Ember

By FDFlames

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[Fantascientifico/Distopico] 🏆VINCITRICE WATTYS 2021🏆 Serie "Ember" - Libro 1 Ember è il nuovo nome che l'u... More

Premi e Riconoscimenti
Aesthetic dei Personaggi Principali
Glossario e Pronunce
Prefazione
Mappa
Prologo I
Prologo III
Prologo IV
Parte I - L'Imperatore lo sa
Capitolo Uno
Capitolo Due
Capitolo Tre
Capitolo Quattro
Capitolo Cinque
Capitolo Sei
Capitolo Sette
Capitolo Otto
Capitolo Nove
Capitolo Dieci
Capitolo Undici
Capitolo Dodici
Capitolo Tredici
Capitolo Quattordici
Capitolo Quindici
Capitolo Sedici
Capitolo Diciassette
Capitolo Diciotto
Capitolo Diciannove
Capitolo Venti
Capitolo Ventuno
Capitolo Ventidue
Capitolo Ventitré
Capitolo Ventiquattro
Capitolo Venticinque
Capitolo Ventisei
Capitolo Ventisette
Capitolo Ventotto
Capitolo Ventinove
Capitolo Trenta
Capitolo Trentuno
Capitolo Trentadue
Capitolo Trentatré
Capitolo Trentaquattro
Capitolo Trentacinque
Capitolo Trentasei
Capitolo Trentasette
Capitolo Trentotto
Capitolo Trentanove
Capitolo Quaranta
Capitolo Quarantuno
Capitolo Quarantadue
Capitolo Quarantatré
Capitolo Quarantaquattro
Parte II - L'Onirico
Capitolo Quarantacinque
Capitolo Quarantasei
Capitolo Quarantasette
Capitolo Quarantotto
Capitolo Quarantanove
Capitolo Cinquanta
Capitolo Cinquantuno
Capitolo Cinquantadue
Capitolo Cinquantatré
Capitolo Cinquantaquattro
Parte III - L'Aldilà
Capitolo Cinquantacinque
Capitolo Cinquantasei
Capitolo Cinquantasette
Capitolo Cinquantotto
Capitolo Cinquantanove
Capitolo Sessanta
Capitolo Sessantuno
Epilogo
Playlist

Prologo II

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By FDFlames

21 marzo 1579

Rozsalia e Loura stavano camminando in direzione della biblioteca dell'Accademia. Erano le sole nel vasto e largo corridoio, costeggiato dagli ampi archi che offrivano una vista sui giardini olografici all'esterno. Rozsalia lanciava occhiate alla sua destra per tentare di scorgere qualche spiraglio di sole che filtrasse dalle nuvole, dalle chiome degli alberi, e che raggiungesse la terra scura, resa un tappeto verde e soffice dalle illusioni. Loura, invece, guardava davanti a sé, pronta a riservare il più torvo degli sguardi a chiunque avessero incrociato.

I passi delle due sorelle riecheggiavano sul pavimento di pietra. Quelli di Loura erano più lenti ma regolari in ritmo e in intensità, mentre Rozsalia sembrava camminare a piccoli scatti, ancora rapita dal paesaggio fittizio fuori dalla finestra. Cercava di fare del suo meglio per tenere il passo della sorella maggiore.

Solo quando raggiunsero la fine del corridoio, e quindi l'atrio, Rozsalia parve scendere dalle sue soffici nuvole di sognatrice. Smise di ricercare i raggi dorati del nuovo sole di primavera, e lasciò che fosse la luce più fredda e bianca proveniente dall'alto soffitto dell'Accademia a illuminare anche i suoi pensieri.

E anche questi tornarono a essere freddi.

Fu come se si fosse appena ricordata di tutte le sue preoccupazioni, quelle che aveva accantonato fino ad allora. E rischiò di affogare in quel mare. Ogni passo ora significava la possibilità di cadere e non riuscire a tornare mai più in superficie, e la necessità di appoggiarsi a sua sorella si faceva sempre più grande, diventava un istinto, uno che non era in grado di reprimere.

Fu costretta a dare voce ad almeno una delle sue preoccupazioni. «Pensi che sia vero?» domandò, quando raggiunsero la parte centrale dell'atrio. La sua voce era quasi del tutto sovrastata dal suono dell'acqua che scrosciava nella fontana centrale. «La Djabel del Dragone tornerà all'Accademia della Guerra?» specificò, poi.

