I rovi della luna

By FrancescaBufr

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Cameron è stato appena lasciato, è depresso e pessimista ed è seppellito di lavoro per la nuova stagione de "... More

Cameron's Life - Parte Prima
Cameron's Life - Parte Seconda
Cameron's Life - Parte Terza
Pictures on the ceiling - Parte Prima
Pictures on the ceiling - Parte Seconda
The anomalous fruit of the tree - Parte Prima
The anomalous fruit of the tree - Parte Seconda
The last time - Parte Prima
The last time - Parte Seconda
Feelings on the horizon - Parte Prima
Feelings on the horizon - Parte Seconda
The artist and the actor - Parte Prima
The artist and the actor - Parte Seconda
Parent meeting - Parte Prima
Parent meeting - Parte Seconda
A severe miscalculation - Parte Prima
A severe miscalculation - Parte Seconda
On the road - Parte Prima
On the road - Parte Seconda
A sparkling conversation - Parte Prima
A sparkling conversation - Parte Seconda
Phantoms from the past - Parte Prima
Phantoms from the past - Parte Seconda
The Interview - Parte Prima
The Interview - Parte Seconda
Truth or dare - Parte Prima
Truth or dare - Parte Seconda
An Earthquake! - Parte Prima
An Earthquake! - Parte Seconda
Approach strategies - Parte Prima
Approach strategies - Parte Seconda
A web of secrets - Parte Prima
A web of secrets - Parte Seconda
Action painting
Dangerous digressions
Business relation - Parte Prima
Business relation - Parte Seconda
Three Chairs - Parte Prima
Three Chairs - Parte Seconda
Without control
Lift-off
Another place
A revelatory moment - Parte Prima
A revelatory moment - Parte Seconda
Time together - Parte Prima
Time together - Parte Seconda
Return to the Truth
Outbrust of rage
Reconciliation
Break from work
Sword of Damocles
An interrupted couple - Parte Prima
An interrupted couple - Parte Seconda
Fragments - Parte Prima
Fragments - Parte Seconda
Behind the curtains - Parte Prima
Behind the curtains - Parte Seconda
Ryan makes amends - Parte Prima
Ryan makes amends - Parte Seconda
Self-humiliation
No doubt - Parte Prima
No doubt - Parte Seconda
Non-original screenplay - Parte Prima
Non-original screenplay - Parte Seconda
Fill the void - Parte Prima
Fill the void - Parte Seconda
To sleep with him - Parte Prima
To sleep with him - Parte Seconda
The two boyfriends - Parte Prima
The family women - Parte Prima
The family women - Parte Seconda
An unexpected guest - Parte Prima
An unexpected guest - Parte Seconda
The Jetty - Parte Prima
The Jetty - Parte Seconda
The new neighborhood - Parte Prima
The new neighborhood - Parte Seconda
A new start
The devious trickery
Shakespeare in the park
Negotiation
Ripped line - Parte prima
Ripped line - Parte Seconda
Locked rooms - Parte Prima
Locked rooms - Parte seconda
The empty space theorem
Competition
Scalene triangle
Revenge
Rainbow pride
Another moon
Sincerity
Family matter
At work
Intimacy
Mirror
The word love
Moonlight
For the first time
What goes around comes around
Adam's family
Rumors
Jason on the edge
Sneaking around
Broken glass
Parallel lines
Domino effect
The both of you
Moving life
Fix it
Mealtimes
Third wheel
The one that frees you
Declaration
The end and the beginning
The room
Video coming out
Dawn
New horizons

A new birth

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By FrancescaBufr

Non aveva più cercato di contattare Carter per qualche giorno, voleva farlo sbollire e poi era spaventato dall'idea di un altro rifiuto. Dopo quello che era successo anche Jason era in alto mare, voleva solo ritrovare ordine. I punti di riferimento venivano a mancare uno dopo l'altro, aveva bisogno di certezze. Forse anche per questo trovò il coraggio di compiere il gesto che si riprometteva da settimane.

Bussò alla stanza del residence col cuore in gola. Quando avvertì un movimento provenire dall'interno, per qualche istante ogni buon proposito cadde e fu tentato di scappare via, come un ragazzino che fa uno scherzo. Ma, troppo presto, Cindy aprì la porta e lo fissò curiosa. Non tradiva un particolare disagio nel vederlo, appariva più che altro sbigottita.

"Jason..."

