Burn Slow

De Fuoco01

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2 BOOK Sono passati tre anni dal primo e ultimo caso risolto da Mya insieme al suo ormai ex partner Connor H... Mais

Prologue
1. Deal
2. San Francisco
3. Lights Years From Me
4. Whatever You Want
5. Please, Stay
6. Interrogation
7. Go Home
8. Hug
9. Normal Friends
10. Bullet
11. Kwan
12. Birthday Man
13. Feels
14. I Know What You Feel
15. Spit Poison
17. Trap
Epilogue

16. It's Not Your Fault

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De Fuoco01

13 Giugno
Ore 12:13

Meno di due giorni erano passati da quando Lucas era arrivato a San Francisco, due giorni che Mya aveva passato col fiato sospeso quando lei e il suo futuro sposo erano insieme e con l'ansia quando usciva perché non sapeva mai quando sarebbe tornato, quanto tempo avesse per se stessa. Due notti che Lucas cercava intimità con la sua amata che però lei non gli concedeva, scampando a quei momenti con ogni scusa plausibile. Due notti che chiudeva a malapena gli occhi per dormire. Si addormentava sul tardi, poche ore prima del suono della sveglia e poi la spegneva, continuando a dormire. Almeno avrebbe evitato Lucas per ancora qualche tempo così.
Il giorno prima Kwan aveva deciso di far fare a Lucas un giro della città, staccandolo un po' da quella casa nella quale ormai aleggiava aria pungente. Mya era eternamente grata a Kwan. Ma erano quasi due giorni che lei e Connor non si rivolgevano parola, non che lui non volesse parlarle, anzi, però lei cercava in tutti i modi di evitare i suoi sguardi. Quindi non era una la persona da cui cercava di scappare, ma ben due.

Ma le notti insonni le avevamo dato modo di pensare e mettere in ordine le idee, piano piano il discorso da dire a Lucas stava prendendo forma nella sua mente.

Era tutto straziante, pressante e le giornate sembravano durare all'infinito.
Quando Lucas era in casa, lei si rifugiava in camera di Kwan e passava un po' di tempo con lui e osservavano gli spostamenti che effettuavano le macchine dei ragazzi appartenenti alla gang di Gudrun tramite GPS.
A quanto sembrava, tutti loro si erano sbagliati ipotizzando le avrebbero beccato i loro localizzatori in un paio di giorni: quelle macchine non venivano ispezionate né ritoccate, quindi difficilmente si erano accorti dei dispositivi proprio per questo.

Lei aveva commentato quella situazione come colpo di fortuna, mentre Kwan aveva semplicemente espresso la sua opinione con un semplice "Stupidi!" riferito ai possessori illegali delle macchine.

Mancava poco alla prossima gara, lì avrebbero dato una svolta al loro caso, sarebbero andati avanti.
Qualche tempo prima Mya avrebbe gioito a quel pensiero, ma a pensare che dopo aver risolto il caso sarebbe dovuta tornare a Detroit, a casa sua, dove tutto le ricordava Lucas... scosse il capo, no, c'era una posizione da Capo Bureau che l'aspettava nella sua città.

Quel pensiero però non la entusiasmò molto. In quel momento le sue priorità erano ben altre, anche se continuava a rimandarle. Salire di livello lavorativo sembrava l'ultima cosa di cui aveva bisogno.

Era in salotto in compagnia di Leah quando il campanello del cancello iniziò a suonare. Le saltò un battito al pensiero che potesse essere Lucas, già di ritorno dal suo giretto in città.

Leah e Mya si lanciarono un'occhiata, al che la prima posò il telefono su divano avviandosi verso il citofono per aprire.
«Eccoli!» esultò aprendo il portone. «Kwan!» la donna urlò richiamando Kwan dalla sua tana.

«Eccoli chi?» chiese Mya alzandosi anche lei dal comodo divano.

