Un giorno può durare un eternità o pochi attimi, in questo caso il tempo sembra passare troppo lentamente. Dopo le mie dichiarazioni alla stampa la mia rabbia non si era placata, anche perché quella massa di avvoltoi non si era mossa di un millimetro. Vederli scortati fuori dai cancelli della clinica dalla polizia mi aveva fatto sorridere, anche se per poco.
Ero tornata una sola volta a casa, giusto per una doccia e un cambio d'abito. L'appartamento di Milano lo usavamo di rado, ma i miei genitori non volevano venderlo. Per fortuna non li avevo convinti. Avevo indossato un paio di jeans e un maglione, non avevo alcuna intenzione di parlare con nessun giornalista per un po'.
Avevo anche deciso di lasciare il cellulare a casa, il consiglio d'amministrazione mi stava con il fiato sul collo. Non avevo alcuna intenzione di preoccuparmene adesso, così avevo parlato al volo con chi di dovere e delegato tutto a Riccardo. Se la vedesse lui.
Per il momento sarei stata irreperibile per chiunque.
Ed ero di nuovo qui, in clinica.
Mamma e nonna erano via, probabilmente a mangiare qualcosa e mio padre se ne stava a fissare il vetro dietro il quale riposava mio nonno. Non si era ancora svegliato, forse non l'avrebbe fatto mai più.
<<Avete preferito tenermi all'oscuro.>> dico a mio padre, senza guardarlo.
<<Non pensavamo fosse così grave, il suo quadro è peggiorato in pochissimo, nessuno se lo aspettava.>> risponde, frustrato.
<<Vedrai che ce la farà, è testardo come un mulo, lo sai.>> borbotto, cercando di infondergli un po' di speranza. Mio padre scuote la testa, il viso nascosto tra le mani.
<<Il cuore ha ceduto Europa, e non migliora. Le macchine lo tengono in vita e non so per quanto tempo continueranno a farlo, non darti false speranze.>> esclama, duro.
A disagio lo lascio da solo, nel suo dolore. Mi avvicino al vetro e fisso mio nonno, sperando di potergli parlare almeno un ultima volta. Resto in questa posizione per un bel po', finché non arriva una dottoressa a parlarci. Mio padre mi affianca e mi stringe una spalla.
Di tutto quello che ci dice la signora, capisco solo poche parole: riduzione della sedazione e possibile risveglio. Gli stanno dando una possibilità, nonno potrebbe svegliarsi nelle prossime ore. Abbiamo il permesso di entrare una persona alla volta e restare per il tempo che vogliamo.
<<Vado io.>> comunica papà, andando insieme alla dottoressa.
Lo osservo, con un camice e una mascherina addosso, avvicinarsi al letto timoroso. Prende delicatamente la mano di suo padre e poi scoppia a piangere, così gli lascio la sua privacy e mi allontano.
<<Dovresti mangiare qualcosa.>> esclama Clara, facendomi sobbalzare.
Scuoto la testa ma sono felice di vederla e che nel momento del bisogno abbia deciso di venire con me. La mora mi abbraccia, mi accarezza i capelli e passa le successive ore seduta al mio fianco, in silenzio. Ci addormentiamo, e quando mi risveglio sono sola ed è notte fonda.
Butto un occhio alla stanza del nonno e non c'è nessuno, né mio padre né mia nonna, così ne approfitto. Lascio che un'infermiera mi disinfetti e mi vesta, poi entro. Mi avvicino con calma, respirando più lentamente che posso. Mi affianco a lato del letto e lo guardo, sembra aver preso dieci anni di più. Poso una mano sulla sua.
<<Mi dispiace.>> sussurro, mentre cade la prima lacrima.
<<Non volevo deluderti nonno, volevo renderti orgoglioso di me ma non in quel modo. Desidero fare altro nella vita e vorrei averne la possibilità. Mi dispiace solo di...di non essere stata matura abbastanza. Avrei dovuto parlartene, cercare di farti capire...invece ti ho messo in imbarazzo, ho quasi creato uno scandalo solo per...>> mi blocco, con il cuore in gola e un gemito di dolore.
<<Mi dispiace tanto, vorrei solo avere la possibilità di rimediare, non chiedo altro.>> concludo, con gli occhi che non vogliono smettere di piangere.
La mano di nonno stringe la mia e per poco non ho un infarto. Scaccio le lacrime, e rischio di svenire mentre vedo le sue palpebre sollevarsi.
Si sta svegliando dannazione!
