Inchiostro invisibile su pagi...

By _ignisfatuus

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(COMPLETA) Louis indossa felpe dalle fantasie strane, fin troppo, e non si guarda mai intorno quando è tra la... More

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VI

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By _ignisfatuus

Louis detestava quell'odore.
Lo odiava più di qualsiasi altra cosa al mondo, eppure, aveva imparato a conviverci. In un silente accordo con e contro se stesso. Lo detestava ma aveva accettato che gli si tatuasse addosso, sulle pareti dei polmoni, indelebile e indolore: inchiostro invisibile ma onnipresente.
Louis lo percepiva sempre perché quell'odore non solo era intorno a lui, nell'aria, ma anche nelle lenzuola in cui gemeva, si tendeva come un arco voluttuoso, urlava e si svuotava; era nelle lenzuola che lo nascondevano tutte le volte, come fosse un segreto senza però mai proteggerlo davvero, quei cenci bianchi e bollenti che stringeva tra le dita, che afferrava per aggrapparsi e per non scivolare a fondo.
Non era solo nell'aria che respirava quando infilava quel casco nero, che gli veniva allungato da mani che avevano imparato a conoscere ogni tormento della sua carne, prima di salire in moto.
Quell'odore oramai era dentro di lui, era parte della sua anima. Aveva accettato tutto ciò quella ormai lontana notte, di ritorno dall'Heroes, quando stanco di combattere contro se stesso aveva ceduto, tra le lenzuola pregne di quello stesso odore che non era né il suo, né quello di Harry. Lo respirava e, tutte le volte, con estrema forza d'animo, lo ricacciava nella parte più recondita della sua mente perché Louis era bravo a fingere che non ci fosse nulla che non andava, specialmente se quel muscolo bastardo, involontario, al centro del suo petto era partito in quarta lasciandolo indietro.
Rallentare faceva male, correre a perdifiato per raggiungerlo lo svuotava di tutte le energie e, a dirla tutta, lo terrorizzava. Doveva andare piano, o meglio, procedere come aveva imparato a fare dopo essere andato via di casa, col cinismo a pesare come piombo sotto alla suola delle scarpe e smettere di cercare risposte alle sue inesauribili domande.

Erano trascorsi in questo modo molti giorni, da quella notte di fine novembre, che li aveva visti stretti a letto per suggellare qualcosa di nuovo a cui nessuno dei due aveva mai sentito il bisogno di dare un nome.
Per paura, indifferenza, questo Louis non lo sapeva ma era certo di una cosa: lui, rispetto a Harry, aveva abbandonato i freni già da un bel pezzo. Quella di andarci piano e con i piedi di piombo dopo due intensi mesi insieme si era rivelata solo l'ennesima bugia che si raccontava per darsi l'illusione di non essere, di nuovo, precipitato.
Ma come poteva trattenersi dal lasciarsi andare se cadere, in quel letto, sotto, sopra al suo corpo, tra le sue braccia, nella sua mente era quanto più di sublime avesse provato nella sua vita e sulla pelle?

«È solo sesso, Louis?» gli domandò Liam, un giorno, mettendo da parte gli articoli da scontare per i saldi imminenti. Louis aveva fatto spallucce, più a se stesso che al suo collega, rivolgendosi uno sguardo stanco nello specchio del suo reparto.
È solo sesso? domandò al suo volto e la risposta la lesse nel fondo delle sue pupille strette.
«Ci stiamo frequentando, usciamo quando possiamo, ci sentiamo tutti i giorni e tutte quelle cazzate lì». Lo aveva detto con un sorriso, un semplice piegamento di labbra che non era riuscito a disegnare rughe agli angoli dei suoi occhi, un gesto che aveva mirato a sminuire, agli occhi dell'amico, quello che avevano costruito lui e Harry in quel periodo di tempo che avevano condiviso.
Il Natale era ormai passato così anche il suo compleanno che aveva festeggiato con i soliti amici, lontano dalla sua famiglia e da Harry. Il ragazzo non aveva potuto esserci per nessuna delle due occasioni perché era rimasto fuori città, da qualche parte per tutto il periodo festivo. Louis non gli aveva fatto domande - aveva scoperto che Harry, proprio come il piccolo principe, amava farle le domande ma non riceverle - e aveva indossato la sua migliore maschera di indifferenza fingendo che tutto procedesse per il meglio. Perché il loro non era un rapporto convenzionale, non c'erano vincoli, non c'era il diritto da entrambe le parti di pretendere spiegazioni o mettere paletti nella vita dell'altro. Eppure sentiva di appartenere all'altro almeno quanto quest'ultimo apparteneva a lui.

«Credo di amare il modo in cui ridi, sono serio, devi credermi». Harry glielo aveva detto un pomeriggio qualsiasi, mentre erano al parco e lui stava riprendendo fiato dopo aver scorrazzato sul suo skateboard per quasi un'ora di fila. Il ragazzo aveva condiviso con lui una delle sue stupidissime freddure e Louis non era proprio riuscito a non ridere di pancia, battendosi un pugno sulla coscia mentre l'altro lo fissava serio come se cercasse di godersi appieno la sua risata. Harry era una persona dalle confessioni inaspettate, una di quelle che non premeditavano mai nulla, che se pensavano ardentemente di voler fare sapere qualcosa a qualcuno, lo facevano e basta a rischio di fargli mancare irreparabilmente il fiato, magari fino alla morte.
Era di una spontaneità davvero disarmante.