Leah la guardò inarcando le sopracciglia. «Non chi» aprì il portone e sul pianerottolo fecero capolino due uomini in giacca e cravatta, lo sguardo impassibile. «Ma cosa

Ma Mya continuava a vedere dei "chi", a meno che quei tizi non fossero dei robot.
Leah estrasse dalla cintura la sua carta d'identità e uno dei due uomini la presero, identificandola.

«Sono arrivati?» Kwan scese di corsa le scale saltando gli ultimi due gradini, in due balzi si ritrovò di fianco a Mya.

L'uomo che aveva ispezionato la carta d'identità a Leah gliela restituì facendo dei passi indietro, qualche attimo dopo entrò in casa con in mano una grossa cassa d'acciaio, lo stesso fece l'altro uomo. Entrarono in assoluto silenzio, il tutto avrebbe allarmato Mya ma l'espressione dei suoi due colleghi era molto più che serena.

«Grazie ragazzi» Leah accompagnò i due alla porta per poi richiuderla.

Kwan si avvicinò alle due casse strofinandosi le mani come un antagonista di un film d'azione il quale fece ridere Mya.
«Be', cosa abbiamo qui?» chiese Mya incrociando le braccia al petto in attesa di una risposta.

«Qui, amica mia...» Kwan si inginocchiò pronto ad aprire la prima cassa. Questa era sigillata grazie a una password da inserire manualmente, il ragazzo inserì velocemente cinque cifre e la cassa si aprì con un solo colpo. Il coperchio ebbe un'apertura di centottanta gradi e, più si apriva, più ne uscivano dei ripiani. Mya ne contò tre. «Abbiamo l'oasi del tesoro.»

Mise a fuoco il contenuto della cassa e, sì, tutto quello era un tesoro.
Le nuove Glock chiamate generalmente "le tre gemelle", da 17M, 19Mhs e G19. 9 mm, 20 mm, fucile Ar15, accanto ad ogni pistola e fucile vi erano i propri proiettili, luccicanti da potersi specchiare.
Quella cassa era il sogno di qualsiasi detective, poliziotto e agente segreto. A Kwan brillavano gli occhi e, Mya poteva scommettere che anche i suoi erano in quello stato.

«Porca vacca!» commentò Leah aprendo la seconda cassa con la stessa apertura della prima, solo che all'interno di quella vi erano giubbotto anti proiettili, manette, fumogeni e quant'altro.
«Connor! Vieni a vedere!»

Mya si avvicinò ai fumogeni. «Questa cosa mi spaventa» mai in vita sua aveva usato dei fumogeni durante un caso, le erano sembrati sempre troppo eccessivi e, per i casi che doveva risolvere di solito, erano inutili. «Non dovremmo arrivare a tanto, vero?» Leah scosse le spalle in risposta, come se, usarli o meno, non le cambiasse la vita.

La donna prese una maschera anti-gas, indossandola. «Nel caso avremmo questi.»

Fantastico.

Connor fece capolino in soggiorno ammirando a qualche passo di distanza il bottino che era appena arrivato. Mya abbassò il capo, evitando il suo sguardo.
Osservò le Glock dentro la prima cassa prendendo la 17M, una delle tre gemelle. Era nera opaca e non presentava diverse caratteristiche che invece la Glock Gen 4 aveva, per esempio l'assenza del finger groove e l'impugnatura era semicircolare, molto più comoda. Anche l'inserimento del caricatore sembrava molto più facile da usare. Una cosa che però si notava subito era la lunghezza, più lunga rispetto alla precedente Glock 17. Le piaceva.
«Questa è mia.»

Connor le si accostò accanto e Mya si immobilizzò, concentrando lo sguardo sulla pistola.
Non aveva paura di lui ovviamente, ma avrebbe voluto evitarlo il più possibile.
Lui però le sfiorò la mano prendendole la pistola, quel contatto le procurò una vampata. Scostò lo sguardo imbarazzata.
Cavolo, sembrava una dodicenne in preda agli ormoni.