Premo immediatamente il campanello d'allarme e cerco di chiamarlo, sicuramente sarà confuso. Invece mi guarda negli occhi e sembra soffrire tanto. Mi stringe forte la mano.
<<Perdonami.>> mormora, prima che le infermiere mi buttino fuori di peso.
Mi strappo di dosso il camice e tutto il resto, arrabbiata ma speranzosa. Corro fino alla nostra sala d'aspetto, devo dare la notizia a tutti!
Nonno si è svegliato!
Volo per tutto il corridoio e appena svolto l'angolo riconosco Clara, mia madre e mio padre di spalle, che sta parlando con qualcuno.
<<È sveglio!>> grido, attirando la loro attenzione.
Non faccio in tempo a dire altro che mio padre si sposta di lato e mi blocco per un secondo, solo per riprendere a correre ancora più veloce. Il ragazzo spalanca le braccia e il contraccolpo dei nostri corpi ci fa quasi finire per terra. Le sue mani mi stringono contro il suo corpo, cullandomi mentre piango e rido insieme.
<<Sei venuto.>> dico, affondando il viso nella sua maglietta.
<<Ho fatto prima che ho potuto.>> risponde, dandomi un bacio sulla nuca.
<<Grazie.>> sussurro, mentre la stretta si fa più forte.
Posso quasi sentire il sorriso mesto sulle labbra di Bernardeschi, e non posso fare a meno di pensare se Paulo lo sappia, se mi abbia visto in tv. Magari...magari verrà anche lui. Alzo lo sguardo sul biondo e credo possa vedere la speranza nei miei occhi. Speranza che cancella scuotendo piano la testa, no, Paulo sa ma non verrà.
<<Significa molto per me averti qui, ma come hai fatto? Hai saltato l'allenamento?>> gli domando, sbattendo la delusione via dalla mia testa. Un sorriso divertito increspa le labbra del biondo.
<<Come ho fatto? Ho mandato tutto momentaneamente al diavolo, per un paio di giorni possono cavarsela anche senza di me.>> risponde, come se fosse ovvio o normale. No, non è normale.
Abbraccio Berna, gli lascio un bacio sulla guancia e poi lo prendo per mano. Devo ancora annunciare la buona notizia alla mia famiglia, e anche presentarlo come si deve. Berna mi regala un sorriso di incoraggiamento, stringe un po' le nostre mani e sorrido di rimando.
Insieme sento che possiamo farcela.
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La giornata passa velocemente, tra mezzi sorrisi e cuori più leggeri. Il risveglio di nonno è andato benissimo, è stato abbastanza lucido da scambiare due parole con i medici ma nessuno di noi aveva potuto vederlo. Preferivano non affaticarlo, quindi ce ne stavamo fuori a turni. La nottata sarebbe toccata a me, e non me ne lamentavo.
<<Perché non te ne vai a casa a dormire? Hai la faccia di un cadavere.>> esclamo, pungolando il fianco di Berna. Non mi si era scollato di dosso per tutto il tempo, era la mia fottuta ombra.
<<Senti chi parla, la raperonzolo dei poveri.>> sbotta, tirandomi una ciocca di capelli.
<<Vacci piano, potrei sempre farti cacciare dal reparto sai?>> dico, sborona. Il biondo scuote la testa con un sorriso sulle labbra, ma sa che potrei farlo davvero se solo volessi.
<<Uh uh, la Greco si sta scaldando!>> mi prende in giro, allungando una mano per spingermi giù, con la testa sulle sue ginocchia.
<<Ma smettila...piuttosto, dico sul serio Fè, perché non vai a casa?>> mormoro, guardandolo dal basso verso l'alto. Posso vedere bene il pomo d'adamo fare su e giù.
<<Se tu sei qui cosa ci vado a fare lì?>> risponde tranquillo, con una mano tra i miei capelli.
Gli sorrido, un po' commossa. Non pensavo che in così poco tempo avremmo legato così tanto. Gli voglio bene, e sono felicissima che sia qui. Se solo...se solo fosse arrivato in compagnia mi sarebbe probabilmente scoppiato il cuore, ma non posso desiderare l'impossibile.
Fino all'una chiacchieriamo, vediamo qualche serie tv su Netflix sul cellulare finché Berna non crolla. Con gli occhi chiusi, il viso rilassato e le labbra socchiuse sembra più
giovane. Lo guardo dormire con gli occhi spalancati, forse ho preso troppi caffè oggi. Fatto sta che non riesco a prendere sonno, nonostante sia distrutta. Prendo una delle due coperte che ho portato e con delicatezza mi alzo, per poi coprirlo dal petto in giù. Il calciatore borbotta qualcosa e si arrotola sotto la coperta come un gattino.