Louis, tra le tante cose, aveva anche scoperto che due delle sue più grandi passioni erano la fotografia e la scrittura. Aveva persino trovato, nel comodino accanto al letto di Harry, una trentina di polaroid che lo immortalavano mentre dormiva, alcune con il suo volto assonnato, il suo corpo nudo tra le lenzuola sfatte, la sua schiena ricurva in avanti quando, dopo essersi svegliato a casa del ragazzo, si rivestiva di fretta e furia per andare al lavoro. Una volta, dopo essersi vestito, lo aveva scoperto mentre gli scattava una foto e glielo aveva detto: «Mi inquieta questa storia delle polaroid, sembri un maniaco stalker».
Harry aveva riso di cuore, così tanto che agli angoli degli occhi gli erano persino apparse delle piccole stille luccicanti e, senza smentire o dargli spiegazioni, lo aveva spinto di nuovo sul letto, incastrandolo per bene sotto di lui. Lo aveva fatto venire per la seconda volta in quella pallida mattina, solo con le labbra, facendolo arrivare al negozio con mezz'ora di ritardo sebbene tutte le volte - per convincerlo a restare un altro po' con lui - usasse la scusa: «Ti accompagno in moto, così non devi aspettare il treno».

E poi c'era la scrittura.
Harry scriveva e non lo faceva solo per diletto, non era solo un passatempo di cui non riusciva a fare a meno; Harry scriveva per realizzare il suo più grande sogno nel cassetto: riuscire a pubblicare il suo romanzo. E quel quaderno, galeotto, era un diario di bordo, il luogo fisico dove appuntava le improvvise ispirazioni, oltre alle citazioni delle sue letture preferite. In quelle pagine scriveva interi dialoghi o semplici scene che avrebbe poi inserito nel suo romanzo. Louis moriva dalla voglia di scoprire che cosa stesse scrivendo con tanto fervore, si sentiva addirittura geloso dell'universo che ogni volta lo accoglieva e lo teneva tutto per sé, allontanandolo da lui e dal mondo, dalla realtà.
Una notte, dopo aver fatto l'amore, le gambe ancora tremolanti per le emozioni che tutte le volte Harry era capace di fargli provare, Louis lo trovò con addosso solo i boxer seduto sul bordo del letto, con il portatile sulle ginocchia. La luce del monitor creava ombre sul soffitto e il ticchettio continuo delle dita a battere sui tasti avevano destato il suo sonno leggero. Si era scostato le lenzuola di dosso, con un lieve fruscio, e gattonando piano piano sul materasso morbido gli si era poggiato con il mento sopra ad una spalla, i capelli spettinati e gli occhi assonnati che cercavano di mettere a fuoco nel bagliore indefinito di quel monitor, senza riuscirci davvero. Harry parve accorgersi immediatamente della sua presenza e, dopo aver chiuso con uno scatto secco il laptop, con la chiara intenzione di non lasciarlo sbirciare tra le sue parole, gli si era tuffato addosso desideroso di lui come se non si toccassero da secoli, come se ormai conoscesse la sua debolezza e il modo perfetto di distrarlo dal suo intento.
Tra un bacio e una carezza Louis aveva imparato anche questo, col tempo, a non intromettersi nelle sue cose se non fosse stato lui in primis a volerlo. Perché Harry per lui continuava ad essere un mistero, uno strambo rebus dalle parole indecifrabili, gli atteggiamenti impossibili da tradurre e gli sguardi spesso imperscrutabili.


~


La domanda che si poneva ogni giorno era sempre la stessa da ormai ventidue anni. Apriva gli occhi e gli bastava mettere piede fuori casa, vedere qualcosa in particolare e pensare perché esistono certe persone?

A volte lo domandava al vuoto, magari mentre camminava per arrivare al lavoro, sempre di corsa. Notava un particolare tipo di persona, uno di quelli lontani anni luce dal suo modo di concepire il mondo e le cose e semplicemente se lo chiedeva. Un quesito dall'apparenza complicata al quale non riusciva mai a trovare risposta; e forse neppure c'era o, poiché ogni domanda ha la sua risposta, magari era così semplice che il suo inconscio la dava per scontata: certi soggetti esistevano per mettere a dura prova la sua pazienza, ecco qual'era la soluzione al suo enigma.