Connor allargò le gambe tenendo la destra leggermente più avanti della sinistra. Drizzò le spalle e piegò leggermente le ginocchia in avanti e si abbassò di qualche millimetro. Posizionò la pistola davanti a sé e la tenne stretta, sorreggendola poi con la mano sinistra. Provò a sparare un paio di volte e naturalmente non ne uscì nessun proiettile.
«Dico io ma sei scemo?» Leah lo riprese. «E se fosse stata carica?»

Connor abbassò l'arma restituendola a Mya, le lanciò un'occhiata che lei evitò deliberatamente.
«Quando mai consegnano le armi già cariche?»

«Be', una volta lo hanno fatto» disse Kwan prendendo in mano una 9mm. «Menomale che ce n'eravamo accorti, vero Leah?»

Leah annuì. «Già, quel giorno qualcuno avrebbe potuto farsi male se qualcun altro fosse stato stupido come te» fulminò Connor con lo sguardo. «Non cadermi su queste cose, Hill.»

Connor alzò gli occhi al cielo prendendo una delle Glock gemella a quella di Mya, la 19 Mhs, carrello e canna uguali alla 19, ma con l'impugnatura della 17. «Prendo questa, siccome la più bella me l'ha rubata Mya» a sentire pronunciare il suo nome le saltò un battito. Era più di un giorno che non lo pronunciava però le era mancato tantissimo, il suo nome sulle labbra di Connor.
Questa volta lo guardò e gli rivolse un piccolo sorriso. Gli mancava, molto.

«Va bene, adesso rimettiamo tutto apposto, basta giocare, su!» Kwan riprese le armi dalle mani dei due rimettendole nella cassa e tolse la maschera anti-gas dal capo di Leah. «Anche tu, partner.»
Richiuse le casse strusciandole sotto le scale che portavano alle camere da letto.

«Dobbiamo ultimare il piano per questa notte» sentenziò Leah.

«Sì, ma dobbiamo aspettare Hazel» rispose Mya.

Hazel era uscita poco dopo Lucas per andare alla centrale, aveva deciso di fare un'ultima tappa prima della gara di quella sera per prendere più manette, se ce ne fosse stato il caso, e controllare se nei computer della centrale vi fossero testimonianze di vendita illegale di armi di marche non dichiarate o proiettili, ma ci stava mettendo sin troppo tempo, probabilmente non aveva trovato molto.

Così decisero di aspettare la ragazza, Mya andò in cucina e aprì il frigo: iniziava ad avere un certo appetito, ma non aveva voglia di cucinare e Kwan era troppo preso dal monitorare le macchine della gang di Gudrun per scendere in cucina e fare i suoi piatti spettacolari. Passò in rassegna tutto il primo piano del frigo e pure il secondo, sbuffò spostando lo sguardo sull'anta di destra. Una magnifica confezione di uova da terra la guardavano. Bene, avrebbe mangiato tre di loro. Prese le tre uova in mano e con l'altra chiuse le ante del frigo, si voltò trovandosi Connor seduto al tavolo intento ad osservarla.
«Cristo Santo!» Mya saltò spaventata tenendo stretta a sé le uova per non farle cadere. «Mi hai spaventata!»

Lui ridacchiò portando le mani davanti a sé in segno di difesa. «Scusa, non era mia intenzione.»

«Sicuro?» Posò le uova sul banco da cucina prendendo il padellino.

«Veramente no.»

Accese il fuoco posandoci sopra il padellino per poi prendere il burro nel frigo. Ne tagliò un pezzo facendolo sciogliere dentro la padella e ruppe le tre uova facendole cadere sullo strato burroso. Tutto questo in assoluto silenzio e sotto lo sguardo cocente di Connor.
Quella presenza la innervosiva, quel silenzio la straziava. Quegli occhi puntanti su di lei la trapassavano dolorosamente. Avrebbe voluto una sua uscita silenziosa dalla cucina e un pranzo tranquillo in compagnia solo di se stessa e dei suoi pensieri, ma a quanto sembrava Connor era arrivato al limite e Mya lo conosceva abbastanza bene da sapere che da un momento all'altro avrebbe aperto bocca.

