È ora di pranzo, sento il rumore dei tacchi sul pavimento, le risate e il brusio dei gruppi di persone che si dirigono nella sala grande per mangiare. L'albergo ha organizzato un altro evento, giusto per far sentire i suoi ospiti più a casa. Il che non ha senso, se volevano sentirsi a casa ci sarebbero rimasti.
Sfilo le fascette ormai inutilizzabili e ne uso di nuove, le stringo forte intorno alle mani e mi passo un braccio sulla fronte. Sto sudando tanto, quasi ci nuoto dentro, ma non importa. Tiro un pugno al sacco nero, e poi un altro ancora. Quasi non sento la stanchezza, eppure sono qui da più di un ora ormai.
La palestra è deserta, nemmeno i fissati del fitness ci sono. Ed è meglio così, almeno posso sfogarmi in santa pace. Mi concentro sul sacco, lo colpisco con due calci quando sento la porta aprirsi.
<<Non dovresti essere qui.>> dico, senza neanche voltarmi.
<<Potrei dire la stessa cosa, sei ancora in tempo per cambiare idea.>> ribatte Clara, nel suo scintillante ed elegante abito rosso.
Le sorrido, scuoto la testa e appoggio la schiena contro il sacco. In questi momenti la differenza tra me e lei è abissale, basta osservare i suoi capelli lucenti e perfettamente piastrati o le sue unghie fresche di smalto. Mentre io...beh sono un disastro.
<<Sai che non verrò, stai sprecando tempo.>> esclamo, prima di darle le spalle e ricominciare la mia sessione intensiva di "uccidiamo il sacco".
<<Se è per i genitori di Aaron...>> inizia, ma la blocco subito.
<<No, sai che di questi problemi non me ne faccio.>> dico, continuando a prendere a pugni questo dannatissimo sacco.
<<E allora qual è il problema? Hai paura di vedere Paolo? Oppure è per il calciatore, Dyb...>>
<<Non lo nominare!>> sibilo, tirando un gancio così forte da far tremare le catene che sorreggono il sacco. Sento i muscoli della schiena irrigidirsi e ho il fiatone.
<<Non lo nominare.>> sussurro ancora, quasi impercettibilmente.
<<Non farlo Eu.>> esclama Clara, mettendo una mano sulla mia spalla nuda. Non trovo il coraggio di voltarmi, così non lo faccio.
<<Non chiuderti in te stessa, non perderti di nuovo, non permettere ad un altra persona di controllare il tuo umore.>>
Quando Clara capisce che ho bisogno del mio tempo e di spazio si allontana, chiudendosi la porta alle spalle. Sospiro, poggio la fronte contro il sacco e cerco di riprende fiato. Porto le mani sulla nuca, con la disperazione nel cuore.
Non so cosa mi stia succedendo esattamente, mi sento come se non fosse cambiato nulla e allo stesso tempo fosse cambiato tutto. Ho commesso un errore permettendo a quel ragazzo antipatico di entrare nella mia vita, ed ora ne pago le conseguenze. Perché sono la solita idiota, che cede di fronte ad un bel faccino.
<<Maledizione.>> sussurro, chiudendo gli occhi.
Sfogarmi in palestra non sta funzionando, non sta portando assolutamente a nulla. Vorrei urlare a squarcia gola, e vedere se cambia qualcosa, ma non mi sembra il luogo adatto. Ho bisogno di fare qualcosa di stupido, di adrenalinico, di pericoloso.
Guardo la parete da arrampicata, sarà alta su per giù venti metri. È perfetta.
Non indosso l'imbracatura di sicurezza, nulla. Inizio a salire, con precisione e velocità. L'ho già fatto altre volte, ma mai così. Se dovessi cadere potrei rompermi qualcosa, ma non ci penso, perché non succederà. Arrivo quasi in cima, quando un rumore mi distrae facendomi quasi perdere l'appiglio.
<<Che diavolo ci fai lassù senza le funi di sicurezza?>> domanda una voce arrabbiata che conosco bene.
Butto un occhio giù e ciò che vedo mi fa battere il cuore dieci volte più veloce del normale. Paulo è lì, con le braccia incrociate al petto. Nel suo completo elegante stona, è troppo perfetto per essere in una palestra, al cospetto di una ragazza coperta di sudore e con i capelli legati appiccicati alla fronte.
<<Esattamente quello che vedi, arrivo in cima.>> rispondo dura, perché questo non è far suo.
<<È pericoloso Europa, scendi immediatamente.>> ordina, fulmiandomi con lo sguardo.