Scavo nella borsa e per fortuna mi sono rimaste un paio di monete per la macchinetta. Un lampo illumina la stanza a giorno, facendomi sobbalzare. Piove ininterrottamente da ore ormai, sembra di stare in un film horror. Mi allontano e raggiungo la macchinetta, ho bisogno di qualcosa di caldo, magari un thè.
Le luci del corridoio sfarfallano, un tuono scuote i vetri e mi si accappona la pelle. Devo sbrigarmi, mi sta salendo l'ansia. Afferro il bicchiere bollente dalla macchinetta e per poco non mi cade di mano quando sento una porta sbattere forte e una serie di passi pesanti e veloci venire verso di me. Indietreggio di qualche passo, incapace di allontanarmi di più.
Una figura nera si ferma, si guarda intorno e si blocca. È completamente bagnato, il volto nascosto dal cappuccio del giubbotto.
Chi ha fatto salire questo tizio poco raccomandabile?
Poco dietro compaiono due uomini della sorveglianza, che strattonano il tipo in nero per le braccia. A quanto pare non aveva l'autorizzazione ed era sgattaiolato qui, ma perché?
<<Le ha fatto del male signorina?>> chiede il primo uomo, il più grosso.
<<No.>> rispondo, intimorita ma più tranquilla. La sicurezza ha fatto un buon lavoro, anche se all'inizio se l'era lasciato scappare.
<<Questo qui diceva di conoscerla, stava venendo proprio da lei.>> continua, e mi si gela il sangue nelle vene.
Non riesco a dire niente ma mi avvicino, non posso mostrarmi debole, la notizia potrebbe arrivare subito ai giornali e ne ho davvero abbastanza. Ci manca solo che si alzi un ulteriore polverone su un possibile stalker. I due sorveglianti stringono di più la presa sul tipo, per non farlo muovere.
Più mi avvicino più aggrotto le sopracciglia, c'è qualcosa che non mi quadra. Il giubbotto ha un logo che riconosco, lo stesso i pantaloni della tuta. Non è possibile.
Con le dita che tremano scosto il cappuccio di pochissimo, solo per avere la conferma definitiva. Il suo profumo sovrasta quello della pioggia, così come i due occhi chiari che mi guardano dall'oscurità.
Indietreggio di colpo, come se mi avesse schiaffeggiato.
Non è possibile.
<<Lo riconosce?>> chiede subito il sorvegliante.
<<Si. Lasciatelo andare, immediatamente.>> esclamo, sperando che la mia voce sia abbastanza ferma.
I due si guardano confusi, ma decidono di non discutere. Lasciano andare il ragazzo, con delle smorfie sul viso. Pensavano già al riconoscimento che avrebbero avuto per aver catturato il pazzo che cercava di salire qui, per arrivare da me.
<<La prossima volta che qualcuno vuole parlare con me esigo essere avvertita.>> sibilo, un po' irritata.
<<Come desidera signorina.>> rispondono in coro i due.
Li osservo scomparire dietro l'angolo e punto lo sguardo su di lui, ancora nascosto sotto il cappuccio. Gocciola sul pavimento, senza nemmeno alzare lo sguardo. Sento il cuore battere così forte da farmi stare male, appoggio una mano sul muro, giusto per sorreggermi un po' meglio. Non mi fido del mio corpo, né della mia mente quando sono con lui, nonostante tutto.
<<Europa.>> sussurra, titubante.
Il cappuccio gli scivola dalla testa e i suoi occhi sono su di me. Ha i capelli bagnati e appiccicati alla fronte, l'occhio cerchiato di nero, il viso stanco e bianco. Non sembra passarsela bene, eppure non è passato molto tempo dall'ultima volta che l'ho visto. Ha un espressione strana, sperduta.
<<Perché...perché sei qui?>> balbetto, presa dalle vertigini.
<<Per te.>> risponde, convinto.
Si avvicina piano, un passo alla volta. Me lo ritrovo davanti, con alcune gocce di pioggia incastrate sulle ciglia scure. Mi scappa una lacrima, non pensavo di vederlo. Ero convinta che non sarebbe venuto, non avevo più speranza, era morta anche quella. E invece eccolo qui, bagnato come un pulcino.
