era andata una mezz'ora dopo, sostenendo di avere di meglio da fare.

Solo allora Solean aveva cominciato a parlare più approfonditamente di quella che era stata la sua esperienza nella casa dei Raksos. Aveva mostrato a Larenc il suo diario improvvisato, composto da fogli liberi, alcuni lisci e alcuni a righe, chiedendo conferma all'amico a ogni passaggio, che quelli che aveva presunto essere i suoi ricordi non fossero semplici pensieri, paure, o incubi.

Larenc aveva annuito, per le parti che lo riguardavano. Sembrava che avesse recuperato molti ricordi del loro tempo passato insieme, e questo lo faceva sentire meglio. Lo faceva sentire più vicino all'amico che temeva di aver perduto.

Il senso di colpa che aleggiava negli occhi di Solean, tuttavia, non sembrava essersi affievolito, all'aumentare delle conferme di Larenc che i suoi ricordi erano autentici. Al contrario, l'espressione sul volto del giovane Djabel sembrava essersi fatta ancora più grave.

«Qual è il problema?» chiese a un tratto Larenc, durante uno degli sporadici silenzi che erano venuti a crearsi.

Per un po', lo sguardo di Solean rimase fisso fuori dalla finestra. Dal refettorio dell'Accademia della Guerra si poteva vedere oltre i confini della scuola, nel quartiere militare di Fogad. Le abitazioni erano squadrate, i palazzi alti e neri, le finestre piccole, e tutte identiche. Il quartiere di Wedenak era diverso.

«Solean, me lo vuoi spiegare?» insistette Larenc.

Solean fu costretto a voltarsi, e a incontrare gli occhi dell'amico, mentre essi esploravano i suoi, alla ricerca di un qualche indizio. Solean chiuse gli occhi e sospirò, impedendoglielo. Dopotutto, anche se Larenc avesse continuato, non gli sarebbe piaciuto, ciò che avrebbe trovato.

«Riguarda i Raksos.» confessò.

Larenc si tirò indietro, appoggiandosi allo schienale, soddisfatto che Solean si stesse finalmente aprendo. Gli fece cenno di continuare, e l'altro obbedì.

«Come ho già detto, sono dovuto fuggire. E non è stato facile.»

Solean raccontò di aver sentito i Raksos parlare di qualche faccenda sospetta, di aver origliato e poi di essersi barricato in camera. Disse che poi loro erano riusciti a entrare, ma nel frattempo lui aveva recuperato la sua abilità di creare illusioni, richiamando i quattro lupi. Poi, uscito dalla stanza aveva rinchiuso i due all'interno – se erano riusciti a entrare forzando la serratura, pensò che sarebbero riusciti a uscire allo stesso modo.

Larenc annuiva, e man mano che Solean avanzava nel suo racconto, le sue sopracciglia andavano aggrottandosi, come se fosse sempre più insoddisfatto delle decisioni prese dall'amico.

Solean temette proprio questo, e abbassò lo sguardo, quando rivelò l'ultima parte.

Raccontò del grande ragno, del quale era riuscito a prendere il controllo, in qualche modo, facendolo scomparire. «O, forse, semplicemente, si è trattato di tempismo.» suppose, alzando le spalle. Ormai Solean aveva preso a fissare il tavolo.

«Che cosa intendi dire?» domandò Larenc.

«Le illusioni, anche quelle autonome, che non hanno bisogno di una costante concentrazione per continuare a esistere, svaniscono, quando il Djabel che le controlla muore. Non è così?» chiese conferma, solo allora alzando gli occhi, impauriti e colpevoli.

«Solean,» iniziò a dire Larenc, «Che diavolo—»

«I miei lupi erano sporchi di sangue.» lo interruppe Solean, ora capace di sostenere il suo sguardo, «Sangue vero. Erano illusioni realistiche. Questo significa che almeno una parte delle loro azioni ha avuto ripercussioni sul mondo reale. Significa che quando io ho ordinato loro di attaccare i Raksos, io...»

Larenc scosse la testa, come a pregarlo di smettere di parlare.

Ma Solean continuò. «Io li ho uccisi, Larenc.» confessò, «Ho ucciso i miei genitori adottivi. Proprio ora che il loro metodo, qualunque esso fosse, stava cominciando a dare i suoi frutti, e io stavo cominciando a ricordare qualcosa.» disse, facendo cenno alle pagine di diario.

Posò entrambi gli avambracci sul tavolo, i pugni chiusi, e posò poi la testa su di essi. Le sue lacrime vennero nascoste dalla massa di capelli biondi che sobbalzava leggermente a ogni singhiozzo.

«Ho ricordato di te, di Matyas, e anche degli altri nostri due amici, Niklas e Gyorji.»