«So che avevi bisogno di pensare in questi giorni» infatti, aveva iniziato a parlare. Mya continuava a dargli le spalle controllando che le uova nel frattempo non si bruciassero. «e ho provato a starti lontano perché sapevo che fosse la cosa giusta, quando c'era lui poi mi sono proprio dissolto nel nulla la maggior parte delle volte.»
Era vero, Connor sembrava non esistere quando Lucas era in casa, se ne stava in camera sua, o parlava con Leah, oppure usciva quando lui rientrava, ma allo stesso momento usciva anche lei quindi doveva uscire qualche minuto prima o dopo per non incrociarsi. Quella villa era un maledetto via vai.

«Dove vuoi arrivare Connor?» chiese lei gentilmente prendendo un piatto e il sale.

«Volevo solo chiederti se avevi deciso cosa dirgli e quando, perché... non ce la faccio a starti così lontano.»
Lei si voltò osservando quell'uomo che le aveva appena riempito il cuore, nuovamente.
Lui non riusciva a stare lontano da lei. Mya ripetè quelle parole una dozzina di volte dentro di sé.
«È... straziante non poterti parlare, non poterti neanche guardare quando c'è lui, non poterti toccare.» lo sguardo sofferente di Connor la diceva lunga. Lei provava le stesse cose da giorni. Avrebbe voluto corrergli incontro e abbracciarlo.

Non c'è Lucas, non c'è nessuno, siamo solo io e lui.

Così lo fece senza pensarci troppo. Abbandonò le sue uova sul fuoco e allargò le braccia andandogli incontro, lui sembrava pronto a quel momento e in un battito di ciglia l'accolse tra le braccia stringendola a sé. Si strinsero come se fosse stata l'ultima volta che avessero potuto farlo, bisognosi di farlo. Lei affondò il viso nel collo di lui e ispirò il suo profumo di menta e tabacco, le placava i nervi, rilassandola, facendole capire che sarebbe andato tutto bene.

«Gli parlerò dopo la gara di sta sera, te lo prometto» rivelò con voce ovattata.

A quelle parole Connor espirò tutta l'aria che aveva in corpo e gli si rilassarono le spalle, come se avesse appena posato un grosso macigno che si portava appresso. E forse lo era. Mya si mise nei suoi panni: aveva passato gli ultimi anni in preda ai sensi di colpa pensando di aver rovinato la vita a una delle persone che gli sta più a cuore - l'unica. In più, questa stessa persona viveva felicemente con l'uomo che odiava di più al mondo e presto si sarebbero sposati. Dopo essersi perdonato e essersi fatto perdonare da lei, riescono a capire che provano entrambi un sentimento forte l'uno per l'altra e che vorrebbero stare insieme, ma si ritrova il futuro marito di lei a vivere nella sua stessa casa il quale gli ricorda costantemente che lei è ancora sua, che ci dorme insieme e può baciarla quando vuole.
Era stressante? Forse un pochino.

La vita di Connor sarebbe iniziata solo quando Mya si fosse liberata di Lucas.

«Promettimelo.»

«Te lo prometto.»

«Siamo arrivati!» l'urlo d'allarme di Hazel fece staccare Mya e Connor da quell'abbraccio infinito.
Lei si piombò sulle uova ormai mezze bruciate mentre Connor si alzò dalla sedia e uscì dalla cucina.

Hazel e Lucas non eran usciti nello stesso momento e non erano neanche andati nello stesso posto, eppure Hazel sembrava essersi fermata ancor più del necessario fuori casa per aspettare Lucas, per.. avvisare Mya quando sarebbe rientrato?
Quel pensiero era strano ma, se le cose fossero andate veramente così avrebbe dovuto comprare una stella a quella ragazza.

Mya si versò le uova nel piatto spegnendo il fuoco e nello stesso momento Lucas fece capolino alla porta della cucina.
«Hei, sei qua!» entrò andandole incontro.
Lei annuì facendo un piccolo sorriso con tutta la forza di volontà che aveva in corpo. La presenza di Lucas le recava fastidio, nulla di più.
Lui la prese da un fianco avvicinandola a sé per stamparle un bacio sulla guancia.
«Ho fatto un giretto sulla spiaggia oggi, niente male.»