"Ciao, Cindy. Scusa la visita improvvisa. Volevo parlarti, ma non ci vorrà molto." Jason infilò le mani in tasca. Sembrava imbronciato, ma in realtà mostrava la solita difficoltà, maturata negli anni, di comunicare con lei.

"A proposito di cosa?" domandò lei, tranquilla. Quel giorno indossava solo jeans e maglietta, Jason si rese conto che era la prima volta che la vedeva senza una gonna. Era sempre stata così, Cindy, femminile in maniera semplice, primaverile.

Jason prese un lungo respiro e buttò fuori: "Volevo scusarmi con te. Per le parole che ti ho rivolto l'ultima volta che ci siamo incontrati e... Per tutto il resto. Per come mi sono comportato con te fin da quando ci siamo incontrati."

Lei ascoltò attentamente. Poi il suo viso si distese e gli fece largo. "Entra. Ti offro una tazza di tè."

Si sedettero in cucina. Jason si rigirava la tazza tra le mani, non sapendo bene come continuare, cos'altro dire. Temeva, a ogni passo, che tornasse a uscirgli per riflesso condizionato il tono ostile che con lei vestiva sempre.

"Mi è sempre dispiaciuto, non riuscire ad avere un dialogo con te" esordì allora Cindy seduta di fronte a lui. "Soprattutto all'inizio. Jack parlava spesso di te e desideravo conoscerti... Non potevo immaginare che..."

"Che io lo amassi in modo diverso da come si ama il proprio migliore amico?" sbottò di corsa Jason. Guardò fissa la superficie del tavolo. "Jack non ne aveva mai fatto accenno con te?"

Cindy schiuse la bocca, l'espressione si distorse in un moto di sofferenza. Disse solo: "Anch'io penso che avrebbe dovuto dirmelo."

"Lo sapeva, l'ha sempre saputo, ma non lo considerava un problema" aggiunse Jason caustico. "Aveva deciso che noi due eravamo amici e che i miei sentimenti per lui erano un'infatuazione passeggera, qualcosa cui avrei rinunciato presto o tardi. Non te ne ha parlato perché li riteneva ininfluenti."

"Mi arrabbiai, con lui, dopo averti incontrato" replicò lei seria. Era la prima volta che parlavano a cuore aperto, che gli raccontava quelle cose. "Gli feci presente che tu gli morivi dietro e Jack mi rispose che lo sapeva già. Mi mandò fuori dai gangheri."

"Tu sei in grado di andare fuori dai gangheri? Non riesco a immaginarti" commentò Jason divertito.

"Quella volta sì. Non... capivo come potesse fare finta di niente. Mi sembrava crudele."

"Jack non era crudele. Non era obbligato a ricambiarmi."

"Ti vedeva troppo giovane, come un fratellino. Io... Non sapevo come rapportarmi a te" ammise Cindy. "Si vedeva lontano un miglio come per te ero di troppo."

"Scusa" ripeté Jason pieno di vergogna.

"Non importa... Se ci ripenso ora, è stato comunque il periodo migliore della mia vita. Rivivrei tutto daccapo, compresi gli inciampi e le parti dolorose, solo per poter incontrare Jack ancora una volta e rivivere il nostro tempo insieme." I suoi occhi divennero umidi e nascose il volto.

"Cindy..." Jason sentiva il cuore sempre più stretto, ma per la prima volta vedeva come la sorda sofferenza della scomparsa di Jack non apparteneva solo a lui. Era di Cindy, e di Marshall...

"Jason... Mi dispiace così tanto non essere stata abbastanza per Jack, per trattenerlo" dichiarò di colpo lei con le labbra tremanti, sconvolta. L'attore spalancò gli occhi.

"Non... Non avrei dovuto dirti quelle parole! Jack era una persona malata, tu non l'avresti potuto rendere più felice di quanto hai fatto, quello che è successo non è colpa di nessuno..." Si bloccò di colpo. Cindy e Jason si guardarono negli occhi. Lui si rese conto che era la prima volta che riusciva a pronunciare quelle parole ad alta voce e crederci davvero: non era stata colpa di nessuno. Incrociò le braccia e continuò: "Aveva cambiato terapia farmacologica più volte, ma non c'era stato nessun miglioramento: quando era sotto medicine diceva di non riuscire più a recitare. E lui non poteva vivere senza quello, l'hai visto, era un tutt'uno col palcoscenico..."

"Come te" rispose Cindy, pronta.

"Eh? No, io non sarò mai bravo come lui..." replicò Jason rassegnato.