Larenc annuì, riservando un pensiero agli amici che non vedeva da tempo. Edordy Niklas era un Tesrat Comandante, e frequentava come lui il centocinquantunesimo corso. Zorny Gyorji era invece un Tesrat Semplice, compagno di corso di Solean, impegnato a Revhely la maggior parte del tempo. Era da tempo che non li incontrava, ma i ricordi dei tempi passati tutti e cinque insieme erano dei più preziosi che custodisse.

Che Solean li avesse recuperati era solo che positivo. Non avrebbe dovuto sentirsi così.

«E Matyas,» riprese Solean, senza però sapere come continuare.

Gli occhi di Larenc si spalancarono, per un momento. Come se avesse paura.

«Ho ricordato perché ti seguiva ovunque. Perché passavate così tanto tempo insieme.»

Larenc si morse il labbro, e abbassò lo sguardo. Incrociò le braccia sul tavolo, e si strinse in una sorta di abbraccio solitario.

Poi annuì.

E Solean sentì il peso di una nuova colpa gravare su di lui. Quel giorno, la sua spavalderia e il suo sfregio avevano derubato Larenc di due persone estremamente importanti per lui.

Non erano solo amici. Come aveva potuto dimenticarlo?

«Mi dispiace,» iniziò a dire Solean, «Per Matyas.»

Larenc scosse la testa, e si strofinò l'occhio sinistro con il dorso della mano. «È colpa della guerra.» disse lui.

Solean sprofondò di nuovo, posando la testa sulle proprie mani, e tornando a fissare il tavolo, incapace di sostenere lo sguardo dell'amico. «E mi dispiace anche per i Raksos. E il motivo è sempre quello. Se solo avessi saputo controllarmi, forse—»

«Non è colpa tua.» cercò di convincerlo Larenc, posando una mano sulla sua testa, dall'altro lato del tavolo.

Solean alzò il mento, e i suoi occhi nocciola gonfi di lacrime incontrarono ancora una volta quelli di Larenc.

«Se hai agito in quel modo, è perché non avevi scelta.» disse Larenc, «È perché non sarebbe mai potuta andare in qualunque altro modo. E l'Imperatore lo sa.» ripeté quelle parole, come se fosse un mantra.

«Ma io non so quello che l'Imperatore sa.» ribatté Solean, asciugandosi gli occhi. Non aveva la certezza che ciò che aveva fatto fosse davvero il meglio.

Larenc assunse un'espressione pensosa, e ritrasse la mano. «Ma tu sai che l'Imperatore sa ciò che è meglio per Zena.» cercò di rassicurarlo, «Quindi puoi stare certo che la morte di quei Megert sia avvenuta per un giusto scopo. Sapendo questo, non hai motivo di sentirti in colpa.»

«Ma ciò che è meglio per Zena non è necessariamente ciò che è meglio per me.» disse ancora Solean.

Questa volta, Larenc non poté ribattere.

«So che è un pensiero egoista,» riprese Solean, poco dopo, «Ma essere egoista, in una certa misura, è umano, non credi? E io sono umano. Io sono un Ember. L'Imperatore sa anche questo.»

Larenc annuì. Capiva dove Solean volesse arrivare.

«Larenc, tu credi che io abbia agito per egoismo?» chiese, infatti.

«No, Solean,» rispose immediatamente l'altro, sincero, «Credo che tu abbia agito per necessità. Non riuscivi a vivere, lì dentro. Non era la tua casa. Non più. I ricordi di quei tempi, quelli in cui ancora vivevi con i Raksos, non ti erano mai stati particolarmente cari.» spiegò Larenc, mentre Solean annuiva, volenteroso di credere, «Credo che i Raksos, avendo saputo delle conseguenze del tuo sfregio, in qualche modo, abbiano voluto riprenderti con loro, per fare in modo che le cose tornassero come un tempo. Volevano avere di nuovo quella sorta di famiglia felice che eravate prima che...» Larenc non trovò le parole.

«Prima che... cosa?» insistette Solean.

Larenc gli lanciò un'occhiata colma di tristezza. «Prima che conoscessi Marton Matyas, e voi due decideste di diventare partner. In altre parole, prima che tu venissi a vivere qui all'Accademia.»

Scosse lievemente la testa, come a fare intendere a quei ricordi e quelle lacrime che non era il momento di venire a galla. «Ma, soprattutto, credo che tu abbia agito per amore.» continuò Larenc.

Solean arrossì. Non perché si vergognasse, ma perché sentiva che quella era la verità. Lo aveva sempre sentito, ma gli era apparsa come una scusa. E una scusa stupida, per giunta.