«Non credo proprio» rispose Loura, scettica, tranquillizzando la sorella minore, continuando a camminare, senza degnarla nemmeno di uno sguardo. «Se mai metterà di nuovo piede a Zena, verrà spedita a Gejta.»

Rozsalia si spaventò al solo sentir nominare quel luogo, e si portò una mano alle labbra, per evitare che da esse sgusciassero parole che l'avrebbero fatta apparire debole – fin troppo debole – di fronte alla sorella. Loura non lo avrebbe tollerato.

Gejta era la prigione di Zena. Si trovava in realtà in un'altra dimensione, come Noomadel, ad esempio, ed era accessibile tramite un portale onirico situato a Fogad, quartier generale dell'Accademia della Guerra.

«Non lo augurerei a nessuno» disse Rozsalia, incapace di desiderare il male, o di concepirlo, nonostante il mondo in cui viveva.

«Non la conosci nemmeno» le fece notare Loura.

«Ma Larenc sì, e non mi ha mai parlato male di lei» rispose Rozsalia.

«Voi due non siete in grado di parlare male di nessuno» sospirò la sorella, sistemandosi gli occhiali.

Loura tentava ormai da tempo, fallendo, di nascondere ciò che il suo cuore provava per Larenc. Era uno studente dell'Accademia della Guerra, e già alla sua età – ventitré anni – aveva raggiunto il rango di Tesrat Comandante. Proveniva da una delle famiglie militari più importanti di Zena intera, la famiglia Endris, ed era l'unico figlio di Endris Walturn, un Halosat Guardia Imperiale.

Larenc era volenteroso di combattere, e sognava di riportare la pace a Zena, una pace che lui non aveva mai conosciuto. Non aveva ambizioni, ma sogni. Non voleva scalare la gerarchia militare, ma si sarebbe accontentato di entrare a far parte degli Orsem nel Reparto di Strategia e Ingegneria.

Era una branca che ben si combinava con l'area di studi di Loura, poiché il Reparto di Strategia e Ingegneria era ciò che costituiva un ponte tra l'Accademia della Guerra e quella delle Scienze, della quale lei stessa faceva parte.

Anche Loura era povera di ambizioni, e tutto ciò che voleva era scoprire sempre di più sul suo mondo, che ogni giorno si dimostrava più intricato e misterioso. Lei e Larenc erano accomunati dal desiderio di conoscenza, e da quello di rendere Zena un posto migliore.

Ma Larenc non si curava di lei. Non l'aveva mai notata. Larenc aveva occhi solo per Rozsalia.

Solo quando uscì dal vortice dei suoi pensieri Loura udì i passi di un'altra persona, dietro di loro. Erano passi timidi, impacciati. Appartenevano a qualcuno che avrebbe voluto non fare rumore, ma falliva miseramente.

Loura si fermò, costringendo la sorella a copiarla.

«Che cosa c'è?» chiese Rozsalia.

I passi che Loura aveva udito si erano arrestati. Ora la giovane aveva bisogno di una bugia per mascherare il suo errore. Non poteva ammettere di essersi sbagliata, non di fronte alla sorella.

Tornò sul discorso che era rimasto aperto. «Ma perché ogni discorso deve sempre virare su quel ragazzo?» finse di sentirsi offesa, ferita da quel nome che non riusciva a pronunciare, forse perché aveva un gusto troppo amaro, o forse troppo dolce.

Si voltò verso la sorella, per ricevere attenzione, mentre era solo una scusa per osservare meglio il corridoio dietro di loro, e sperare di individuare la figura di chiunque le stesse seguendo.

Rozsalia mormorò qualche parola di scuse, e Loura si sentì istantaneamente in colpa, per aver turbato la serenità della sorella.

Era sempre così. La purezza e l'ingenuità di Rozsalia rendevano impossibile farle del male, si trattasse solo di porre un'ipotetica fonte di negatività troppo vicina a lei.

Ma forse Rozsalia lo sapeva, e sfruttava questa sua apparente innocenza a suo vantaggio.

No. Se c'era del male in Rozsalia, era nascosto così a fondo che nemmeno lei stessa avrebbe saputo dove cercarlo.

I passi si fecero di nuovo più forti, e Loura si rese conto che il suo atteggiamento era stato insensato e ingiustificabile. C'era davvero qualcuno, e si stava avvicinando a loro. Era sbucato dall'ombra, e ora si avvicinava alla più giovane delle due sorelle.

«Le sorelle Netis?» domandò una voce alle spalle di Rozsalia.

