¡Mala Mía!paulo dybala

Autorstwa basiqally

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Fe Jazmín conosce Paulo ad una festa in paese e, da allora, non ne può più fare a meno 12/31/18: #1 football ... Więcej

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epílogo
ringraziamenti
missing moments: 1, no corras
missing moments: 2, talking helps a lot
missing moments: 3, mira quien volviò!
missing moments: 4, quien es la otra?
missing moments: 5, concluir algo con él
missing moments: 6
missing moments: 7
missing moments: 8
missing moments: 9
missing moments:10, quella foto di noi due

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Autorstwa basiqally

«Ne posso un po'?» chiedo a Paulo, mentre lo osservo mescolare diligentemente il suo mate nel contenitore di metallo. Sembra pensarci un po' su, osservandomi.

«Tieni, ne faccio altro» dice infine, porgendomi il mate che stava preparando per sé stesso.

«Grazie» lo ringrazio timidamente mentre lui si alza dal tavolo della cucina per andare a prendere altre erbe. Picchietta l'indice sulla guancia sinistra, gonfiando le guance e aspettando che io gli dia un bacio.

Rido sonoramente, coprendo la bocca con le mani e poi mi sporgo verso di lui, poggiando le labbra sulla sua guancia liscia.
Sorride e va verso il mobile quasi scodinzolando, facendomi scoppiare a ridere di nuovo.

«Perché ridi?» indaga, cercando la confezione di erbe nel ripiano più in alto. Manca poco che debba mettersi sulle punte per raggiungerla.

«Niente, sei carino» ammetto, sentendo le guance andare a fuoco. Cerco di coprirmi il viso, evitando di fargli capire che questo tipo di cose mi sono nuove e non so esattamente come comportarmi.

«Anche tu sei carina, quando arrossisci» si piega sulle gambe, restando in punta di piedi, e mi osserva dal basso, puntando i suoi occhi nei miei.

Lentamente, avvicina le sue mani alle mie e, nel modo più delicato possibile, le sposta, lasciandole cadere sulle mie gambe. Si prende qualche secondo per accarezzarmi la pelle del viso e io, beandomi del suo tocco, chiudo gli occhi.

«Ma quando sei così» dice, per poi schiarirsi la voce e spostare i miei capelli di lato, accarezzando anche quelli «Quando sei così, mi togli il fiato» finisce la frase in un sussurro, pensando che io non possa sentirlo.

Schiudo gli occhi solo per vedere il suo viso sempre più vicino al mio e le sue pupille dilatate che mi scrutano, che osservano ogni centimetro della mia pelle.

«Smettila di guardarmi così, mi sento nuda» mormoro, quasi in imbarazzo. Si alza da terra, torreggiando su di me.

«Se fossi nuda non ti guarderei così» dice schiettamente, scrollando le spalle e ridendo, cosa che fa ridere anche me.

«Sei buffo quando ridi» mi faccio sfuggire, cingendogli il collo con le braccia e notando la differenza tra le sue, di braccia, muscolose anche dentro ad una felpa informe, e le mie, esili e molto più simili a stuzzicadenti.

«Ah sì?» alza un sopracciglio e, di scatto, afferra le mie cosce e mi alza senza sforzarsi minimamente, tenendomi stretta al suo petto mentre io stringo le gambe attorno al suo bacino.

Annuisco, ridendo come una bambina mentre mi riporta in camera, accarezzando le mie cosce durante il breve tragitto e inciampando sulla trave sporgente del corridoio, come sempre.

Mi posa sul letto, e non mi lascia nemmeno il tempo di tirare giù la felpa che mi aveva prestato ieri sera per dormire che è già sopra di me, tra le mie gambe, con il viso vicinissimo al mio. La sua mano destra è sulle mia vita, mentre la sinistra accarezza la gamba e il fianco.

Con le braccia ancora allacciate dietro al suo collo, lo tiro verso di me,baciandolo di mia iniziativa per la prima volta, e lui non sembra per nulla dispiaciuto, visto che sorride nel bacio, spingendosi contro di me e facendomi sentire più di quanto fossi pronta a sentire.

Senza che io possa dire nulla, si sfila la felpa, con il suo petto nudo contro il mio, ancora coperto. Probabilmente siamo così vicini che riesce addirittura a percepire il battito accelerato del mio cuore mentre penso velocemente a cosa devo fare.