«Come tu stesso mi hai raccontato, era stata Rozsalia, in sogno, a pregarti di tornare.» riprese Larenc, «Tu sei tornato per lei. E questo tuo amore per lei è tanto puro che – ti assicuro – potresti perdonare a te stesso qualsiasi misfatto compiuto in nome di Rozsalia.»

«Qualsiasi misfatto, dici?» ripeté Solean, sentendo il peso sul suo cuore alleggerirsi, e volare via.

«Se anche mi uccidessi, solo perché te lo ha chiesto lei, io non avrei nulla da ridire.» scherzò Larenc, alzando le braccia, per poi ridere, copiato da Solean.

Entrambi sapevano che vi era un fondo di verità, in quelle sue parole. Ed entrambi sperarono che non si sarebbe mai dovuti arrivare a tanto.

Si alzarono dal tavolo, finalmente lasciando i vassoi con piatti e bicchieri vuoti sul nastro trasportatore che li avrebbe riportati in cucina. Uscirono dalla porta del primo piano del refettorio e si incamminarono lungo il corridoio dell'Accademia della Guerra, che conduceva al corridoio circolare centrale. Poi, senza dirsi nulla, si incamminarono in direzione delle rispettive camere.

La sensazione di solitudine colpì entrambi, quando Larenc prese la destra, anziché la sinistra. Si fermarono nello stesso istante, e si voltarono a guardarsi, come se fosse un tradimento, da parte dell'uno, non seguire l'altro.

Larenc aprì la bocca, come per parlare, ma poi cambiò idea, e salutò Solean con un semplice cenno della mano, voltandosi e riprendendo a camminare.

I giorni insieme erano finiti, senza che nessuno di loro due se ne accorgesse. Erano finiti due volte. Una volta, quando Solean era scomparso in seguito allo sfregio cerebrale. E poi erano finiti quando, appena si erano riconciliati, Larenc era stato costretto a trasferirsi dalla parte opposta dell'Accademia, e condividere la camera con Lanes Kerol.

Solean non la odiava. Non avrebbe potuto. Eppure, se non fosse stato per lei, lui e Larenc avrebbero potuto continuare a stare insieme, come amici, come fratelli, forse anche come partner.

Larenc si voltò troppo rapidamente perché Solean avesse il tempo di dire qualcosa. Il giovane rimase per un po' a guardare l'amico allontanarsi, ma poi l'orologio dell'Accademia suonò le ventitré, e anche lui si incamminò in direzione della propria stanza.

Entrò per trovare Rozsalia già addormentata, raggomitolata sotto le coperte, come se avesse freddo, o paura, o entrambi. La sua espressione non era affatto serena, ma quasi appariva corrucciata, o timorosa. Il suo sonno era indubbiamente agitato.

Solean si preparò ad andare a dormire rapidamente e silenziosamente, e allo stesso modo si addormentò. Non ebbe il tempo di pensare di raggiungere Rozsalia con i suoi pensieri in modo da sperare di incontrarla nei suoi sogni. Ma nemmeno ne ebbe il bisogno.

Solean la vide piangere, sul punto di annegare tra le sue lacrime, alla deriva in un mare tempestoso, sola su una nave in balìa delle onde. Le vele erano stracciate, e il timone virava per conto proprio, seguendo la corrente.

Solean era aggrappato al pennone, sull'albero maestro. La vela quadra era sbrindellata, e ci mancava poco che fosse strappata a metà. Il giovane si calò dalle sartie, seppure anch'esse fossero rotte. Più di una volta, il suo piede incontrò l'aria al posto di una corda, e più di una volta il cuore gli salì in gola.

È solo un sogno, si ripeteva il giovane, ogni volta che ciò accadeva. Eppure, continuava a temere per la sua vita, e soprattutto per quella di Rozsalia.

Si calò da una cima dell'albero maestro, e raggiunse il ponte. Rozsalia non diede segno di averlo notato, continuando a singhiozzare, e a piangere. Le sue lacrime andavano a unirsi all'oceano tempestoso.

Solean si sentì colpevole per ogni goccia di quel mare sconfinato. Ogni lacrima mai versata da Rozsalia.

«Mi dispiace,» mormorò il giovane, «È colpa mia.» continuava a ripetere, meccanicamente, mentre la stringeva a sé. Rozsalia ricambiava l'abbraccio, ma non diceva una parola, continuando invece a singhiozzare e a piangere.

Solean capì come doveva sentirsi. La sensazione di venire strangolati, di non poter articolare le parole, di non riuscire ad aprire la bocca. Era ricorrente in molti dei suoi incubi, nei quali non era in grado di chiedere aiuto. Solean non aveva molti ricordi della sua vita, ma aveva chiaro ogni momento di terrore passato rinchiuso in uno di quei sogni.