«Perché esiste certa gente?»
Lo mormorò a denti stretti, sembrava un lupo pronto a scagliarsi contro al primo bersaglio vivente, mentre provava invano ad afferrare uno scatolone da un ripiano alto, nel deposito, perché l'ennesimo cliente rompiscatole non era soddisfatto degli articoli esposti in vetrina. Stan, il terzo commesso nonché tuttofare, aveva avuto la brillante idea di ammalarsi proprio quel giorno, rendendo la vita dei suoi due colleghi un vero inferno.
Nell'esatto istante in cui urlò dalla frustrazione - chi aveva ficcato quella roba così in alto? - perché gli sembrava impossibile riuscire nell'impresa, Liam stava combattendo un'ardua lotta con gli occhi fissi su dei lacci che non era in grado di sistemare su quel dannato paia di Vans. Anche lui non sembrava passarsela bene e la Foot Locker quella mattina era più affollata che mai.
«Non è possibile» grugnì quest'ultimo, strattonando malamente la caviglia del ragazzino che stava provando proprio quelle scarpe. Il giovane cliente, che non poteva avere più di dieci anni, si lamentò provando a rifilargli addirittura un calcio.
«Louis!» chiamò di nuovo a gran voce, «Lou per favore potresti venire a dargli un'occhiata tu, visto che ci sai fare?»
Effettivamente Liam doveva badare solo alle attrezzature sportive, soddisfare i clienti appassionati di fitness, e se si era ritrovato a sbrogliare dei lacci era tutta colpa della clientela che sembrava incontentabile, impossibile da gestire e dell'assenza di Stan a gravare sulle loro spalle. Louis proprio in quel momento riuscì a tirare giù quella maledetta scatola che, come aveva predetto, caracollò in terra e per poco non gli schiacciò i piedi.
Esultò con un'imprecazione davvero poco professionale per poi correre subito in soccorso all'amico, chiedendogli di badare al surfista incallito che voleva provare delle t-shirt.
Quando giunse al cospetto del ragazzino sentì che avrebbe dovuto fare appello a tutta la calma del mondo se ci teneva a non essere licenziato.
Dopo una lunghissima serie di domande (Sei uno skater? Quando hai imparato? Le Vans sono adatte se volessi andare in skate? Dove posso trovare uno skateboard fico? Posso vedere il tuo?) Louis respirò lentamente, ad occhi chiusi, e con un movimento letargico alzò gli occhi sul suo curioso cliente.
«Perché esistono certe persone?» gli domandò con un sorriso che rasentava la psicopatia, rivolgendogli un'occhiata dal basso all'alto da dove se ne stava piegato sulle ginocchia. Quello non sembrò neppure ascoltarlo ma balzò in piedi non appena Louis riuscì a sistemare nel modo giusto i lacci, ad annodarglieli e a nasconderli strategicamente nei lati della caviglia così da evitare un antiestetico fiocco improponibile.
«Wow! Insegni ad allacciarle così anche a me?» chiese il moccioso con uno sguardo carico di adorazione. Louis si limitò a lasciargli due buffetti sul capo e «Ci vuole tanto esercizio e pazienza ma sono sicuro che un giorno ce la farai da solo». Con queste parole e un ghigno sul volto, sparì a prendere una boccata d'aria prima di commettere un omicidio.
Era piuttosto sicuro che il ragazzino che si era lasciato alle spalle fosse sul punto di esplodere in un pianto isterico.

Solo qualche ora più tardi, prossimi all'orario di chiusura, Louis e Liam poterono finalmente tirare un sospiro di sollievo. Il flusso di avventori era nettamente diminuito e l'unica cosa che avevano da fare era rispondere di tanto in tanto a qualche cliente entrato solo per dare un'occhiata in giro.

«Potrei provare quella felpa?»
Louis era accanto ad un tavolo sul quale erano disposte delle felpe della Nike ben piegate, le stava riordinando in base alle taglie quando la voce di Harry lo fece sussultare.
«Non volevo spaventarti» si affrettò ad aggiungere questo, vedendo Louis sobbalzare sul posto. Harry era ritto dietro di lui, le mani dietro alla schiena e il busto leggermente flesso in avanti; quando si voltò per rispondergli trovò il suo volto a due spanne di distanza dal suo. La prima reazione istintiva fu quella di leccarsi le labbra e maledirsi internamente per il suo irrefrenabile bisogno di baciarlo, subito, senza dar conto al fatto che stesse lavorando. La seconda reazione fu assecondare la ridda di brividi che corsero immediatamente lungo tutto il suo corpo, spronati dal suono graffiante della voce del ragazzo. Trasalì visibilmente.
«Non dovresti essere a lezione?» gli domandò, costringendo se stesso a darsi un minimo di contegno.
Era la prima volta che Harry passava dove lavorava e ritrovarselo al negozio, senza preavviso alcuno, lo lasciò davvero sorpreso. Stentava ancora a crederci.
«Ho uno spacco fino alle quattro, manca un docente e non mi andava proprio di restare in facoltà». Harry si morse in un movimento flemmatico il labbro, fissando la sua bocca appena schiusa dallo stupore, e con un passo azzerò ogni distanza, completamente sprezzante del fatto che Louis stesse lì dentro per lavorare. Quest'ultimo trattenne il fiato, le mani strette in una presa ferrea al bordo del tavolo dietro di lui.
«Starei lavorando» disse, come se non fosse abbastanza ovvio.
«E tu mi stai intralciando».
Il problema, però, fu il tono di voce per niente convinto che fece allargare un sorriso sornione sulle labbra di Harry. Quest'ultimo a quelle parole indietreggiò di un solo passo, giusto per lasciargli lo spazio di muoversi e poi rise piano, nel modo più sobillatore possibile, piegando addirittura il capo di lato.
«Sei tu che hai iniziato a fare conversazione, io ti avevo solo chiesto se potevo provare una felpa».
Farabutto, pensò Louis annuendo con un'espressione che sembrava voler dire "te la farò pagare". Harry era una continua sorpresa per lui, ogni qualvolta esibiva sfaccettature della sua personalità che ancora non aveva fatto venire a galla, si ritrovava senza fiato per la bellezza della scoperta. A volte gli capitava di pensare se fosse mai riuscito, un giorno, a fare a meno di lui nella sua vita e il fatto che non riuscisse - perché forse non voleva - a trovare una risposta, lo lasciava tutte le volte a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua.
«Da quando ti conosco non ti ho mai visto con una felpa» constatò, un sopracciglio inarcato. «Vuoi farmi davvero credere che sei qui per un articolo del genere?»
Louis lo domandò con una tale sfrontatezza che l'altro restò inizialmente senza parole, con solo un sorriso a colorargli le labbra; poi le sue iridi si illuminarono di sfida: senza degnarlo di una risposta afferrò la felpa che aveva puntato dall'inizio per poi avvicinarsi a Liam per chiedergli dove fossero i camerini. Louis seguì ogni suo spostamento in silenzio, lo sguardo si posò immediatamente sulle sue cosce lunghe e tornite che subito accesero in lui il forte desiderio di toccarle, il suo fondoschiena a ondeggiare piano in quei dannati jeans chiari, troppo chiari e strappati sulle ginocchia, che aveva addosso. Percepì una fiamma incendiarlo da dentro non appena i suoi piedi si mossero in avanti, intenzionati a condurlo dritto all'inferno.