Sfila anche la mia, di felpa, e cerco di ragionare su ciò che sta succedendo, sul fatto che io sia pronta o no per questo passo importante della mia vita.

«Paulo» mormoro, spingendo le mani sul suo petto, allontanandolo abbastanza da poterlo vedere bene in viso. Le sue mani sono dietro la mia schiena, all'altezza del gancetto del reggiseno.

«Non vuoi?» chiede, guardandomi preoccupato. Mi accarezza la schiena, cercando di rassicurarmi.

«Se è per quel discorso che abbiamo fatto un po' di tempo fa, quello che riguarda il tuo corpo-» comincia, ma non gli lascio il tempo di finire.

«No, Paulo, non è quello. Con te mi sento a mio agio e non mi da fastidio che tu mi veda così» comincio, facendo scendere le mani dal suo petto alle sue braccia, accarezzando le bande nere sul suo braccio sinistro.

«Neanche a me da fastidio vederti così, anzi» afferma, guardandomi da capo a piedi con uno sguardo diverso dal solito.

«È solo che» cerco le parole per esprimermi al meglio, ma non me ne viene in mente nessuna adatta per la situazione.

«È la tua prima volta?» chiede, concentrandosi soltanto su ciò che sto cercando di dirgli e non sul mio corpo praticamente nudo sotto di lui.

Scuoto la testa, senza sapere cosa dire. Dovrei esserne imbarazzata? O andarne fiera? Gli da fastidio? Avrebbe preferito qualcuna con nessuna esperienza?
Sposto lo sguardo dal suo viso, evidentemente in imbarazzo.

«Ehi, Jazmín» attira la mia attenzione, osservandomi dritta negli occhi con un'espressione indecifrabile.

«Per me non c'è nessun problema se non sei vergine, la prima volta è un'esperienza unica e importante per tutti, e mi sarebbe piaciuto essere parte della tua» dice, quasi in un sussurro «Ma se hai deciso di condividerla con qualcun'altro, sono più che felice per questo lui» aggiunge alla fine, senza sapere minimamente il perché del mio rifiuto.

«Tu mi piaci un sacco, è solo che» sento una scarica elettrica mentre mi guarda e capisco che, qualunque cosa potrei dire, a lui andrebbe bene, che accetterebbe in ogni caso la mia decisione «Niente, te lo dirò, un giorno, più avanti, ma non oggi» ammetto, decidendo di nascondergli anche quel dettaglio, accumulando la mole di bugie e cose non dette.

Lui sospira, seguendo il mio sguardo verso il suo tatuaggio sul suo costato, che ha sempre destato la mia curiosità.
Si siede sul letto, sistema le gambe e mi fa segno di sedermi su di esse, per poi tenermi saldamente per i fianchi.

«Vuol dire famiglia, è arabo» con le dita ripasso il contorno del tatuaggio, sentendo tutti i suoi muscoli tendersi sotto al mio tocco.

«È per tua madre» sussurro. Sento il suo sguardo bruciare sul mio viso, ma il mio è come ipnotizzato dalle linee di inchiostro che ha sulla pelle.

«Sì, è per lei. Quando è morto mio padre si è ritrovata con tre figli maschi da crescere e ha sempre fatto di tutto per non farci mancare nulla» ricorda tristemente la morte del padre, ma il suo tono è orgoglioso nell'affermare la grande tenacia di sua madre e la sua forza nell'andare avanti nonostante tutto, per i suoi figli.

Il mio sguardo scivola sulle bande nere tatuate sul suo avambraccio, giusto sotto il gomito. Le sfioro, poi guardo Paulo dritto negli occhi, come a chiedergli il permesso di toccare un argomento così personale come il lutto per la morte del padre.

«Avevo quindici anni, andava tutto bene, stavo facendo tantissime nuove esperienze, vivendo la vita al massimo come mi aveva insegnato lui. Ho scoperto che era malato poco prima della sua morte, mia madre e i miei parenti più stretti mi avevano tenuta nascosta la malattia a lungo perché pensavano di preservarmi, ma è andata a finire che sono stato ancora peggio. Mi ricordo di aver passato giornate intere chiuso in camera, senza la forza di scendere. Non volevo continuare a giocare a calcio, non senza lui che veniva ad ogni mia partita e mi supportava in ogni scelta, buona o cattiva. Quando mi sono finalmente deciso ad uscire dalla mia stanza, tutto urlava il suo nome e quanto poco gli avessi dimostrato il mio immenso affetto nei suoi confronti» ci guardiamo per un attimo negli occhi e noto che i suoi sono lucidi, così distolgo lo sguardo. Non so se vuole dimostrarsi così debole davanti a me, e lo rispetto.