Capì che l'acqua si stava alzando. La nave stava affondando, e in fretta. Sarebbero rimasti sommersi.

Dal punto in cui si trovava, nel cuore della tempesta, Solean non riusciva a vedere nulla. Forse sarebbe stato meglio gettarsi in acqua, e nuotare fino alla riva, ma dove era la riva?

L'unica speranza era andare verso l'alto. Se avessero raggiunto la cima dell'albero maestro, forse avrebbero visto qualcosa, e nel peggiore dei casi, sarebbero annegati più tardi.

Solean istruì Rozsalia in fretta, su come aggrapparsi alla cima per arrampicarsi, e salì per primo. Di tanto in tanto, lanciava un'occhiata da sopra la spalla, per accertarsi che la giovane lo stesse seguendo. Sembrava che Rozsalia stesse procedendo bene. Inoltre, aveva smesso di piangere, e i suoi occhi, prima gonfi di lacrime, erano ora pieni di una silenziosa determinazione.

Solean si aggrappò alle sartie, ondeggiando verso sinistra, e tendendo una mano a Rozsalia per darle un appoggio mentre anche lei saliva.

Si arrampicarono, sempre più su, mentre il sogno rendeva quella salita infinita, ma non faticosa. I due si allontanarono tanto da non riuscire più a sentire il rimbombo dei tuoni e l'agitarsi delle onde. E, infine, raggiunsero il pennone.

Solean vi salì senza timore, sedendosi poi con le gambe a penzoloni. Rozsalia fu più restia, e rimase aggrappata alla punta dell'albero maestro, con la paura di cadere.

Ma nemmeno le vertigini riuscirono a farle distogliere gli occhi dallo spettacolo che si proiettava davanti ai suoi occhi.

L'oceano si estendeva sconfinato, oltre la tempesta, fino a dissolversi in altre nuvole, più lontane, e rosate dai primi raggi dell'alba. Non vi erano coste o terre che i due potessero vedere, dal punto in cui si trovavano, ma solo una distesa infinita di onde, lo sporadico spruzzo di schiuma a destra o a sinistra. E, pian piano, i raggi del sole si fecero dorati, e più intensi.

Il porpora svanì dall'orizzonte dietro di loro, dando spazio al rosso, al rosa, attraversando il verde e l'oro prima di raggiungere il tanto ambito azzurro.

Quando il sole si alzò tanto da colpire Rozsalia con uno dei suoi raggi, la giovane si schermò il volto con una mano, rimanendo saldamente aggrappata all'albero maestro con l'altra.

Solean si alzò in piedi, intenerito da quel suo timore insensato, di cadere, in un sogno.

Senza che lei lo vedesse, prese il suo braccio, costringendola a staccare la mano dall'albero maestro per aggrapparsi a lui.

Rozsalia, infatti, sussultò e chiuse gli occhi, istintivamente, stringendo forte la manica della giacca di Solean.

Il giovane ridacchiò, e questo costrinse Rozsalia ad alzare lo sguardo, incontrando quello di Solean.

Gli occhi di Rozsalia erano ingenui, cristallini, e puri. Erano più belli dell'alba che avevano appena visto, più incantevoli del mare e del cielo tutt'attorno a loro.

«Non devi aver paura.» disse Solean, sorridendo. Erano così vicini che poteva sentire il silenzioso respiro di lei sulla sua pelle accarezzarlo come avrebbe fatto una brezza di primavera.

Con la mano destra, Solean scostò una ciocca di capelli, che le copriva il viso, e con le dita tracciò il contorno della sua guancia.

Rozsalia rimase immobile, come ammaliata. Come in attesa.

«È solo un sogno.» disse Solean.

Rozsalia annuì, senza distogliere lo sguardo. E continuò a guardare quegli occhi dolci e gentili, mentre Solean la stringeva più forte.

«È solo un sogno.» ripeté lei, un attimo prima che le loro labbra si incontrassero.

Spazio autrice

Bentrovati, miei carissimi Ember!

Allora, è ufficiale tra Solean e Rozsalia? O è solo un sogno? Magari non è un problema che lo sia...

Ho rovinato qualche ship per la quale stavate sperando? (Tipo quella già affondata di Matyas x Larenc?)

Questo non significa che le dinamiche ora siano destinate a diventare "statiche"! Sarebbe un controsenso.

Confessatemi pure tutte le coppie per cui sperate succeda qualcosa, non avrà alcun effetto sulla trama visto che l'ho già scritta tutta.

A presto!

F. D. Flames

Ogni immagine utilizzata appartiene al rispettivo artista.

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