Prendimi per mano

Da eyes05

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A venticinque anni si dovrebbe divorare il mondo con gli occhi e vivere la vita al 100%. Per Tanisha non è co... Altro

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Spazio Autrice 🥰

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Da eyes05







Quando non sono in ospedale, sono al lavoro in una gelateria poco distante da casa. Ho iniziato subito dopo il liceo come lavoretto part time e non me ne sono più andata, so che non è il massimo ma ormai ci conosciamo tutti così bene che mi dispiacerebbe cambiare ambiente, ci vogliamo bene.

"Ehi tesoro sei in anticipo oggi." mi dice Gabrielle.

Lei è la moglie di Larry, il mio capo, ed è una persona dolcissima. Sono entrambi sulla sessantina e sono un esempio per me.

"Lo so, avevo bisogno di staccare un po' quindi inizio prima oggi, se per te va bene."

"Certo che va bene, vai dai David stasera?"

"Certo, come sempre."

"Io e Larry ci chiedevamo se dopo ti andasse di venire a cena da noi, anche per le dieci se pensi di fermarti un po' dopo l'orario delle visite."

"Siete molto carini Gaby ma magari facciamo la prossima volta, pensavo di mangiare con David stasera."

Oggi in gelateria c'è un compleanno, non vedo l'ora che arrivino i bambini così almeno ci sarà la confusione a mettere a tacere i pensieri.

Dopo cinque gelati panna e nocciola, due al puffo e uno alla fragola, i bambini si siedono intorno al tavolino con l'ape Maya e iniziano a scherzare tra di loro, è presente anche qualche genitore che insiste per fare una foto tutti insieme per ricordare la giornata. Provano a fare qualche selfie e un autoscatto ma con scarsi risultati.

"Scusi signorina potrebbe farci una foto?" mi chiede una signora sulla quarantina dopo un altro tentativo di selfie fallito.

"Certo nessun problema." rispondo.

Dopo aver scattato la foto, restituisco il cellulare alla proprietaria.

"Grazie mille, ci tenevo ad avere un ricordo della giornata."

"Ha ragione, lo diceva sempre anche mio padre che le foto sono i migliori ricordi."

Già, papà lo diceva sempre. Era un fotografo per passione e per professione: aveva uno studio fotografico molto carino vicino al centro, scattava foto di ogni tipo ma il suo meglio lo dava con i paesaggi. Quando erano giovani lui e mamma viaggiavano molto e le fotografie che ne uscivano erano mozzafiato. A casa abbiamo album pieni di bellissime immagini. Questa passione l'ho ereditata anche io, ho sempre sognato di fare quello che faceva e magari di iniziare a lavorare con lui ma ora non ho nemmeno più il coraggio di entrare nel suo studio a casa.

Dopo la chiusura passo da casa per una doccia veloce prima di tornare da mio fratello.
Arrivo in reparto e ricomincia la solita routine: il monologo.

"Ciao David, sono io, sono tornata. Come stai?"

"Io tutto bene dai, oggi in gelateria c'è stato un compleanno, c'erano dei bambini poco più piccoli di te e ti ho pensato. Nessuno ha preso il tuo gusto preferito, inizio a pensare che il gelato al limone piaccia solo a noi."

Qualcuno entra dalla porta e io mi volto per vedere chi è.

"Ehi ciao Tani, sono venuto a prendere i parametri vitali." dice Robert, un altro infermiere.

"Ciao Rob, non eri di riposo oggi?" domando.

"Sì in teoria, ma un paio d'ore fa abbiamo ricoverato un altro paziente e serviva del personale in più."

"Ah capito, mi dispiace."

Mi dispiace sempre quando qualcuno viene ricoverato qui, questo è un reparto specializzato per chi entra in coma a seguito di un trauma. La maggior parte delle volte però, fortunatamente, le persone si svegliano dopo un paio di giorni. Sfortunatamente David non è tra queste.

"È tutto nella norma, ci vediamo più tardi."

"Grazie Robert, a dopo."

"Ho portato le cuffie, voglio che tu senta una canzone bellissima."

Sblocco il telefono, inserisco le cuffie portandone una al mio orecchio e l'altra a quello di mio fratello e vado nella playlist. Scorro le canzoni fino ad arrivare a 'Sign of the times' di Harry Styles. Play.

Mi appoggio con la testa vicino al materasso mentre sento che piano piano mi addormento. Sarà per la stanchezza o per la musica ma è la terza volta questa settimana che dormo sulla sedia dell'ospedale.