Entrò nel camerino nell'attimo in cui Harry stava per infilarsi la felpa.
Il ragazzo appena lo adocchiò nel riflesso dello specchio sorrise ammaliante e soddisfatto, come se non stesse aspettando altro.
«Sono venuto a vedere se ti serviva una mano» mormorò con solo un filo di voce che si incrinò sull'ultima parola, quando gli occhi cerulei carezzarono ogni centimetro di pelle nuda, indugiando sui tatuaggi che oramai aveva osservato con così tanta minuzia da poterli ridisegnare ad occhi chiusi.
Non ebbe neppure il tempo di richiudere la bocca che le labbra furono violate dalla lingua pretenziosa di Harry, al contempo una sua mano si ritrovò trascinata con forza sul principio di erezione dentro ai jeans dell'altro che gli teneva la mano bloccandola per un polso. Louis stava per andare contro ogni regola del suo lavoro ma, onestamente, in balia di tutte quelle emozioni non riusciva proprio a farsene una colpa. Si baciarono come se non lo avessero fatto da secoli, come se non fossero passati solo due giorni da quando erano stati assieme e da quello scambio di ossigeno ne dipendessero le loro stesse vite, e forse, per Louis, era davvero così.
«Eri venuto per prendere una felpa» lo canzonò, gemendo ogni parola nella sua bocca aperta in maniera oscena e già rossa. La mano libera di Louis andò a stringere e strattonare i capelli alla base del collo, per poi strappare via l'elastico che li teneva raccolti in un piccolo groviglio; le ciocche ribelli che non si sarebbe mai stufato di accarezzare e stringere tra le dita si liberarono dandogli un aspetto selvaggio che eccitò follemente Louis.
Harry ghignò contro alle sue labbra mentre lui continuava con una mano a frizionargli attraverso il tessuto dei pantaloni l'eccitazione crescente.
«La verità è che mi mancavi come la luce ad un cieco costretto per anni ad un buio forzato» ammise il ragazzo che con una mano enorme premuta sul suo petto lo spinse con prepotenza contro all'altra parete della cabina. Louis fu sopraffatto dal tonfo della sua schiena che andava a sbattere contro il legno, facendogli riverberare le ossa nella carne. Il respiro gli si spezzò nella gola.
«Smettila con queste frasi da romanzetti e risparmia il fiato per quello che sto per farti» gli intimò, e questa volta il suo tono sembrava davvero minaccioso. Harry lo scrutò cancellando dal volto ogni traccia di divertimento, iniziando a pregustare ciò che di lì a poco avrebbe vissuto. Non avrebbero potuto restare troppo tempo in quello spazio ma spronato dall'eccitazione ormai inarrestabile e dal fatto che fossero quasi in chiusura, e senza il capo a supervisionare il loro lavoro, Louis decise di spegnere il cervello e di agire.