"Sai che lui diceva lo stesso di te, quando era vivo? Ne sembrava fermamente convinto. Diceva che eri un talento naturale e che per quanto lui riuscisse a immedesimarsi in un personaggio, tu facevi di più coi tuoi, gli davi più livelli, sfumature, li rendevi contraddittori e... umani."

"Ma... No... Lui non mi ha mai detto niente del genere..." balbettò Jason. Era per forza una menzogna.

Cindy si strinse nelle spalle: "Lo diceva a me. Ed era vero. Ti ho visto recitare: aveva ragione. Da quando lui non c'è più, poi, è evidente come sia presente in ogni tuo lavoro. Io lo vedo. Ed è come se dei frammenti di Jack sopravvivessero, in me, in Marshall, in tutti i tuoi ruoli..."

"Hai visto Marshall negli ultimi giorni? Sta bene?" chiese Jason col cuore in gola.

Lei intrecciò le mani sul tavolo. Le unghie brillavano grazie allo smalto trasparente. "Meglio. Ha cominciato ad accettare la situazione, anche se è molto difficile per lui."

"Il... tizio di nome Adam gli sta vicino?" dovette chiedere. Per quanto facesse male, voleva anche che fosse così.

Lei spalancò gli occhi sorpresa per la domanda. Marshall non gli aveva mai spiegato bene la situazione. "Lo sapevi?"

"So che con lui sembra felice" rispose Jason. "Ma spero che non sia successa qualche mattana nel frattempo. Se piantasse Marshall proprio in questo momento delicato non me lo perdonerei, e andrei a cercarlo per spaccargli la faccia una volta per tutte. Anche se è abbastanza grosso da mandarmi all'ospedale" osservò. "Non mi importa."

Lei sorrise triste. "No, loro... Continuano a vedersi, a quanto ne so. Questo... Adam sembra molto preso da Marshall."

"Lo immaginavo" rispose Jason con un nodo al cuore, ma anche sollievo che nulla fosse mutato.

"E tu?" chiese Cindy circospetta. "C'è... Qualcuno, nella tua vita? Anche Marshall è preoccupato."

Il nodo immediatamente si sciolse per crearne un altro, più vicino allo stomaco. Provò una sorta di nausea: "Io... Non lo so, a dire il vero." Non volle dire altro, così virò: "Ma devo farcela da solo, senza appoggiarmi a nessuno stavolta, credo sia meglio così."

Cindy annuì e stette per un po' in silenzio. Jason con la coda dell'occhio notò l'anello di fidanzamento al suo dito e tornò a invaderlo la tristezza. La vita continuava, senza Jack. Ma non aveva più intenzione di farne una colpa alla ragazza – continuava senza Jack per tutti: anche per Marshall. Ora conoscevano e amavano persone di cui neanche sapevano l'esistenza quando Jack era in vita. E così lui... Anche Jason aveva finito per aprirsi alla vita, per accettarvi qualcuno all'interno – anche se forse era qualcuno che non voleva entrarvi.

Era un abbandono che lo terrorizzava, che rifuggiva. E il silenzio lo dilaniava ancora di più. Non erano mai trascorsi tre giorni di seguito senza che Carter lo cercasse, ma cercarlo lui avrebbe significato mettersi nelle condizioni di provocare quella cesura. Solo l'attesa gli garantiva la possibilità di rimandare il momento ancora di un poco. Ore, forse giorni.


"Dovevamo proprio venire tutti?" domandò Daniel interdetto. Avevano affollato la sala d'aspetto dell'ostetrico.

Ashley, seduta su una delle sedie e circondata dai suoi uomini, rispose: "Sì! Ci tenevo che voi ci foste."

In piedi, Terence, l'amico di Scott, le teneva la mano. Stavano insieme da un po', anche se a quanto ne sapeva Daniel si erano iniziati a frequentare quando Ashley era già incinta. Non aveva chiesto approfondimenti, ma sembravano andare d'accordo. Lui aveva un atteggiamento dolce e premuroso. La ragazza aveva ormai la pancia tondeggiante e il viso, le braccia più morbide. Aveva perso quasi totalmente lo slancio da gazzella del suo corpo, così caratterizzante in lei prima della gravidanza. Ora appariva più femminile, più dolce.

Completavano lo strambo quadretto Hunter e Nicolas, in piedi anche loro in attesa.

"Chi ti accompagnerà dentro? Hunter o...?" chiesi, alludendo con un cenno a Terence.

"Io, ovviamente" sbottò Hunter. "Sono o non sono il padre?"