La giovane si voltò, per trovarsi di fronte a un giovane uomo, con lunghi capelli d'argento raccolti in una coda bassa. Il colore tanto chiaro, sorprendentemente, non lo faceva apparire più vecchio. Il suo viso, privo di imperfezioni, rendeva indubitabile la sua giovane età. Indossava un completo nero e oro. Non era la divisa scolastica, ma era conforme alle norme dell'istituto.

Doveva trattarsi di un nuovo studente, ipotizzò Loura, uno dell'Accademia della Guerra. Era troppo impacciato, e non era da escludersi che avesse rivolto la parola alle due proprio perché non aveva idea di dove andare per raggiungere l'aula in cui si sarebbe tenuta la sua prossima lezione.

L'Accademia delle Scienze, della quale lei stessa faceva parte, esigeva che si indossasse la divisa bianca e argento, o un completo degli stessi colori. Era ciò che Loura stava portando: una semplice camicia bianca, infilata in una gonna corta dello stesso colore ma con orlo ricamato d'argento, e un blazer bianco, con bordatura dello stesso colore.

Rozsalia, invece, faceva parte dell'Accademia della Guerra, e ne indossava l'uniforme, composta da una gonna sopra il ginocchio, nera e bordata d'oro, una camicia nera con fiocco d'oro, e un blazer nero.

Loura lanciò uno sguardo alla sorella, come a chiederle se conoscesse quel ragazzo, ma Rozsalia, di risposta, scosse lievemente la testa. I suoi capelli rossi e lunghi ondeggiarono, mimando le increspature dell'acqua della fontana dietro di lei.

Ma, allora, perché quel giovane conosceva i loro nomi? Loura lo guardò sottecchi, mentre Rozsalia fallì nel vedere il male in lui. «Sì,» confermò, infatti, senza sospettare secondi fini, ingenua. «Hai bisogno di qualcosa?» gli chiese.

«Oh, no, nulla» l'altro scosse la testa. «Sono qui per portarvi un messaggio, da parte dell'Imperatore.»

Le due sorelle non tentarono nemmeno di nascondere il loro stupore. Che cosa mai avrebbe potuto chiedere a due semplici studentesse, l'Alto Imperatore? Che cosa avevano di così importante, due ragazze, due sorelle, orfane, e devote all'Impero di Zena al pari di ogni altro cittadino? Che cosa avevano di diverso?

«Si tratta di una semplice richiesta» continuò l'altro, «Dovete attendere.»

«Attendere?» ripeté Loura, incrociando le braccia al petto, con il timore crescente che si trattasse di uno scherzo. «E attendere che cosa?»

«Qualcosa che state già attendendo, da molto tempo» rispose l'altro. «Ciò che desiderate, una persona che vi manca molto, un'armonia che era stata persa. Dovete attendere, e vi sarà tutto restituito. Questo ha detto l'Alto Imperatore.»

Il giovane accennò a un saluto, e fece segno che doveva andare. Loura lo congedò con un cenno del capo, e questi si dileguò, come fosse un cane randagio cacciato via in malo modo.

Loura lo guardò allontanarsi, compiaciuta dell'effetto che aveva avuto.

Era abituata a spaventare le persone. La cicatrice che ricopriva la parte sinistra del suo volto, oltre al collo e alla spalla, aveva messo in fuga la maggior parte delle sue conoscenze. Era abituata a stare da sola, con nessuno eccetto Rozsalia al suo fianco, ma non aveva bisogno di appoggiarsi a nessuno. Era Rozsalia ad appoggiarsi a lei. Loura doveva solo dare l'impressione di essere forte.

Ma le impressioni non sono la verità. Loura sentiva troppo spesso il bisogno di piangere, di urlare la sua invidia per la figura perfetta e pura che era Rozsalia, e di urlare il suo odio, verso quello che non considerava nemmeno più un padre, ma un folle, che era la causa della loro sofferenza, e della sua solitudine.

Era accaduto molto tempo prima, ma la cicatrice rendeva attuale quel dolore e quella paura, ogni volta che Loura si guardava allo specchio. Per questo evitava di farlo.

Quello che allora considerava ancora suo padre era un Djabel della Fenice, come lo era Rozsalia. Da un lato, Loura era felice di non aver ereditato quel dono della distruzione, ma dall'altro non riusciva a non provare pena per Rozsalia, che era costretta a portarselo sulle spalle. Se era la cicatrice a ricordare a Loura di quella dolorosa notte, era la sua abilità di Djabel a condannare Rozsalia. Per questo aveva scelto di combattere solo come Tesrat, e stava continuando a evitare gli incarichi che l'avrebbero mandata al fronte, concentrandosi sul rendimento scolastico e impegni extra-curricolari più vicini ai lavori d'ufficio.