«Mh, già» Mya prese la forchetta addentando il primo pezzo di uovo.

«Non è brutta come città, anzi. Pensavo che magari potremmo tornarci un giorno.»
Mya strinse le labbra alzando le sopracciglia. Tutto di lei diceva "non me ne frega nulla".
«Magari potremmo, che ne so... trasferirci, no?»

Per poco non si strozzò con le uova. Sbarrò gli occhi al suono di quella proposta tanto bella quanto fuori luogo.
Certo, San Francisco era una bella città, tralasciando a parer suo la monotonia dell'oceano, ma mai ci si sarebbe trasferita con Lucas ora come ora.
Posò la forchetta sul piatto. Le era passata la fame. «Poi ci pensiamo, mh?»

Falsa. Falsa. Stupida falsa!
Avrebbe potuto concludere quella storia lì, in quel momento, e invece no, non lo fece.

Hazel fece capolino in cucina chiamando Mya. «Dobbiamo ripassare il piano per sta notte, vieni.»
Non se lo fece ripetere due volte e si alzò dalla sedia precipitandosi in soggiorno ancor prima che Lucas potesse rendersene conto.

Erano tutti lì, Kwan, Leah e Hazel seduti sul divano bianco mentre Connor era seduto sulla poltrona accanto ai ragazzi. Fulminò Lucas con lo sguardo mentre raggiungeva tutti in soggiorno, nel mentre Mya si sedette sul secondo divano, di fronte a Connor. Lo guardò e si fece scappare un piccolo sorriso ripensando all'abbraccio di prima, caldo, protettivo e bisognoso, pieno d'amore. L'abbraccio che aveva sempre sognato.

Lucas le si mise di fianco stringendole una spalla con la mano fredda, un segno di rassicurazione che però Mya percepì come invasione di privacy, "non toccarmi, per favore", avrebbe voluto dirgli.
«Lucas, ehm..» si alzò dando le spalle ai colleghi parlando con voce bassa in modo tale che sono il biondo potesse sentirla. «Adesso dovremmo lavorare, perciò perché non...» sparisci? «vai a mangiare? Non hai messo nulla sotto ai denti.»

Lui le sorride. «Tranquilla, mangerò più tardi, voglio vedere come lavora la mia fidanzata.» si sedette sul secondo divano, aprì le gambe mettendosi comodo e mise entrambe le braccia sullo schienale del divano, accasciato e totalmente a suo agio. Era tremendamente fuori luogo e tutti i presenti si sentirono a disagio.
Connor alzò gli occhi al cielo voltando il capo verso Kwan in modo tale che Lucas non lo potesse vedere. Leah guardò il biondo con aria scettica.

«Va bene, ehm, partiremo questa notte verso mezza notte e prenderemo due macchine, io e Mya andremo alla gara e scopriremo l'identità dello spacciatore di LSD e speriamo di beccare la vendita illegale di armi, nel mentre Connor e Kwan andranno alla base fuori città, sicuramente lì terranno la maggior parte delle loro scorte di armi e droga, probabilmente altre macchine rubate o non registrate. Hazel, tu verrai con me e Mya, ti terrai pronta a chiamare tutte le unità di San Francisco, le voglio sul posto immediatamente, sia alla gara che alla base della gang. Avremmo un po' di roba da sequestrate e molte persone da arrestare.»
Concluse Leah con aria autoritaria.

«Ci serviranno un paio di unità» aggiunse Kwan indicando lo spazio tra sé e Connor.

Connor annuì. «Vero, non sappiamo se c'è gente e se ci sarà, non sappiamo in quanti. Avremmo sicuramente bisogno di una scorta di agenti.»