«Guardati» gli disse con tono di sfida, «sembri una tigre in trappola». Il gemito che sfuggì alla gola di Harry, a quella dichiarazione di guerra, parve un vero è proprio ringhio mentre i fianchi scattavano in avanti in segno di ribellione. Il basso ventre di Louis esplose a tal punto che dovette premersi con una mano il cavallo dei propri jeans. E poi fu un susseguirsi affannato di baci frenetici, disperati, di lingua sulla carne e contro la pelle nivea del collo dove i denti morsero, sulle clavicole dove le labbra succhiarono sino a rendere più vivido quel bianco troppo bianco.
Strinse tra due dita un capezzolo già turgido e un altro ringhio sommesso riverberò nell'etere smossa solo dai loro sospiri troppo smaniosi.
«Stai zitto» gli intimò, negli occhi di Louis tuttavia vi era una preghiera. Harry annuì e socchiuse gli occhi, si morse un labbro per poi sbattere, in uno spasmo involontario, la testa contro la parete quando Louis gli morse un'anca, leccando con un guizzo veloce il tatuaggio che macchiava la pelle proprio in quel punto. Louis aveva scoperto di vivere per il senso di ebbrezza che la sensazione di onnipotenza, indotta dall'avere pieno controllo su Harry, gli faceva provare. Quando risalì il torace di Harry inseguendo la scia di saliva che nel scendere aveva tracciato, qualcuno bussò alla porticina del camerino, evidentemente un cliente. Louis si staccò dalla parete con una stoccata del bacino e in un solo movimento invertì le loro posizioni, con un dito premuto sulle labbra di Harry che stava per rispondere, gli intimò di restare zitto.
«Occupato. Ci sono altri camerini in fondo sulla destra» disse, con gli occhi fissi in quelli dell'altro.
Dall'altra parte arrivò un "grazie" ovattato e l'adrenalina esplose nel suo petto come un fuoco d'artificio nel cuore della notte, mentre gli occhi di Harry rifulgevano di aspettativa. Quella situazione era così tremendamente eccitante che Louis temeva di non potercela fare. E poi neppure il tempo di sospirare che era già in ginocchio, al suo cospetto, pronto a tirargli giù jeans e boxer in un colpo solo, lasciandolo nudo fino alle ginocchia. L'erezione del ragazzo sbatté contro alla sua bocca schiusa non appena fu liberata dall'indumento intimo, lasciando Louis senza fiato. Alzò lo sguardo per incontrare quello di Harry, il volto incorniciato da capelli ribelli, e lo trovò col capo piegato in avanti, in modo tale che riuscisse a seguire ogni suo movimento, così da tenerlo sempre sott'occhio. Se c'era una cosa che lo faceva impazzire in momenti come quello, era la sensazione di essere osservato attentamente, in netta contraddizione con il disagio che invece provava di solito nell'essere guardato con insistenza.
Lo sguardo disperato di Harry, in quei momenti, era come una scossa continua di adrenalina che alimentava insaziabile la voglia che provava costantemente di lui. Piegò il capo di lato, in avanti, intenzionato ad iniziare senza smettere fino a che non avesse portato l'altro al culmine, posò la lingua alla base del suo sesso percorrendone la lunghezza in un'unica scia languida e umida che agevolò subito la frizione contro al palmo della sua mano. La sua saliva mischiata agli umori di Harry costituivano un lubrificante naturale così eccitante che gli dava il capogiro solo a pensarci. La sfera di metallo del piercing che aveva alla lingua creò una pressione tanto particolare contro alla vena che pompava il sangue lungo ogni terminazione nervosa del sesso di Harry che questo sgranò gli occhi affondando entrambe le mani tra i capelli di Louis per non perdere del tutto il contatto con la realtà; poteva percepire dalla forza con cui tirava le ciocche dei suoi capelli quanto Harry stesse sforzandosi per non ansimare e lui sapeva quanto fosse rumoroso durante l'intimità, non si tratteneva mai dal gemere, dal chiamare il suo nome. Per questo Louis si sentì particolarmente orgoglioso di lui quando le labbra si chiusero attorno alla sua punta arrossata per succhiarla a guance incavate, per poi calare su di essa in un unico affondo che dovette destabilizzare parecchio l'altro visto il modo in cui sbatté, di nuovo, la testa sulla parete dietro senza cacciare dalla bocca neppure un ansito. Louis ghignò contro alla sua pelle tesa e accaldata mentre continuava con dedizione a calarsi e ritrarsi, ritmicamente, stringendo la base morbida in una mano per impedirle di sbattere contro l'interno coscia, provocando quel rumore osceno di sesso che sebbene eccitasse entrambi tra le lenzuola, in quella circostanza non doveva assolutamente esserci.