Loura ricordava ancora fin troppo bene l'odore del fumo. Era come se le minuscole particelle di polvere e cenere si trovassero ancora nel suo naso e nei suoi polmoni.

La loro famiglia era reduce da una tragedia, quando avvenne l'incendio – il padre aveva subito uno sfregio cerebrale che lo aveva portato a perdere la vista. Perdendo il controllo dell'illusione della Fenice, per quei pochi fatali istanti, non aveva potuto fare nulla per salvare la moglie dagli Yksan. Era morta sotto i suoi occhi, ma lui non l'aveva vista morire. Aveva solo udito le urla e il frastuono della guerra. Aveva solo annusato l'odore del sangue e della polvere da sparo.

E aveva perso la voglia di vivere. Si era reso conto che la guerra non aveva un senso, perché la vita non aveva un senso. Aveva preso la decisione di farla finita, ma non voleva andarsene da solo. Non avrebbe mai potuto abbandonare i suoi quattro figli: Loura, Rozsalia, e i due gemelli più piccoli, Chea e Nevin.

L'ultimo ricordo che Loura aveva dei due era la voce della piccola Chea, mentre chiedeva aiuto, fra gli ultimi colpi di tosse. E l'ultimo ricordo che aveva di quella casa era una porta che non aveva intenzione di aprirsi.

Il padre aveva organizzato la sua morte e quella dei suoi figli in modo che il tutto si potesse mascherare con un incendio accidentale. Probabilmente era per questo che l'Imperatore non era intervenuto – non avrebbe avuto nulla da spiegare, non sarebbe stato visto dal popolo come il grande assassino che Loura lo riteneva, e l'unica accusa che avrebbero potuto muovere contro di lui era quella di aver lasciato che il destino seguisse il suo corso.

Netis Erik aveva chiuso a chiave la porta d'ingresso e, come faceva ogni sera, si era accasciato nella poltrona in soggiorno, distrutto. Un tempo avrebbe letto un libro, ma ora, solo e cieco, si rinchiudeva nei suoi pensieri, e la presenza dei figli non faceva che agitarlo.

Quando era stato certo che tutti stessero ormai dormendo, aveva preso la pistola d'ordinanza. Con mani esperte aveva inserito un singolo colpo in canna, aveva rimosso la sicura, e poi aveva appoggiato la canna sotto il mento.

Ed era stato solo dopo la morte del Djabel che una piccola scintilla aveva preso la forma di una Fenice, come a iniziare una vita nuova, e aveva cominciato a svolazzare per il soggiorno, la cucina, e poi su per le scale.

Nata dalla morte, l'illusione non si era dissolta, ma era divenuta reale.

In pochi minuti, le fiamme stavano divorando il piano inferiore della casa.

Loura si era svegliata a causa dell'odore del fumo, e dei colpi di tosse della sorella. Poi le sue orecchie avevano captato il crepitio delle fiamme. Si era alzata dal letto, e si era subito preoccupata di svegliare Rozsalia. L'aveva avvertita che c'era qualcosa che non andava. Sarebbe andata a controllare e sarebbe tornata presto. Rozsalia aveva annuito e sbadigliato, riprendendo a tossire.

Anche se gli occhi di Loura erano ancora appesantiti dal sonno, la sua vista offuscata, notava che nella stanza aleggiava una strana nebbia, simile alla foschia tipica dei sogni, e che si infiltrava da sotto la porta.

Sempre più impaurita, Loura era uscita dalla camera da letto. Una volta nel corridoio, anche lei aveva preso a tossire. Dentro di sé, aveva sperato che si trattasse di uno degli sporadici sfoghi del padre, durante i quali tentava di creare la sua illusione e chiamava per nome la moglie defunta, ma quella volta aveva avuto la sensazione che si trattasse di qualcosa di peggio, poiché l'uomo era rimasto in silenzio.

Forse era già morto, Loura non avrebbe saputo dirlo. I suoi ricordi ora erano offuscati, annebbiati, come lo era la sua vista allora. Ricordava di essere rientrata in camera, di aver ordinato alla sorella minore di uscire immediatamente. Poi era andata a soccorrere i gemelli, mentre Rozsalia era corsa verso l'ingresso.