Posa due dita sul mio mento, alzandomi il viso e facendo in modo che io lo guardi dritto negli occhi, proprio mentre stanno diventando rossi.

«Dopo qualche settimana, non ce la facevo più. Non dormivo sonni tranquilli e durante le giornate ero praticamente l'ombra di me stesso, sempre con il volto cupo e gli occhi gonfi, un po' dal sonno arretrato e un po' dagli immensi pianti che facevo ogni sera.
Più volte avevo visto questo tipo di tatuaggio, ma non mi era mai sembrato appropriato: perché spettacolizzare la morte di un proprio caro attraverso un tatuaggio grande e appariscente?» una lacrima gli riga la guancia liscia e io mi incanto a guardarla mentre scende per il suo viso privo di imperfezioni.

«Gustavo, il padre di Lautaro, mi ha aperto gli occhi» puntualizza quel dettaglio per darmi qualche punto di riferimento nell'immenso albero genealogico della sua famiglia «Mi ha detto che se fosse servito a me, per accettare la sua morte e continuare a vivere la mia vita al meglio come facevo prima, avrei dovuto farlo, perché avrei sempre avuto una parte di mio padre sulla mia pelle, e avrei potuto associare solo ed unicamente questo» picchietta il suo tatuaggio con la mano libera «A lui, continuando a vedere la versione positiva del mondo in cui viviamo, come avevo sempre fatto» finisce di spiegare e si asciuga la lacrima solitaria sulla sua guancia.

Lascia cadere il braccio sul costato e mi rendo conto che i due tatuaggi che mi ha appena descritto sono alla stessa altezza e che, se tiene le braccia vicino al torso, si toccano di continuo.

«Sono i tuoi genitori» mi rendo conto, toccando con il pollice e l'indice il tatuaggio dedicato alla madre e con l'anulare e il mignolo quello dedicato al padre.

«Sì, sono i miei genitori. Crescendo, mi sono reso conto quanto il loro amore fosse forte, talmente forte da generare tre vite. Ultimamente moltissime famiglie si dividono a causa di divorzi o separazioni, ma questo non è mai successo nella mia famiglia, e l'amore che provavano i miei genitori non ha avuto abbastanza tempo per essere espresso, vista la morte prematura di mio padre. Devo molto ad entrambi e ho sempre sperato di poter provare un amore simile a quello che provavano l'uno nei confronti dell'altro, quindi li ho voluti tatuare così. Quando sono rilassato, si toccano di continuo, mentre quando sto giocando, quando mi arrabbio o sono semplicemente nervoso sono lontani, non si toccano quasi mai; è come una danza che ripetono ogni giorno, ma cominciano e finiscono sempre vicini, perché è quello che è sempre successo tra loro due» cerca di spiegarmi, guardandomi con gli occhi socchiusi.

«È una cosa bellissima» dico timidamente, consapevole di non aver mai cercato di trovare un significato così profondo ai suoi tatuaggi.

«Gli altri sono importanti, ma non così tanto. I miei genitori sono le persone a cui sono più legato, anche se mio padre non c'è più e vedo mia madre poco visto che vivo a Torino e lei vive qui» annuisco, capendo cosa significa per lui essere lontano da casa.

La conversazione termina così, con entrambi che ci guardiamo negli occhi, soppesando le tante cose che ancora vorremmo dirci.

«Grazie» dico, questa volta a voce più alta e non più in un sussurro. Scruto il suo volto mentre si trasforma in un'espressione confusa e, prima che possa interrompermi, prendo la parola.

«Grazie per aver condiviso un momento così intimo con me, te ne sono grata» lui annuisce, sorridendo tristemente «E per avermi aspettato, per non avermi forzato» aggiungo, un po' più imbarazzata. Lui sorride compiaciuto, come se quello fosse stato un test e lui avesse preso il massimo dei voti.