«Il tuo piercing è...» ansimò d'un tratto, evidentemente incapace di trattenere quel pensiero. «Il tuo piercing è assurdo». Quando il volume della musica diffusa in ogni reparto si alzò esponenzialmente, permettendo a Harry di lasciarsi andare appena, Louis ringraziò tacitamente Liam che di sicuro aveva sospettato qualcosa vedendolo sparire verso i camerini.
Era a conoscenza del fatto che l'altro impazzisse per il suo piercing, Louis ne andava particolarmente fiero e sapeva in che modo valorizzare la sua presenza durante un bacio o, come in quel caso, farglielo percepire mentre accoglieva nella bocca la sua eccitazione. Era così saturo di sesso Louis che capì di volere di più e sapeva che anche Harry desiderava lo stesso quando lo guardò con quello sguardo, quello che gli rivolgeva tutte le volte quando stretti sul divano, per delle semplici coccole, poi si ritrovavano ad ansimare l'uno sull'altro smaniosi di rendere i loro corpi un unico ammasso di pelle.
Così dopo essersi fermato per riprendere fiato, la punta del l'intimità dell'altro ragazzo a sfiorargli il labbro inferiore, alzò lo sguardo per incontrare quello di Harry e picchiettando un dito contro la propria bocca gli fece capire quale fosse la sua intenzione. Il bello era anche quello, capirsi con un solo gesto. Harry iniziò a penetrargli la bocca con piccoli ed energici affondi, senza mai arrivare fino in fondo per non fargli male, aiutato dalle mani di Louis che toccavano i punti strategici dandogli l'impressione di essere costantemente avvolto; Harry lo teneva fermo premendo le mani alla base della sua nuca e sebbene potesse sembrare brusco nei suoi atteggiamenti, lo stava trattando con tutto il riguardo del mondo. Gli ci vollero davvero poche spinte ad Harry e la consapevolezza di stargli penetrando attivamente la bocca per sentire l'orgasmo iniziare a correre dentro di lui, facendogli contorcere ogni muscolo a partire dai piedi fino alle gambe che parvero cedergli. Non disse nulla l'altro, quando capì di essere ormai giunto al limite, non allertò Louis perché sapeva che non lo avrebbe mai lasciato venire senza il calore delle sue labbra ad avvolgerlo. E fu così. Louis strinse le labbra sulla punta e chiuse gli occhi, accogliendo sulla lingua l'essenza di quel ragazzo che stava godendo splendidamente in silenzio, a bocca aperta e con gli occhi chiusi rivolti in alto, il pomo d'Adamo immobile nella sua gola. Louis attese con dedizione che l'altro si svuotasse completamente prima di tornare ad affondare un'ultima volta, per ripulirlo da qualsiasi piccola traccia di godimento, lambendo a ritroso la pelle meno tesa e già più rilassata del suo sesso.
Si staccò da lui con uno schiocco impudico che fece vibrare i corpi di entrambi.
«Sfacciato» lo richiamò il ragazzo, tirandoselo addosso dopo essersi rivestito, ma ancora a torso nudo. «Vieni qui». A Louis divertiva il fatto che Harry, a volte, usasse dei termini poco ricercati, aggettivi che non erano propriamente in voga tra i più giovani, come quello "sfacciato" col quale lo chiamava spesso, per prenderlo in giro.
Restarono immobili ad osservarsi e a riprendere fiato, Harry sembrava ancora provato per l'orgasmo mentre Louis la sentiva pulsare dentro ai boxer la sua eccitazione. Il ragazzo sembrò essersi incantato a rimirare l'angolo della sua bocca, le dita a carezzare piano i suoi capelli corti e ambrati. Sospirò e il tempo di socchiudere gli occhi per poi riaprirli che vide Harry avvicinare la bocca alla sua per lambire con un guizzo della lingua una traccia perlacea di se stesso, ancora posata sulla sua pelle.
Perché doveva essere sempre così... così tutto?
Harry lo baciò languido, accorto, giocherellando con le dita nel solco tra le sue scapole, in movimenti lenti e astratti che strapparono Louis dalla realtà. Ogni volta che la sua lingua si intrecciava o sfiorava quella dell'altro, il suo sapore a mischiarsi con le loro salive, lo stomaco si svuotava, la testa si alleggeriva ed era come fluttuare senza sentire il peso del mondo a gravare sopra alle spalle. Harry lo faceva sentire sempre in quel modo, tutte le volte. Lo faceva stare bene. Quando sentì la mano del ragazzo sfiorare con intenzione il rigonfiamento nei suoi jeans, si ridestò dall'incanto sorridendo contro alle sue labbra.
«Non abbiamo tempo» mormorò, scuotendo il capo.
Harry sbuffò come un bambino e «Ma...» provò a contestare.
«Niente ma, me la sbrigo da solo, tu aspettami fuori». Sì, se la sarebbe sbrigata da solo in bagno, lontano dalla tentazione di prendere Harry lì, in quelle strette quattro mura.
Ritornò in sala con i capelli talmente sconvolti, le labbra e le guance rosse e gli occhi lucidi che le poche persone che giravano lì attorno lo adocchiarono con piglio curioso, compreso Liam che, a differenza degli altri, sogghignò canzonatorio facendolo quasi imbarazzare.
Louis che si imbarazzava? Era proprio fottuto.

~

Non era il massimo della discrezione, con l'anziana proprietaria a trattare tutti come suoi nipoti e a urlare tra una portata e l'altra, ma mangiare da I figli di Rosemary era una di quelle esperienze da provare almeno una volta nella vita. Il nome della tavola calda all'angolo della strada non era solo un palese riferimento al noto romanzo del 1967 di Ira Levin, bensì anche il nome della sua proprietaria circondata dai figli che lavoravano lì da quando erano solo dei ragazzini. Louis adorava quel posto, ci pranzava ogni giorno da tre anni, da quando aveva trovato lavoro da Foot Locker e Rosemary era un po' come una mamma per lui.
Una signorotta tarchiata, gli occhi grandi e azzurri e i capelli ricci e rossi, corti, dentro ai quali ci infilava davvero di tutto: penne, post-it e fermagli vari. Una pazza scatenata che sembrava stravedere per lui.
Quando entrarono assieme, mano nella mano - perché Harry era fatto anche di gesti inaspettati, oltre che parole - la donna sembrava essere impazzita. Nonostante non lo avesse visto prima, aveva assestato un pizzicotto affettuoso in una guancia di Harry («Sei il ragazzo che tutte le madri vorrebbero per il proprio figlio!» aveva detto, per poi strizzare una guancia pure a Louis) e trotterellando era sparita a preparare il loro ordine. Louis si sentiva a casa, sotto le occhiate amorevoli di Rosemary e con tutto l'imbarazzo che la propria madre poteva procurare ad un pranzo di presentazioni in famiglia.

