La donna vestita con la sua elegante camicia decise di sistemarsi la gonna, rossa come il proprio rossetto che le decorava le labbra carnose.
Psicologa da ormai dieci anni, la trentaduenne si trovava di fronte all'enorme palazzo sudicio esattamente come il barbone che aveva visto poco più infondo, nella strada precedente.
La donna dai capelli mori, sistemati in un'elegante chignon, si strinse nella calda giacca, che nascondeva ben poco le sue forme piuttosto accentuate.
Masticava seccatamente un chewing-gum al gusto menta mentre i suoi freddi occhi osservavano l'edificio adibito al ricovero per i malati mentali, i quali venivano sottoposti a numerosi incontri con qualsiasi tipo di psicologi o più comunemente definiti strizza-cervelli.
Decise di muoversi sui suoi tacchi di sette centimetri, ancheggiando elegantemente i fianchi, fino a giungere spazientita davanti al grigio portone della "Fabbrica dei Sorrisi".
Era stata pagata profumatamente per quell'incarico, e, sebbene avrebbe dovuto analizzare il comportamento di un soggetto all'interno di un porcile, certo non poteva rifiutarlo.
Specialmente quando gli psicologi non avevano più tanto da fare, negli ultimi tempi.
Osservò il vecchio citofono, nero dalla fuliggine arrivata chissà come là sopra, prima di osservare le unghie fatte assieme alla sua amica appena la giornata precedente e prendere un piccolo fazzoletto per premere il pulsante.
Un suono inquietante si fece largo nei suoi timpani, facendo percorrere il suo corpo da enormi brividi che fecero solo accendere una sensazione di allerta in lei.
Aspettò per un po' ma, quando vide che nessuno sembrava intenzionato ad aprirle, strinse i denti e si fece più indietro, portando una mano poco sopra i suoi occhi, come per farsi ombra e vedere meglio, prima di cercare qualcuno per le grigie finestre.
Fu allora che lo vide: un ragazzo dalla pelle bianca come il latte e i capelli ricci, neri come la pece, sembrava osservarla attentamente.
Non staccava i propri occhi dalla donna e, sebbene essi erano a dir poco impossibili da vedere, sembravano accendere una sensazione di terrore nell'aria.
Una sensazione che la donna decise di respirare in fretta, ignorando il proprio cuore che batteva alla velocità della luce, per poi tornare alla porta appena vide un'infermiera passare per quel determinato corridoio.
Sbattè per un po' la mano sul vetro, prima di essere notata e prima di poter mettere piede, finalmente (o quasi), in quel luogo.
Gli interni non erano assolutamente diversi o migliori degli esterni: i muri, dal colore giallo canarino, erano sporchi e rovinati da chissà quante cose e sopra ci si poteva trovare veramente di tutto, dalle gomme da masticare fino ad arrivare a cerotti, usati o meno.
Pieno di tagli e disegni inquietanti, come omini che si tenevano per mano con occhi fissi nel nulla, il luogo era tutto fuorché accogliente.
«Benvenuta...» le sorrise la dolce infermiera misteriosa, coperta dall'azzurra divisa e decorata da uno splendido sorriso accogliente.
«Signorina McAvoy» rispose lei, con tono freddo e duro, «Avevo un'appuntamento con il paziente...» iniziò, prima di prendere il proprio IPhone e controllare il numero del ragazzo assegnatole, «... Centosettantatre» concluse riponendo l'oggetto nella propria tasca, iniziando poi a seguire la ragazza bionda.
«Prego signorina» le rispose, facendole fare un breve giro della tenuta fino a portarla nella camera assegnata.
«Mi scusi, vado a prendere la chiave e torno subito» si morse il labbro la bionda, scuotendo la testa nervosa prima di tornare indietro.

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The Game of Silence
HorrorQuattro ragazzi si ritrovano una sera nella grande casa del nonno di Kevin, uno di essi. Tra battute, risate e, specialmente, grazie ad un piccolo incidente, scoprono, sotto un'asse rovinata, una piccola scatola con dei fogli. Quei fogli saranno l'...