Ashley roteò gli occhi marroni: "Avrei preferito Nicolas, mi avrebbe messo molto più a mio agio..." Li piantò di nuovo su Daniel. "Però soprattutto sono contenta che ci sia tu, almeno per la scoperta del sesso del bambino. Per la nascita sarai a Londra! Che amico degenere..."

Un silenzio fitto calò sulla stanza, che Daniel si affrettò a tagliare. "Mi dispiace... Sarò nel pieno del lavoro, e..."

"Ti perderai una delle tue più care amiche che mette al mondo tuo fratello o sorella!" tuonò Ashley affettatamente severa. Finse di pensarci su: "Forse capisco perché scappi..."

Terence aggrottò la fronte e disse alla sua ragazza: "Questa situazione ti diverte un mondo, non è vero?"

"Da matti" ammise Ashley sorridente.

Nicolas cercò di deviare il discorso e guardò gli altri: "Preferireste un maschio o una femmina?"

"Spero sia una femminuccia!" rispose Hunter su di giri. Guardò Daniel: "Il maschio ce l'ho già e mi è riuscito piuttosto bene."

A Daniel vennero i brividi. Incrociò le braccia: "Io invece spero in un maschio. Ho già una sorellina..."

"A me basta che sia sano e che non voglia assolutamente giocare a baseball" commentò Terence. "Sono una schiappa."

"Chi ti ha interpellato a te, pivello?" sbuffò Hunter, geloso. Si sentiva in qualche modo defraudato dal fatto che Ashley, parallelamente alla gravidanza, fosse riuscita in qualche modo a portare avanti una storia che sembrava stare diventando pure seria.

"Con i geni che ha, spero solo che non sia un Alien, guarda" replicò Terence, che non aveva un'altissima opinione di Hunter – dopo i loro trascorsi con Ashley, ma anche in base a tutto ciò che sapeva riguardo al suo rapporto con Scott.

Ashley sorrise: "Abbiamo deciso che, se sarà maschio, il nome lo sceglierò io, se femmina invece Hunter. Ecco perché spera così tanto che sia una bambina."

"Ophelia" disse trionfante Hunter, come se ci fosse da vantarsi. "Ophelia Williams. E la rinchiuderò appena nata sulla più alta torre cosicché nessun uomo si avvicini mai a lei."

"Povera bambina..." non poté fare a meno di commentare Daniel. Pensò a Eve, sua sorella, a quel campione di equilibrio mentale che era suo padre Alec Smith – il patrigno di Daniel stesso –, e provò pena per quell'altra bambina destinata invece a essere cresciuta da Hunter.

Almeno lui quel rischio se l'era evitato e ne era segretamente un po' grato.

La porta si aprì e ne uscì una coppia. Il dottore chiamò Ashley, era il suo turno. Guardò la sala d'aspetto confuso: "Chi l'accompagna? Lei?"

Il suo sguardo era andato al ragazzo che le teneva la mano, Terence. Questi lasciò la donna dopo averla aiutata ad alzarsi e scosse la testa, al che il medico guardò Nicolas, che forse in quel panorama aveva l'aria più affidabile.

"No, dunque" spiegò Ashley ad alta voce. "Lui sono rispettivamente il mio ragazzo e il compagno di vita del padre, mentre quell'altro giovanotto nell'angolo è il fratello del nascituro. Il padre biologico è questo signore qua." Toccò un braccio a Hunter e trattenne a stento le risate.

Quest'ultimo seguì tronfio Ashley sotto lo sguardo attonito dell'ostetrico, il quale richiuse lentamente la porta alle loro spalle. Terence si buttò a sedere con un sospiro. "Come dicevo, si diverte un mondo. A volte sono convinto che abbia scelto di avere un bambino con Williams proprio per provocare reazioni di questo tipo."

"È pazza" riconobbe Daniel con una punta di affetto.

"Già. Ma è la mia pazza" rispose con dolcezza Terence. Quasi parlando tra sé, disse: "Scott, come sempre, aveva ragione. Pensare troppo fa male, e non aiuta. Quel che conta è che voglio stare con lei."

A sentir nominare Scott, Daniel si adombrò. Odiava il fatto che le persone attorno a lui avessero così pochi gradi di separazione dal ragazzo, nonostante non c'entrasse niente. Era come il fulcro assente di ogni realtà che gli si muoveva attorno. Terence, Hunter... Anche Nicolas.

E lui stesso.