«Sì? Peccato che non ti sia venuto in mente quando hanno rapito e malmenato la mia fidanzata, non è vero?» la voce di Lucas, fredda e minacciosa, interruppe quel clima serio che si era creato. Quelle parole colpirono il cuore di Mya con prepotenza come un fulmine durante una burrascosa tempesta, con tanto di uragano, grandine e tuoni. Tutti si zittirono a quelle parole, Mya fisso Lucas a bocca aperta non sapendo cosa dire. Il ragazzo aveva le mani dietro al collo per sostenersi la testa mentre pronunciava quelle parole crudeli, ma il suo sguardo era sereno, come quello di un bulletto.
Connor, il quale sin da quando si era seduto con i gomiti sulle ginocchia e la schiena propensa verso Mya, rimase immobile, gelato sul posto. Quelle parole erano state inaspettate, un secchio di acqua gelata nel sonno. Abbassò lo sguardo, puntandolo sulle scarpe e strinse la mascella.
Non doveva succedere, Connor non se lo meritava.

Mya si alzò come punta da qualcosa, le mani le prudevano e si sentì avvampare. «Lucas! Per favore, ti imploro, vai da qualche parte, da qualsiasi altra parte, ma lasciaci lavorare, cazzo!»

Lui la guardò alzando un sopracciglio. «Cosa ho fatto?»

«Lucas! Vai via! Ora!» Mya puntò il dito verso la porta di casa, il braccio, le gambe, tutto le tremava dalla rabbia. Non si doveva permettere. Non avrebbe dovuto farlo.

Lui si alzò, il viso iniziava ad arrossarsi. Quello che la faceva arrabbiare ancor di più era l'arroganza con cui Lucas voleva aver ragione. Ma era solo un bambino presuntuoso abituato ad avere tutto al suo servizio. In quel momento Mya avrebbe voluto dirgli le cose più meschine e brutte che gli fossero saltate in mente.

«Hei, Lucas» Leah si alzò correndo in aiuto di Mya. Con tono pacato chiese gentilmente a Lucas di allontanarsi dal soggiorno. «Non è momento delle questioni personali, qua stiamo lavorando. Gentilmente, vattene.»

Lucas strinse la mascella con rabbia, in silenzio voltò lo sguardo verso Mya che continuava a guardarlo in cagnesco. Aveva il cuore a mille che le palpitava sin dentro la testa, se non se ne fosse andato alla svelta non sapeva cosa sarebbe successo. Più guardava Connor, immobile e colpito in pieno da quelle parole come una preda, più la rabbia e le lacrime montavano dentro di lei.

Lucas assottigliò lo sguardo fissando la sua fidanzata, aggrottò la fronte chiedendosi probabilmente cosa stesse succedendo alla donna che lo aveva sempre appoggiato in qualsiasi cosa, che lo amava e lo proteggeva, stava chiedendosi che fine avesse fatto quella donna e chi fosse quell'individuo che aveva davanti, priva di sentimenti nei suoi confronti, infastidita da tutto ciò che diceva e faceva.
Camminò nervosamente verso l'uscita e se ne andò, sbattendo la porta.

Connor si alzò passandosi le mani sui jeans scuri, nervoso. Ogni accenno di serenità che aveva passato il suo viso qualche minuto prima era scomparso, sembrava essere tornato il Connor di un paio di settimane prima, quello triste e pieno di colpa.
«Connor..» Mya gli si avvicinò, ma lui alzò le mani come per dirle di rimanere lì dov'era.

«No... non fa niente, davvero» quelle parole suonarono false alle orecchie di tutti i presenti.
«Hazel, procuraci due unità ben armate, se possibile le armeremo con le nuove pistole che ci sono arrivate.» fu l'ultima cosa che disse prima andare in camera sua.

Mya fece un passo verso di lui ma Leah lo fermò, la ragazza la cruciò con lo sguardo. Non doveva fermarla, doveva andare da lui, aveva bisogno di lei.
Ma Leah scosse il capo. «Lascialo stare, ha solo bisogno di rimanere da solo, fidati.»

Non sapeva se fosse vero o no, voleva rimanere sola con lui, abbracciarlo e baciarlo sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene e che non doveva credere alle parole di Lucas.
Non era colpa sua, non era mai stata colpa sua.

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