La porta della seconda camera da letto era chiusa a chiave dall'interno, e i due bambini non si erano ancora svegliati. Poi Loura aveva udito il richiamo di aiuto di Rozsalia. La porta d'ingresso era chiusa. Erano bloccate in quell'inferno e non potevano uscire. E il loro padre era scomparso. Forse era già cenere.

Aiutare Rozsalia significava rischiare di condannare Chea e Nevin, ma non farlo significava condannare tutti.

Così aveva sceso le scale, coprendosi il naso e la bocca con la camicia da notte, aveva attraversato il fumo e aveva raggiunto la sorella alla porta. Quando aveva capito che era bloccata, non aveva perso tempo ad andare alla ricerca della chiave – il padre l'aveva sicuramente fatta sparire.

Si era messa invece alla ricerca di qualcosa di abbastanza pesante per sfondare la porta. I suoi occhi erano scivolati sull'arredamento in fiamme, avevano adocchiato sedie e tavoli, ma quelli sarebbero stati più convenienti per barricarsi in casa, piuttosto che per uscire.

Poi le era venuta un'idea. La finestra della cucina. Aprirla avrebbe significato alimentare le fiamme, lo sapeva, ma forse avrebbero fatto in tempo. L'incendio non aveva ancora raggiunto quella parte della casa.

Aveva fatto cenno a Rozsalia di seguirla, aveva raggiunto la finestra, e con non poco sforzo era riuscita ad aprirla. Subito una ventata d'aria le aveva investite entrambe, ma nonostante il freddo della notte all'esterno, Rozsalia era uscita senza farselo ripetere due volte, mettendo un piede sul lavabo e un altro fra i fornelli e sgusciando dall'apertura.

Si era poi voltata, attendendo la sorella, che aveva scosso la testa ed era tornata sui suoi passi, alla ricerca di Chea e Nevin. I due gemelli erano ancora bloccati nella loro camera, e non avevano la forza di aprire la porta.

Loura lo aveva fatto solo per aiutarli, ma il suo gesto si era rivelato fatale. Aprendo la porta, aveva creato una corrente d'aria, poiché anche i due bambini avevano pensato di fuggire dalla finestra. Le fiamme avevano divorato il piano inferiore e si erano infiltrate dal pavimento in legno del primo piano. La camera di Chea e Nevin stava bruciando. E a causa della corrente d'aria, le fiamme erano divampate.

Loura non ricordava se la sua reazione era stata quella di gettarsi su suo fratello e su sua sorella o se si era invece voltata come una codarda, chiudendo la porta, a quella vista. Ma probabilmente la prima, o non si sarebbe spiegata le ustioni sul suo volto e sulla sua spalla. Doveva aver tentato di fare qualcosa, di salvarli. Di quello non era sicura. Ma era sicura di avere fallito.

I ricordi seguenti erano relativi al viaggio in treno che le aveva portate all'Accademia di Neza, dove erano rimaste, orfane, da allora.

Come era riuscita a vivere, dopo ciò che aveva visto? Dopo ciò che aveva subito? La risposta era semplice, per Loura. Avrebbe potuto vivere circondata dai fantasmi, ma non avrebbe potuto diventarne uno.

Se anche lei fosse morta nell'incendio, Rozsalia si sarebbe sentita colpevole, inutile, vigliacca. E non era nessuna di queste cose.

Avrebbe vissuto con quei ricordi, ma anche con sua sorella. Le avrebbe dato tutto ciò che sarebbe riuscita a darle, l'avrebbe protetta, aiutata, e l'avrebbe resa in grado di superare ogni ostacolo.

Pian piano tutto sarebbe svanito nel grigio, tramutandosi in cenere.

Ma non ancora. Ora, come aveva detto quel giovane, ciò che dovevano fare era attendere.

E mentre attendevano, i ricordi, la casa, la cicatrice, le lacrime. Tutto bruciava.

Spazio autrice

Le sorelle Netis devono aver avuto un'infanzia davvero difficile.

Non è facile relazionarsi e immedesimarsi in loro, per il momento, ma spero che riusciate già a conoscerle, a capire il loro modo di pensare.

Sono due opposti, sotto diversi punti di vista.

Rozsalia è pura e innocente, e forse anche un po' debole, mentre Loura è una ragazza coi piedi per terra, ha un animo forte, o come minimo questo è ciò di cui vuole convincere gli altri.

In chi vi ritrovate di più? Scrivetelo nei commenti!

F. D. Flames

Ogni immagine utilizzata appartiene al rispettivo artista.

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