Fu una lunga attesa. Udirono solo un gridolino di gioia, dall'interno, ma dovettero aspettare ancora diversi minuti perché Ashley emergesse dalla porta con occhi brillanti. Raggiante, comunicò: "È un maschio!"

L'ora successiva li vide impegnati in un brindisi nel bar più vicino. Terence non smetteva di abbracciare la sua ragazza, era felice come se si trattasse di suo figlio. Se il loro rapporto fosse andato avanti con quell'affiatamento, pensò Daniel, Terence avrebbe fatto parte della vita di suo fratello. Era contento, alla fine, perché quel bambino, prossimo a nascere in quella famiglia bislacca, prometteva però di essere circondato di persone e di affetto.

L'avrebbe lasciato in buone mani.

"Allora... Visto che tocca a te decidere, come lo chiamerai?" chiese Daniel ad Ashley.

Lei strinse le labbra sorridenti e guardò prima Nicolas, poi Terence e infine Hunter. "Si chiamerà Nicolas."

Tutti restarono a bocca aperta. Hunter si portò una mano sulla bocca e i suoi occhi si inumidirono, mentre lo scozzese perdeva il sorriso e si sporgeva verso di lei: "Cosa? Non... Non sarebbe meglio Hunter Junior?"

"Figurati se gli auguro di somigliargli!" rispose la ragazza, vezzeggiata e coccolata da quella schiera di uomini. Prese la mano di Nicolas e gli sorrise. "È sempre stato Nicolas, nella mia testa. Tu e Hunter gli siete ugualmente padri, proprio come siete stati un punto di riferimento per me."

Anche Daniel si ritrovò a sorridere e si allontanò nella commozione generale con la scusa di una sigaretta. Si appoggiò al muro e si scoprì felice per quella nascita. Gli sembrava come di lasciare qualcuno al suo posto, che non rimanesse un vuoto.

Scott avrebbe detto che erano le sue solite manie egocentriche.

Gli sarebbe piaciuto mandargli un messaggio per annunciargli il lieto evento; era quasi sicuro, purtroppo, che a lui nulla di tutto questo avrebbe arrecato particolare piacere.

O forse sì. Scott era sempre migliore di quanto Daniel pretendesse da chiunque.

"C'è qualcosa che non va?" emerse una voce dalla porta, che fece riscuotere Daniel dai suoi pensieri.

Era Hunter. Daniel, sorpreso, lo salutò. "Sei triste che non avrai la tua Ophelia?"

L'uomo si appoggiò sullo stesso muro di mattoni del figlio, mani in tasca. "Chi ti dice che non la avrò? Dammi tempo."

"Non credo che Ashley si presterà di nuovo."

"Ho tante frecce al mio arco..."

"Ti prego" disse solo Daniel. Hunter non aveva bisogno di ricordargli quanto successo avesse ancora con le ragazze con metà dei suoi anni. Preferiva non farne oggetto di conversazione tra loro.

"In realtà, non sono deluso. Nicolas Junior sarà, comunque, il primo figlio che potrò crescere" ammise Hunter pacato, guardando altrove. "Mi sarebbe piaciuto avere questa possibilità con te, ma non mi è stato concesso."

"Eri troppo giovane... Saresti stato una pessima figura paterna" ricordò Daniel. Quel mantra, ripetuto, era perfettamente razionale. Non abbastanza da cancellare la tristezza, ma quel tanto da accettarla.

"Forse lo sarò ancora adesso. Ma farò del mio meglio."

"Per fortuna hai Nicolas Senior."

Hunter stette un attimo in silenzio. Dal nulla, infine, tirò fuori: "Il giorno in cui ho sorpreso Scott e Nicolas assieme e tu ci hai separati..."

"Il giorno in cui hai voluto entrare dalla piscina perché sapevi benissimo quel che avremmo trovato, intendi? Sì, lo ricordo" lo interruppe caustico, e teso, Daniel.

Incurante della sua interferenza, Hunter continuò, parlando alla strada di fronte a sé: "Quando sei intervenuto, senza pensarci, mi hai chiamato papà."

"Oh, signore..." borbottò Daniel con gli occhi al cielo, a disagio.

Hunter continuò: "Per me è stata una gran bella sensazione, e allo stesso tempo... aliena. Mi rendo conto che io e te siamo incastrati in una sorta di limbo... Non possiamo essere due normali amici, e non possiamo essere del tutto padre e figlio."

Vergognandosi per quella defaillance, Daniel propose: "Possiamo collocarci lì, nel mezzo delle due cose. Io credo che vada bene."