Quasi scoppio a ridere, è ridicolo.
Chi si crede di essere per darmi degli ordini?
Non è nessuno per me. Nessuno.
Presa dalla rabbia e da un moto di follia, arrivo in cima in pochi secondi.
<<Sei completamente pazza, e lo sapevo già, ma questo è troppo! Stai mettendo a repentaglio la tua salute, scendi subito.>> continua, adirato. Persino da quassù riesco a vedere la mascella serrata e le sopracciglia aggrottate.
<<Scenderò quando lo deciderò io, e poi la mia salute non è un tuo problema.>> rispondo, penzolando con le gambe nel vuoto.
<<Mi stai facendo venire un infarto, per favore Europa, scendi.>> cambia tattica e anche posizione.
Sembra sinceramente preoccupato, ma ormai ho imparato che nessuno è sincero e che lui a mentire è un maestro. Però i suoi occhi mi convincono a scendere, forse perché dicono più di quanto dovrebbero. Mancano un paio di metri quando metto male un piede e scivolo. Due braccia mi prendono al volo, senza farmi nemmeno sfiorare il suolo.
<<Te l'avevo detto che era pericoloso!>> sibila Paulo, stringendomi al petto, sento il suo cuore battere furioso contro il mio orecchio.
Dovrei ribattere per le rime, ignorarlo o urlargli contro, invece chiudo le emozioni dietro ad una porta invalicabile. Lo guardo in viso e senza nessuna espressione gli ordino di mettermi giù.
<<Che ti prende si può sapere?>> domanda, più confuso che arrabbiato.
Mi mette a terra, e mi guarda andare verso il sacco. Riprendo l'allenamento, ignorandolo. Voglio che se ne vada, che mi lasci in pace e allo stesso tempo so che non è ciò davvero voglio. Tiro un calcio al sacco da box facendolo oscillare vicino al suo bel faccino.
<<Perché sei qui da sola, invece di essere a pranzo?>> chiede, senza smettere di guardarmi. Nemmeno si sposta, il che conferma che non gli importa nulla della possibilità di essere colpito.
<<E tu perché sei qui? Non hai niente di meglio da fare?>> dico, con una voce così gelida da far paura persino a me.
<<No.>> risponde, senza esitazione.
<<Fatico a crederci.>> ringhio amara.
Con una mano blocca il sacco e mi guarda dritto negli occhi. Inarco un sopracciglio, questo non lo doveva fare. Nessuno può interrompermi nel pieno di un allenamento, specialmente una persona che mi ha fatto incazzare.
<<Che diavolo ti prende, si può sapere?!>> esclama Paulo, sfiorandomi un braccio. Gli sorrido cattiva, sperando per lui che ritiri la mano prima che sia troppo tardi.
<<Stai lasciando sola la tua accompagnatrice, ed è maleducazione sai? Quindi vedi di evaporare.>> sibilo, furiosa.
Paulo spalanca la bocca, interdetto.
Pensa sul serio che tutto ciò che fa sia giustificato?
Scuoto la testa e mi volto, decisa ad andare via, quando commette un grosso errore.
Allunga un braccio e mi stringe il polso, cercando di fermarmi.
E beh, lì non ci vedo più.
<<Eu lasciami spiegare, non è come cre...>> Paulo si blocca, e un attimo dopo fissa il soffitto alto della palestra. L'ho solo proiettato davanti a me con una sola mossa.
<<Non c'è niente da spiegare, perché io non penso proprio nulla. Tu non sei niente per me, Paulo Dybala, niente. Quindi fammi un enorme favore: d'ora in poi stammi alla larga.>> lo guardo, dall'alto, scandendo bene ogni parola.
Posso vedere il suo sgomento, perché non se lo aspettava. Prima che possa riprendersi e dire qualcosa o alzarsi dal materassino, raccolgo le mie cose e punto dritta verso la porta. Con la mano sulla maniglia e il cuore ammaccato, non mi volto.
Tiro giù la maniglia, per dare un taglio netto a questa situazione assurda.
Spingo, ma la porta non intende aprirsi.
Riprovo. Nulla.
La prendo a spallate ma non si muove di un millimetro.
<<Non è possibile!>> grido, con il palmo sulla superficie della porta di ferro della palestra.
Sono chiusa qui.
Con Paulo Dybala.
Merda.
Spazio autrice: Eh, diciamo che questo capitolo è venuto fuori un po' dal nulla. Europa è arrabbiata, e sotto sotto ha pure ragione. Vedremo come si evolverà la loro "convivenza" forzata in palestra, alla prossima 😘💎🌌