The Game of Silence

By _-_-_Yellow_-_-_

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Quattro ragazzi si ritrovano una sera nella grande casa del nonno di Kevin, uno di essi. Tra battute, risate... More

-Prologo-
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Epilogo

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By _-_-_Yellow_-_-_

Kevin non si sentiva affatto bene: aveva vomitato l'anima, e l'immagine dalla sua testa non si levava neanche a pagare oro.

Era lì, ferma, non si muoveva.

Quegli occhi così vuoti.

Tutto quel sangue.

Tutto quel terrore.

Tutto quel silenzio.

Non voleva finire come lei.

Non voleva diventare così.

Non voleva morire.

Tremava.

Il suo corpo era attraversato da brividi intensi ed era ricoperto dalla pelle d'oca.

Perchè aveva accettato la richiesta di Ginger?

Perchè ha preferito far finta di essere coraggioso, piuttosto che essere codardo ma non rischiare di morire?

Perchè era così stupido?

Perchè era così superficiale?

La morte della ragazza era colpa sua.

La morte di Clio era colpa sua.

Era tutta colpa sua.

Si sentiva male.

Solo dopo un po' si rese conto di star piangendo.

Lacrime salate scorrevano lungo il suo volto.

Lente.

Piene di dolore.

Di sofferenza.

Di tristezza.

Chiare e trasparenti percorsero la loro strada, prima di staccarsi e incontrare il pavimento.

Sobbalzò sentendo una mano sulla sua spalla.

Si girò, incontrando un paio di gemme verdi: in quel momento non erano più spensierate, non erano più felici e non erano più calme.

Erano scure, turbate.

Diavolo: Kevin si stava sentendo veramente in colpa.

Ma c'era quella luce: quella luce che sembrava tenerli ancora vivi, che sembrava non volerlo abbandonare ancora.

Stava lottando per ciò?

Per quella luce?

Quello sì che era un'obiettivo nobile: sopravviveva per incontrare o prendersi cura della sua luce.

Lui, invece, voleva solo vivere: voleva tornare a respirare con calma, a camminare senza tremare, voleva smettere di doversi appoggiare a qualcuno e voleva tornare ad essere spensierato e felice.

Quante ore erano passate?

Neanche tre ore, e già si sentiva in prigione.

Già si sentiva in trappola.

Già si sentiva morto.

Perchè?

Perché diavolo la paura riusciva a divorarlo così?

Non era giusto.

Non era corretto.

Non era umano.

O forse sì?

Si alzò, sentendo le gambe continuare a tremare, così si appoggió all'altro.

Si stava sentendo male.

Aveva bisogno della speranza, qualcosa che potesse tirarlo su.

*

Ginger non voleva crederci: tutto quello era reale.

Tutto quello non era una farsa.

Clio non era ancora in vita.

Clio era morta.

Clio aveva urlato.

Clio aveva rotto il silenzio.

Clio, in quel momento non c'era più.

Scosse la testa, veramente turbata da tutto ciò che il destino le stava riservando.

Iniziò a mordersi le labbra rosee, nel mentre l'indice andava a giocare con le pellicine dei pollici, togliendole, strappandole.

Tentando di calmarsi.

Tentando di perdere tutto quello stress.

Tentando di perdere tutta quella paura.

Non ce la faceva più a rimanere lì, ferma: doveva allontanarsi il più possibile da quel macabro scenario.

Così si girò, dando le spalle a tutta la vicenda e correndo al piano di sopra.

Con le gambe molli.

Con l'urlo che risuonava nelle sue orecchie.

Con la gola arida.

Con il cuore a mille.

Con i sensi di colpa che la attanagliavano nel profondo.

I piedi scorrevno rapidi sotto la superficie delle scale, per l'ennesima volta, in quella casa orrida e, allo stesso tempo, così vuota e silenziosa.

Iniziò a sentire gli occhi iniziare a pizzicare, nel mentre un leggero strato di lacrime iniziò a rivestire i suoi occhi, prima di percepire le lacrime scorrere sul suo dolce e delicato volto.

Quell'orrore se lo era veramente meritato?

Perchè mai?

Non le sembrava giusto tutto ciò.

Non le sembrava corretto il fatto che il karma era venuto a farle visita, perlopiù a lei: una ragazza che di male non aveva fatto nulla.

Non aveva mai preso in giro nessuno, non trattava male la gente e non si credeva chissà chi.

Tutto ciò era fin troppo ingiusto.

Percorse il corridoio, arrivando alla camera dove tutto era iniziato e la quale sembrava l'unico luogo sicuro.

Non era successo ancora nulla lì dentro.

Nessun mostro aveva tentato di attaccarli.

Si chiuse la porta alle spalle, prima di far in modo che esse toccassero la prima.

Continuò a scivolare sul legno finchè il suo deretano non si scontrò con il fredo parquet della stanza.

Freddo.

Il freddo e la tristezza non smettevano di riempirle le vene fino all'ultimo minuto.

Iniziò a ingoiare a vuoto più volte dato che la gola non smetteva di essere arida.

La paura continuava a tenere stretta l'anima di Ginger senza lasciarla andare neanche per un momento: sembrava una trappola per orsi che, una volta che afferrava una preda, non la lasciava mai andare.

Una ventata di aria fredda si scontrò con il suo corpo, bloccando in meno di due secondi il tremolio che proviene da quest'ultimo e facendole spalancare gli occhi.

In quella stanza le finestre erano tutte chiuse.

Le avevano chiuse loro prima.

Ne era sicura.

Fin troppo.

Non voleva alzare lo sguardo.

Non voleva incontrare le iridi spaventose di chissà che cosa.

Non voleva riprovare quelle sensazioni terrificanti.

Alzò la testa rapidamente, nel mentre il suo corpo veniva scosso da un'ondata di coraggio.

E, quando incontrò le iridi scarlatte del quadro del prozio di Kevin, sentì il suo viso sbiancare ancora di più.

Quel rosso le scuoteva l'animo.

Le incuteva terrore.

Tanto.

Troppo.

Poi comparve il solito sorriso.

Grande.

Bianco.

Affilato.

Ampio.

Sempre di più.

Sempre di più.

La testa prese ad inclinarsi.

Sempre di più.

Sempre di più.

Il quadro iniziò ad allontanarsi dalla parete.

Sempre di più.

Sempre di più.

Lei scattò in piedi.

La boca si aprì.

Sempre di più.

Sempre di più.

Il quadro scattò, attaccando la ragazza.

Ma lei era già scappata.

Con le gambe molli.

Con le lacrime agli ochi.

Con il cuore a mille.

Con un urlo in gola.

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