"Già..." assentì Hunter. In seguito, si fece triste. Incrociò le braccia sul petto: "Mi mancherai, quando sarai a Londra. A metà tra padre e amico, questa è un'affermazione accettabile?"

"Direi di sì" sorrise Daniel. "Sia un padre sia un amico potrebbero dirlo tranquillamente."

"Vorrei che fossi qui per la nascita di tuo fratello, ma immagino non ci sia modo di convincerti a posticipare."

"Devo per forza partire tra tre settimane, ma... Vi verrò a trovare" assicurò Daniel, che in realtà non aveva idea di quando sarebbe tornato. Se ne avrebbe avuto voglia, considerato tutti gli spettri che sotterrava andandosene. "Oppure... Può capitare che tu e Nicolas dobbiate fare un salto in Gran Bretagna."

"Può darsi" rispose Hunter. Si voltò e mise una mano sulla spalla del figlio. Col volto girato dall'altra parte, disse: "Sono molto orgoglioso di... aver messo al mondo un ragazzo in gamba come te. Se Nicolas Junior ti assomiglierà anche un poco, mi riterrò il più fortunato degli uomini."

Lo lasciò, e Daniel in quel momento avrebbe tanto voluto potergli dire che anche lui avrebbe sentito la sua mancanza; ma non voleva mentirgli.

Non avrebbe mai potuto respirare se non lontano dall'ombra lunga del suo padre biologico. L'unico modo per rendergli un buon servizio, per dimostrare quell'affetto che comunque sentiva di nutrire per lui, era andarsene. Lasciarlo libero di godersi la sua nuova paternità, senza avere più i vincoli dell'esclusiva. Presto Daniel sarebbe diventato un legame sbiadito, per lui, in confronto al bambino che stava per venire al mondo.

Ed era giusto così, Daniel voleva questo. Lui aveva avuto un padre, nonostante tutto: Alec Smith. Doveva dare anche a Hunter la possibilità di esserlo appieno, senza drammi o ulteriori complicazioni.

Senza la tentazione costante di dichiarargli una guerra che non poteva vincere.


Non si aspettava di ricevere un'altra visita dall'avvocato di suo padre, dopo quasi sette mesi. Scott aveva fatto accomodare Carter Edwards sul suo divano sfondato e ora osservava lo strano contrasto tra l'ambiente e quell'uomo dall'aria impeccabile e seria. Fin dalla prima volta, Scott lo aveva trovato estremamente affascinante: alto, ben piazzato, i modi autorevoli e decisi, i movimenti precisi, gli abiti su misura, quella pelle nera perfetta e gli occhi capaci di inchiodare. Il tutto attenuato da una sorta di dolcezza di fondo, come di chi, nella sua professionalità, non vuole mai essere ingiusto o disumano. Oggi, in particolare, sembrava come perso nel suo mondo, meno presente a se stesso.

"Come mai questa visita, avvocato?" chiese Scott, guardingo, sorseggiando il tè che l'ospite non aveva voluto. Gli era seduto davanti, sul bracciolo della poltrona, mentre Edwards tirava fuori le sue preziose carte. Scott aggiunse: "Mio padre ha deciso che vuole punirmi in qualche altro modo? Non ricevo più un centesimo, dai Wilson. Da mesi."

"In realtà, desidera rinegoziare la questione" disse l'avvocato e sollevò la testa verso di lui, con un'espressione incoraggiante. "Vuole che lei abbia di nuovo accesso ai fondi lasciati in eredità dai suoi nonni. L'esatta cifra, non un penny di meno."

Quasi la tazza cadde di mano a Scott. Strabuzzò gli occhi. "Che cosa?"

"Sono felice di portare una buona notizia, ogni tanto" replicò Edwards. "In realtà, se avesse impugnato la cosa, le avrebbero sicuramente dato ragione, ma sarebbe stato un iter lungo e impegnativo che non mi sembra lei fosse particolarmente intenzionato ad attraversare. Dunque è un bene che suo padre ci abbia semplicemente ripensato."

"Mi state prendendo per il culo?" tuonò Scott adirato. "Non ha motivo per cambiare idea! Questa è solo un'altra delle sue trovate. Cosa vuole in cambio?"

"Nulla" rispose l'avvocato sorpreso da quella reazione. "Davvero, vuole solo riaprire il suo conto... Sono qui unicamente per qualche firma, per ottenere la nuova carta di credito e..."

"No" lo interruppe Scott. Posò la tazza, imbronciato, sul tavolino sghembo che li divideva e incrociò le braccia. "Quei soldi può tenerseli e anche infilarseli su per il culo. Magari gli farebbe anche bene."