«Mi sono dimenticato di dirti che il nome di questo posto mi inquieta parecchio». Harry stava masticando un enorme boccone di lattuga quando parlò. Louis lo detestava tutte le volte che, entrambi a tavola, riusciva a farlo sentire un maiale esibendo i suoi piatti vegetariani carichi di vitamine mentre lui si ingozzava di schifezze.
«Quel romanzo è davvero un capolavoro», rispose, riferendosi a Rosemary's baby, «niente a che vedere con i romanzi senza senso, melensi e noiosi».
Addentò un pezzo di pollo da una coscia come il più rude dei cavernicoli e Harry lo fissò accigliato, e non per quello, ma per ciò che aveva detto riguardo ai romanzi d'amore che erano il genere che lui prediligeva, il tipo di storia che stava scrivendo e che desiderava un giorno venisse pubblicata. Louis parve accorgersene troppo tardi ma, tuttavia, allungò una mano sul tavolo per intrecciare le dita a quelle dell'altro ragazzo.
Gli sorrise sincero e gentile, stringendo un po' le loro dita e «Appena abbiamo finito qui ti porto in un posto, ti va?» domandò, nella voce un chiaro tono di scuse. Harry annuì e, per sua fortuna, apparve persino l'ombra di una fossetta all'angolo della bocca.
«E comunque l'ho letto quel romanzo e non mi ha entusiasmato». Quando Harry parlò, la forchetta a rincorrere disperatamente un'oliva, Louis sollevò un sopracciglio con un ghigno sulla bocca.
«Sei di parte» riferì serio, «non è il tuo genere». L'altro parve indispettirsi appena ma non disse nulla, limitandosi a fare spallucce. Fu lui a parlare di nuovo.
«Visto che lo hai letto, posso farti una domanda?»
Harry annuì, alzando gli occhi su di lui, il mento poggiato elegantemente sulle dita intrecciate delle mani (si era arreso contro l'oliva sfuggente).
«Se ti capitasse di scendere a patti col Diavolo in persona, come Guy che è uno scrittore come te, saresti disposto a vendergli l'anima per fare successo?»

Moriva dalla voglia di conoscere la sua risposta, era così curioso di ascoltarlo parlare che Louis percepiva l'adrenalina scorrergli nelle vene.
«Mi è capitato spesso di pensarci. Credo che inizialmente ne sarei fortemente tentato, voglio dire» si morse un labbro, riflettendo sulle parole che dovevano frullargli incessantemente nella testa, «riuscire senza alcuno sforzo a pubblicare il mio romanzo, non è neppure il desiderio di fama perché non è quello che mi attira, non quanto la possibilità di far leggere al mondo la mia storia».
Lo ascoltava assolto, il suo sguardo bazzicava tra le sue labbra agli occhi che rilucevano in maniera sibillina, coinvolgente.
«No, non penso concederei la mia anima. Finirei con lo scrivere storie che con il tempo non sentirei neppure mie tanto sarebbero impersonali, e diventerei un pazzo insensibile incapace di amare chi mi circonda perché troppo preso dai miei libri, dai personaggi finti creati dalla mia immaginazione, dimenticherei i veri sentimenti».
Louis si sollevò, piegandosi sul tavolo, e sporgendosi verso di lui lo baciò senza premeditazione alcuna. Bocca contro bocca, nient'altro, un contatto fisico tra soffice e ruvido che sembrava voler dire solo... grazie. Grazie per qualsiasi cosa, per continuare ad esserci per lui, per aver scelto lui, soprattutto.
Harry riaprì gli occhi piano, come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno, sembrò la principessa Aurora che riapriva gli occhi al suo principe dopo il suo lungo sonno.
«E questo per che cos'era?» domandò in un sorriso.
«Per avermi risparmiato di concepire un figlio con il Diavolo». Louis lo disse seriamente, tanto che riuscì a farlo ridere di pancia. E quella risata si incastrò in un angolino nascosto dentro al suo petto.
«Sei assurdo».
Mai quanto te, avrebbe voluto rispondere ma si limitò a lanciargli un occhiolino e a sorridere. Il cuore gli batteva con un ritmo nuovo, mai sperimentato.