Non so bene chi abbia agito prima ma mi ritrovo stretta tra le sue braccia, il viso schiacciato nel suo collo bollente. Apre la chiusura del giubbotto e mi avvolge nel suo calore, inglobandomi nel suo corpo. E non ci capisco niente, dovrei stargli alla larga, trattarlo in modo freddo e tornare da Berna ma...con lui funziona tutto diversamente.
<<Dio, quanto mi sei mancata.>> mormora, baciandomi la nuca.
Mi circonda il viso tra le mani, e l'elettricità che si crea è potente, quasi irresistibile. I suoi occhi si spostano sulle mie labbra, ipnotizzato. Ci pensa, lo so che ci pensa. Ma non posso permetterglielo, così mi allontano, ripristinando una certa distanza. Paulo si irrigidisce, ma annuisce.
<<Come stai?>> chiede, in imbarazzo. Passa il peso da una gamba all'altra, non sapendo bene cosa dire o come muoversi. È a disagio.
<<Cosa ci fai qui Paulo? Dopo quello che mi hai detto sull'Isola, non mi aspettavo di vederti qui.>> rispondo, evitando i convenevoli. Mi si legge in faccia come sto.
<<Non lo so Europa, ero...ti ho vista in tv e mi sono preoccupato, ma...perché non mi hai detto la verità?>> esclama, un po' risentito. Ma sta scherzando?
<<Mi prendi in giro? Mi hai detto che abbiamo chiuso, CHIUSO. Ora ti presenti in clinica, rischiando di essere buttato fuori a calci e...perché esattamente?>> insisto, perché voglio capire. Mi sta rendendo le cose difficili, dalle sue parole sembrerebbe che di me non gliene importi più niente, ma le sue azioni dicono tutto l'opposto. Dimmi la verità.
<<Io...non...non lo so.>> balbetta, aggrottando le sopracciglia.
Lui non lo sa.
<<Non lo sai.>> ripeto, sperando che si renda conto della cazzata che ha appena pronunciato.
<<No, sapevo che eri in difficoltà e sono venuto. Dovevo essere certo che stavi bene. Fine.>> dice, alterandosi. Cosa credeva? Che gli sarei saltata addosso felice e contenta?
Arretro di un passo, una smorfia dipinta sul viso. Non sta migliorando le cose, le sta peggiorando. Credevo che...beh credevo tante cose. Vederlo qui aveva risvegliato quella speranza ormai sopita, pensavo che mi avrebbe baciato e che non mi avrebbe più lasciata andare. Invece è qui, ma non cambia niente. La delusione si mischia alla rabbia, facendomi scuotere la testa.
<<Sto bene, meravigliosamente. Ora puoi andare.>> sbotto, spalancando le braccia.
<<Che diavolo ti prende?>> chiede, incrociando le braccia al petto. Quasi scoppio a ridere.
<<Niente, non mi prende niente. Hai avuto quello per cui sei venuto, ora puoi tornare a casa.>> gli rispondo, buttando il thè, ormai freddo, nel cestino. È meglio se torno da Berna, qui ho finito.
<<Cosa vuoi che ti dica? Che sono incasinato? Si dannazione, sono incasinato! Non posso lasciare Oriana. Non posso Europa, anche se lo vorrei con tutto il cuore. Non posso e la cosa non può cambiare solo perché lo voglio. Non posso darti un futuro, non con me. Non ora.>>
Lo guardo, con un peso sullo stomaco. Perché non può? Cosa mi sta nascondendo?
Deglutisco a vuoto, combattuta.
Paulo si avvicina e si morde un labbro, ha gli occhi velati e la punta del naso rossa. Allunga una mano e mi accarezza uno zigomo, poi si piega e mi bacia. Lo fa con delicatezza, come avrebbe voluto lasciarmi sull'Isola. È qui per dirmi addio, nient'altro.
Intreccio la lingua alla sua, disperata.
Vorrei capire, ma lui non me lo permette e ormai non penso che lo farà. Vuole cavarsela da solo, lasciarmi andare gli sembra la scelta giusta e forse anche più semplice. Mi ritraggo, gli accarezzo il viso e faccio un passo indietro. Paulo mi guarda come se mi vedesse per la prima volta, gli occhi spalancati. Abbozzo un sorriso amaro, triste.
<<Addio Paulo.>> mormoro, prima di voltarmi e tornare nella sala d'aspetto.
Spazio autrice: è un capitolo molto lungo e un po' pesante, lo capisco. Berna è arrivato per confortare Europa, ma contro ogni previsione è comparso anche Paulo.
Sarà davvero l'addio definitivo?