"Signor Wilson, la prego di darsi più tempo, rifletterci a freddo..."

"Lo sa che mio fratello, il mio unico fratello, si è sposato e non mi hanno neppure invitato al matrimonio? E non si tratta che di due mesi fa, nemmeno" disse Scott veemente. "E lei crede che una famiglia così possa cambiare?"

"Se può aiutarla... Suo padre, George Wilson, mi ha detto che è stato proprio il legame con la famiglia Arrow a fargli mutare prospettiva" spiegò Edwards, lasciando le pratiche e parlando a cuore aperto, le mani intrecciate sul ginocchio. "Il suo consuocero, Daniel Arrow, lo ha persuaso più volte ad allentare il divario creato con lei. Vede, pare che il Signor Arrow abbia un nipote in una situazione molto... simile alla sua, e che siano riusciti recentemente a migliorare i loro rapporti... Forse, vedendo questo esempio, suo padre se ne è sentito toccato. Il Signor Arrow è un uomo che lui stima molto."

"Non posso crederci" mormorò Scott e si alzò, dando le spalle all'avvocato. Pensò in fretta. Un nipote con una situazione molto simile alla sua... Si riferiva senz'altro a Daniel Smith. Sorrise, scioccato. "Così, la vita di quello scemo influenza anche la mia... Roba da matti."

Non riusciva nemmeno a essere arrabbiato, adesso. Fece una piroetta verso Edwards e disse: "Mi scusi, non volevo essere scortese con lei. È sempre molto gentile." Tornò a sedere, stavolta più vicino. "Va bene. Firmerò quello che c'è da firmare. Dopotutto, quei soldi mi spettano. Riguardo al ripristinare i rapporti con loro... Non credo che avranno fortuna."

"Questo riguarda solo voi" affermò Carter, sollevato, e gli passò i documenti. Mentre gli indicava dove firmare, guardò quel ragazzo così giovane, osservò l'ambiente dove viveva. Pensò, con una certa tesa malinconia, che proprio da lì era cominciato tutto. Uscendo da quella porta, la sua vita era cambiata.

Quando ebbero finito, Scott vide che l'avvocato tergiversava, così provò a offrirgli di nuovo qualcosa. "Brindiamo? Ho della birra in frigo."

"No, io..." Carter fece per stringere la cravatta, ma esitò; inserì un dito e invece la sciolse un poco. "Ok. Una birra."

Era nervoso. Moriva dalla voglia di parlare con Scott Wilson, e non del suo conto corrente. Si alzò, mentre, sorpreso della risposta affermativa, Scott correva a prendere due bottiglie dal frigo.

"Lei... Che mi racconta? Che ha combinato, in questi mesi?" domandò il ragazzo dalla cucina, tanto per rompere il silenzio. In realtà, era genuinamente interessato.

"Questi mesi" sospirò Carter affranto. Guardò la schiena di Scott e, prendendola alla larga, domandò: "Lei ha cominciato a uscire con gli uomini quando era molto giovane, non è vero?"

Con una punta di soddisfazione, Scott tornò in salotto con i colli delle due bottiglie tra le dita. "Mio padre le ha raccontato le mie prodezze adolescenziali, vero? Le ha detto della volta in cui ho rubato una delle sue barche portandomi dietro due membri del suo equipaggio, e me la sono spassata in mare aperto per cinque giorni?"

"Mi ha detto che aveva solo sedici anni, quando è successo, e che per i primi due giorni non hanno avuto notizie di dove si fosse cacciato" corresse Carter. Pensò a Kelly, allo spavento che si era preso di recente. "Lo sa che i genitori perdono anni di vita, per queste cose?"

Scott fece un verso ilare. Porse una bottiglia a Carter, che la prese, e fece cin prima di bere. "Loro non sono quel tipo di genitori. L'unica cosa che ha dato fastidio a mio padre è che abbia usato una delle sue barche per i miei porci comodi e che abbia creato scandalo. Poi ammettiamolo: se avessi fatto questa bravata portandomi due ragazze mi avrebbe offerto un sigaro e dato una pacca sulla spalla. Invece... Quello che ho avuto non è stata nemmeno una ramanzina. Mi ha detto soltanto che ero uno schifoso."

"Lei... Lo sfidava apposta?" chiese Carter con cautela.