Quando riuscirono a districarsi dalla presa di Rosemary (la donna gli aveva persino dato una busta di stuzzichini da portare via), si ritrovarono a passeggiare spalla a spalla, verso la meta prefissata da Louis. Ogni tanto Harry spezzava il loro silenzio raccontando una delle sue battutacce ridicole che ciononostante riuscivano sempre a farlo ridere, Louis scuoteva la testa e rassegnato lo adocchiava di striscio mentre l'altro non poteva vederlo. E pensava, pensava al fatto che fosse davvero fortunato ad aver incontrato una persona come lui, così viva e piena di interessi, di argomenti con cui era praticamente impossibile annoiarsi. Ed era bello, come se non bastasse, era dolorosamente bello ed era suo.
Le loro mani di nuovo strette l'una all'altra ne erano la conferma, il modo in cui le dita di Harry, lunghe e nodose, si legavano alle sue come lacci impossibili da districare. Avevano ancora un'ora prima che Harry dovesse ritornare in facoltà e lui al lavoro, quindi decise di portarlo in una pista per gli skaters situata in un posto della città che oltre ad offrire uno splendido panorama era anche meta di parecchi artisti.
C'era chi dipingeva con una tela piantata su di un cavalletto, chi abbozzava linee sul proprio blocco da disegno e chi invece scriveva o leggeva. Non appena il verde nelle iridi di Harry si mescolò a quello dei piccoli sprazzi di erba, dove ci si poteva sedere o stendere, un sorriso gigante gli inghiottì la faccia.
«Già so cosa farò nella prossima ora» comunicò, cacciando dalla tracolla il suo quaderno. Louis alzò all'insù un angolo della bocca mentre lo adocchiava allontanarsi di qualche passo da lui per sedersi tra l'erbetta corta, le lunghe gambe incrociate all'indiana e il quaderno poggiato sulle ginocchia. Neanche il tempo di aprirlo che la penna iniziò subito a correre sulle pagine bianche, imprimendo inchiostro e parole, pensieri, tutte quelle riflessioni che Louis poteva solamente immaginare.

Il sole quel pomeriggio era pallido, giocava a nascondino tra le nuvole soffici che scorrazzavano nel cielo, prima con frenesia, poi con ritrovata lentezza come pecorelle pigre al pascolo. I raggi di quel sole baciavano i capelli di Harry, che li aveva sciolti sopra alle spalle e non più legati, rendendoli appena più ambrati, poi quando la luce veniva coperta da una nuvola di passaggio quegli stessi capelli parevano diventare scuri, intensi come il colore dei suoi occhi quando erano saturi di bramosia.
Louis si era allontanato per dirigersi verso la pista per gli skaters, aveva persino incontrato un amico che non vedeva da qualche tempo e insieme avevano provato nuove manovre da far rabbrividire chiunque; a volte sembrava che Louis lo avesse incollato alla suola delle scarpe il suo skateboard, non lo perdeva mai, neppure durante uno dei più difficili tricks.
Come ogni volta che si impiegava il tempo a fare ciò che più si amava, anche quell'ora sembrò volare via con una semplicità spietata.

«Ti propongo una specie di patto». Louis si voltò con con la fronte già aggrottata. Harry era alle sue spalle, le mani nascoste nelle tasche posteriori dei jeans su cui indossava una delle sue insolite camicie che potevano costare all'incirca quanto un rene; non che potesse azzardarsi a commentare la fantasia della camicia di Harry, non quel pomeriggio mentre indossava una hoodie bianca tempestata da stampe nere di facce mostruose e deformate.
«Non sei Harry, sei Satana. Ammettilo, ti ho riconosciuto». Il ragazzo rise, senza perderlo di vista. In pochi passi dimezzò la distanza tra loro.
«Imparo ad andare in skateboard, o almeno ci provo, mentre tu mi prometti di leggere uno dei romanzi di quel genere che tanto non sopporti», fece una pausa soppesando la sua espressione. «Ci stai?»
Il sopracciglio di Louis era davvero in procinto di decollare dalla sua faccia.
Gli rivolse un'occhiata che dire scettica sarebbe stato un eufemismo e «Con quelli, onestamente, non penso riusciresti ad andare tanto lontano» lo sbeffeggiò, indicando col mento i suoi stivaletti. Il ragazzo non si lasciò scoraggiare dalle sue parole, anzi, allargò maggiormente il ghigno con il quale si era presentato a lui proponendogli quella pazzia. E poi, andiamo, Louis non aveva alcuna intenzione di leggere quella roba...
«Lo vedremo».

Finì che Harry riuscì contro ogni legge della fisica, visti il suo equilibrio precario e all'abbigliamento poco adatto, a scorrazzare senza troppi problemi sulla pista rettilinea sotto agli occhi increduli di Louis.
Riusciva pure a frenare, frenava e lui non poteva davvero credere ai suoi occhi. D'accordo, si era limitato ad andare avanti e indietro, incapace di girare, ma si era divertito e non era mai caduto, lasciandolo a bocca aperta.
Quel pomeriggio ritornò al lavoro con un romanzo d'amore (Nei sussurri del vento, della Rosewall) nello zaino.
Quando nello spacco lo tirò fuori dallo zaino per leggerne l'introduzione, tra le labbra una sigaretta e gli occhi assottigliati per il fumo, gli bastò lo sguardo divertito e d'un tempo scioccato che gli rivolse Liam per capire di essere ormai senza scampo.

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