«Grazie a te, per aver perso tempo ad ascoltarmi e aver finto che ciò che dicevo avesse un senso» mi ringrazia, sminuendosi come il suo solito.

«Quello che dicevi aveva senso, solo che qualche volta ti è scappata qualche parola in italiano» ammetto, facendolo ridere.

«Veramente?» annuisco vigorosamente «Mi dispiace, spero tu abbia capito comunque» lo guardo negli occhi e per un attimo vedo qualcosa di strano nelle sue iridi verdi, non più desiderio sessuale o voglia fisica, ma una voglia diversa, la voglia di passare il sabato mattina seduti entrambi sul letto a parlare del più e del meno al posto di passarla a scambiarsi saliva o vari fluidi corporei con donne che conosce a malapena.

«Pensavo di farmi un tatuaggio anche io, ma non ne sono convinta» gli spiego, accarezzandogli i capelli più corti sulla nuca. Corruga le sopracciglia, attento.

«Quale?» chiede, curioso come sempre. Le sue mani stanno disegnando figure geometriche di cui non conosco il nome sulla mia schiena, in una specie di massaggio rilassante.

«Mmh, non so, ero indecisa fra la faccia di Icardi sulla natica sinistra e quella di De Paul sulla fronte, tu cosa dici?» rido alla sua espressione allarmata.

«Non sei seria, vero?» alza un sopracciglio, allontanandosi da me per un attimo.
Scuoto la testa timidamente, infreddolita a causa del suo distacco improvviso.

«Vorrei tatuarmi una frase qui» gli indico la pelle giusto sotto il mio seno sinistro. Lui si lecca le labbra, guardandomi con più attenzione.

«Qualunque frase sia, sarà molto sexy» alzo gli occhi al cielo.

«Mi da fastidio che tu sia così distante, perché vai sempre più lontano?» afferra il mio sedere, spingendomi verso di sé, tanto che le nostre intimità si sfiorano, provocando un sospiro ad entrambi.
Si schiarisce la voce, accarezzandomi la parte bassa della schiena.

«Quindi, che frase vorresti farti tatuare?» chiede, sempre più curioso, guardandomi dal basso.

«Everything comes back to you» cito, fiera della mia pronuncia e del fatto che conoscessi quella frase che, in realtà, viene da una delle mie canzoni preferite.

«Carina, l'hai presa da una serie tv o cose del genere?» chiede. So che fa finta di aver capito cosa in realtà significa la frase, però non ha la minima idea di cosa voglia dire.

«No, aspetta» mi allontano a malavoglia da lui, stendendomi a pancia in giù sul letto e allungandomi per prendere il telefono che è sul comodino.

«Rispetto la tua decisione, ma così me la stai facendo veramente pesare» mormora, facendomi cenno di tornare su di lui. Seleziono velocemente la canzone che gli voglio far ascoltare e alzo il volume al massimo, tornando alla posizione in cui eravamo prima proprio mentre le prime note cominciano a suonare.

«Waking up to kiss you and nobody's there» comincia Niall, con la voce dolce che lo contraddistingue. Anche se ha ormai più di venticinque anni, la sua voce per me rimane tenera come quella di un bambino.

«The smell of your perfume still stuck in the air» Paulo inspira il mio profumo, sorridendo timidamente «It's hard» appoggia la sua testa sul mio petto, permettendomi di accarezzargli i capelli tranquillamente.

Respira regolarmente, ascoltando la canzone senza proferire parola, in un silenzio religioso che accompagna le dolci parole dell'irlandese.

«Over and over the only truth» canticchio, chiudendo gli occhi «Everything comes back to you» finisco, facendogli illuminare gli occhi perché si è finalmente reso conto di cosa stessi parlando prima.

«Tutto ritorna a te» sussurra, a pochi centimetri dalle mie labbra. Annuisco semplicemente, senza sapere cosa aggiungere.

lollissimo

fun fact: questo capitolo è stato scritto ancora prima del primo capitolo, ed è in realtà intorno a questo che io ho scritto il resto della storia. l'idea dei tatuaggi mi è piaciuta molto e spero che piaccia anche a voi:)

per il resto niente

complimentatevi con Niall QUI perché lui è il mio bambino e non si merita insulti

ciaone😘😘

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