Tengo tra le mani le piccole dita di David e mentre la musica continua a risuonarmi nelle orecchie, i pensieri si allontanano.

Sono le cinque e mezza quando Robert mi sveglia.

"Tanisha..."

"Tanisha svegliati..."

"Mh... oddio scusa Robert. Credo di essermi addormentata."

"Sì lo so, stanotte sono passato a vedere se eri ancora qui ed eri cotta."

"Mi dispiace... ero stanca."

"Non preoccuparti, la prossima volta che ti fermi ti porto una poltrona, qui le usano molti parenti."

"Va bene. Ora è meglio se vado a casa, mi fa male tutto." dico toccandomi il collo.

"Vai a riposarti, hai una faccia stanca."

"Ci proverò!"

La stanza di David è l'ultima in fondo al corridoio e tutte le volte che esco di qua ho la brutta abitudine di dare un'occhiata veloce nelle stanze aperte mentre passo.

Non so il motivo, non so cosa mi aspetti di trovare nelle camere di quegli sconosciuti ma lo faccio.

E così lo faccio anche oggi. Noto con piacere che hanno dimesso un signore o che, perlomeno, lo hanno trasferito in un reparto che lo rimetterà in piedi per tornare a casa. Sto per arrivare alla porta d'uscita quando vedo il ricovero in più che diceva Robert ieri sera. Mi soffermo a guardarlo un po' dalla porta, è così giovane, avrà circa la mia età.
Esco dalla porta e passo dalla sala d'aspetto dove c'è una coppia disperata sulla cinquantina che immagino sia la famiglia del ragazzo.

Quando arrivo al parcheggio sono già le sei del mattino e non c'è molto caldo, d'altronde siamo solo in marzo. Mi chiudo il piumino blu, metto il cappuccio e prendo la bici.

Cerco di pedalare in fretta perché non vedo l'ora di arrivare a casa, devo fare la doccia e andare al lavoro per riuscire ad uscire un po' prima per tornare in ospedale.

Come sempre: casa, lavoro, ospedale. Casa, lavoro, ospedale. Casa, lavoro, ospedale.

Appena entro, mi dirigo verso il bagno, tolgo i vestiti e li butto sul pavimento poi entro in doccia. Mi sembra quasi di sentire mia madre "Tanisha! Quante volte devo dirtelo di non buttare i vestiti per terra? Abbiamo il cesto apposta! Sei peggio di tuo fratello e lui ha nove anni!"

Odiavo quando brontolava così eppure ora vorrei tantissimo sentire che mi sgrida.
All'improvviso ho l'impressione che tutta l'aria della stanza sia sparita, fatico a respirare e inizio a piangere. Giro la maniglia sull'acqua fredda ma non funziona e me ne resto lì in ginocchio a singhiozzare rumorosamente sotto il getto gelido finchè non ce la faccio più ed esco dalla doccia.

Mi avvicino alla finestra e la apro, piano piano sembra che torni l'ossigeno, brutto scherzo eh? Si chiama crisi di panico ed è la mia migliore amica negli ultimi mesi.

Quando avevo sedici anni ho avuto la mia prima crisi di panico, era morta Lucy la mia cagnolina. Ero disperata, mi ero seduta sotto la finestra, in accapatoio con le ginocchia piegate in avanti e piangevo così forte da non respirare. Proprio come in questo momento ma allora papà era venuto in mio soccorso, mi aveva presa fra le braccia e continuava a darmi dei baci sulla testa dicendo che la sua bambina non doveva piangere perché ci sarebbe stato il suo papà con lei.

E adesso papà? Adesso che non ci sei cosa faccio?

Mi vesto e vado in camera dei miei genitori, mi siedo sul letto ed osservo le foto sul comò. Mi soffermo su una in particolare, quella dentro la cornice dorata che ritrae il giorno in cui si sono sposati mamma e papà. Sono sempre stati tanto innamorati da sfiorare la perfezione

Mamma aveva un amico poliziotto che l'ha scortata fino in chiesa quel giorno perché lei era rimasta a piedi con la sua macchina, mi raccontava sempre che, al suo arrivo, la risata di papà aveva echeggiato per tutta la chiesa.

Questo evento era diventato un classico per le cene coi parenti, una volta è anche venuto a cena da noi quel signore.

L'ultima volta che l'ho visto è stato il giorno più brutto della mia vita.

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