"Più voleva che mi nascondessi, più desideravo non farlo" rispose Scott e, per qualche motivo, pensò a Daniel, alla sua reazione così simile, alle loro esistenze parallele, che continuavano a collidere anche oggi.

"Ha sempre saputo di essere... ecco... gay?" domandò Carter.

"Sempre" replicò Scott. Sorrise: "Come mai questa curiosità?"

Un po' sperava che fosse un modo arzigogolato per provarci con lui – nascondeva una mezza cotta per quell'avvocato dalla prima volta in cui si era presentato a casa sua – ma aveva più o meno capito che non c'era campo libero, per un motivo o per l'altro.

L'uomo guardò in basso, triste. Non sapeva come spiegarlo. "Non... Mi sono mai interessati gli uomini. Però... Ce n'è uno, che è entrato di prepotenza nella mia vita nell'ultimo anno, e non sono capace di togliermelo dalla testa. Mi ha stregato, nel passato avrebbero detto... Che mi aveva traviato. A quei tempi mi sarei arrabbiato con lui, ma oggi so che questo tipo di cose sono puttanate. Non esiste il contagio. Sono io. E lui. E non possiamo stare insieme, non avrebbe senso presa da nessun punto di vista, però... Non ho mai provato qualcosa di simile per nessuno."

Pensò al giorno in cui Jason gli aveva stampato un bacio sorridente sulla guancia, in casa sua, dopo averlo abbracciato. Il loro primo contatto, fuori da quell'appartamento. Gli incontri casuali allo Starbuck's, la loro bizzarra avventura sui pattini a rotelle, entrambe le volte sugli scogli, e... Jason sul palco. Immerso fino al collo nella sua passione. Quegli occhi azzurri, dentro cui a Carter sembrava di cadere, di galleggiare.

Dio, quanto amo quell'azzurro...

"Lei ha sempre saputo di essere attratto dagli uomini, fin da giovanissimo" concluse Carter, mentre Scott lo ascoltava con attenzione. "Anche questo ragazzo è così, mentre io non lo sono mai stato. Credevo di essere attratto dalle donne, anche se non mi è mai importato così tanto. Non mi è mai importato molto del sesso in generale. Adesso... Non so cosa fare. È tutto così diverso, con lui, e mi spaventa. Dovrei tagliare, per il suo bene, ma mi manca l'aria al solo pensiero."

Scott dovette dominare lo stupore e una punta di frustrazione: allora esisteva davvero un uomo che meritasse di essere desiderato da quell'avvocato sexy, ma non sarebbe stato lui.

"Beh..." sospirò. "Non siamo tutti uguali. Crediamo che la sessualità funzioni secondo schemi fissi per tutti, ma non è così... Non è affatto così. Conosco... Una persona completamente asessuale. Non ha desiderio fisico verso le altre persone, eppure è uno degli individui più passionali che conosco. Pensi che, nonostante non sia attratto a livello sessuale né dagli uomini né dalle donne, è comunque ben ravvisabile in lui una preferenza verso gli uomini."

"Come è possibile?" chiese Carter confuso.

"Si chiama omoromanticismo. Lui è perfettamente in grado di innamorarsi e la sua attrazione romantica è rivolta più spontaneamente agli uomini. Ci sono persone che non provano attrazione sessuale, altri che invece non sono in grado di innamorarsi." Il suo sorriso assunse una piega amara. "Altri provano attrazione sessuale solo in determinate circostanze, quando si crea confidenza, quando ci si innamora... C'è una parola, che riguarda i casi in cui si prova attrazione sessuale solo in presenza di uno solido legame emotivo: demisessualità. Magari lei è qualcosa di simile."

Carter aveva imparato a conoscere se stesso, ma non si era mai dato nomi o etichette. Credeva, semplicemente, di non essere portato per certi aspetti della vita, che gli mancasse qualcosa. Solo l'ingresso di Jason nell'equazione aveva scombinato tutto.

Pensare, ora, che esistesse addirittura una casistica, condivisa e codificata...

"Non so se sono attratto sessualmente da lui" disse però. "Non lo capisco. Ho troppa paura, sinceramente."

"Dovrebbe cercare di scoprirlo, altrimenti vivrà col rimpianto tutta la vita" rispose Scott. "Io non ho mai voluto vivere con dei rimpianti."

Carter piegò le labbra in un sorriso: "Si vede."

Si salutarono quasi da amici. Carter non era ancora convinto, non aveva cambiato idea, ma quella conversazione aveva un poco rischiarato le nubi della sua mente. Lasciando, al loro posto, scorci di cielo limpido, azzurro.

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