Inchiostro invisibile su pagi...

By _ignisfatuus

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(COMPLETA) Louis indossa felpe dalle fantasie strane, fin troppo, e non si guarda mai intorno quando è tra la... More

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II

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By _ignisfatuus


Erano le due e mezzo di notte quando Louis si svegliò assetato come non mai, imprecando sommessamente e maledicendo la birra che ogni volta gli lasciava una gran sete in corpo e un saporaccio in bocca, nonostante lavasse i denti e spazzolasse - con accortezza, avendo un piercing - la lingua. Aveva bisogno di bere perciò si avviò verso la cucina sforzandosi con tutto se stesso di non prestare attenzione agli strani rumori provenienti dalla camera di Niall. Eleanor era rimasta a dormire - dormire, sì - da loro quindi l'ultima cosa che Louis desiderava era proprio ascoltare qualcosa di compromettente. Recuperata l'acqua, una volta ritornato di corsa in camera, la luce della lampada sul comodino rischiarò diabolicamente quel maledetto diario a cui non aveva più prestato attenzione dopo essersi congedato dai due amici. Ora però, con la tranquillità indotta dal breve sonno e sollecitato dal silenzio della notte, Louis si sentì stranamente euforico all'idea di sbirciare finalmente in quel quaderno. E poiché Eleanor lo aveva già aperto lui non aveva proprio nulla di cui incolparsi visto che oramai era già stato profanato da qualcun altro. A gambe incrociate sul suo letto, il sorriso di Freddie Mercury ad ammiccare dal poster dietro la scrivania, tirò su un gran respiro e lo aprì.
Iniziò sollevando la copertina di cuoio marrone, rigida, e la prima cosa che gli balzò all'occhio sulla prima pagina bianca fu un numero di cellulare. Aggrottò le sopracciglia e un cipiglio comparve sulla sua fronte mentre leggeva e mormorava a mezza voce ogni cifra. Non vi era alcun nome che potesse indicare il proprietario di quel recapito telefonico, né alcuna indicazione. Decise di non voler dedicare altra attenzione a quel dettaglio quando il desiderio di scoprire con i suoi occhi il contenuto di quelle pagine ritornò di nuovo e con maggiore prepotenza.
Scelse di non sfogliarlo in ordine ma di aprire il diario a caso, così ciò che vide furono due pagine completamente ricoperte di inchiostro nero. Ricordò di aver letto da qualche parte che la persona che preferiva l'inchiostro nero a quello blu era tendenzialmente dominante nella vita e negli affari, decisa e con un carattere meno malleabile rispetto a chi invece preferiva scrivere con l'inchiostro blu. Scosse la testa e con un labbro stretto tra i denti, la bocca di nuovo secca, si accinse a leggere alcune delle frasi appuntate.

Se la vita era fatta di scelte, Sophie non aveva più alcun dubbio, la sua si trovava dall'altra parte della città, in una piccola casa fatta di semplici mattoni, e lei non doveva fare altro che raggiungerla.

C'erano sentieri che come ricordi, prima o poi, portavano a scontrarsi con un bivio. Destra o sinistra? Con il tramonto a colorare la campagna, il vento a soffiarle tra i capelli, Margaret si domandò cosa fosse più giusto e cosa sbagliato, tra lo scegliere di seguire ciecamente il cuore e il correre in contro alla ragione.

Aveva un sorriso tronfio sul volto, l'espressione innamorata di chi non ha mai smesso di sperare. Melanie sollevò una mano nella sua direzione e Maxim capì che era giunto il momento di scegliere. Il bivio era solo di passaggio, non la vita vera.

Arrivati a quel punto c'erano solo tre modi di salutarsi e dirsi addio. Un bacio seguito da un abbraccio struggente, una carezza accompagnata da un pianto silente oppure, fu ciò che Sophie scelse, un semplice arrivederci mormorato con l'intenzione di non voltarsi mai più indietro.

La calligrafia si presentava ordinata, quasi femminile e le lettere tondeggianti e tutte unite, non c'era mai uno spazio o uno stacco brusco tra di esse. Louis non era un esperto di quel genere di cose ma aveva letto abbastanza libri di psicologia da sapere che quel tipo di scrittura apparteneva ad una persona che teneva tantissimo ai legami, alle connessioni con le persone che entravano nella sua vita. Alcune parole erano state cancellate con un tratto marcato e sostituite con altre, così come intere frasi, ma nonostante questo non erano presenti errori grammaticali. La prima cosa che Louis pensò, con una mezza smorfia, leggendo quelle frasi fu "oddio, un altro fanatico di roba melensa e senza senso". Era stato pure tentato dall'idea di richiudere immediatamente quel quaderno e, annoiato come non mai, mettersi di nuovo a dormire. C'erano state quelle parole, poi, quell'intreccio di aggettivi e pensieri che avevano fatto in modo che scattasse in lui una scintilla, qualcosa in grado di trattenerlo e convincerlo a leggere ancora. Frasi in cui Louis si era rispecchiato sbattendo il muso contro una verità che cercava sempre di tenere lontana, per non cadere nell'oblio di alcuni ricordi che ancora bruciavano come fiammelle sulla pelle. Per questo si era ritrovato senza saperlo con gli occhi che gli si erano riempiti di luce, il polpastrello del dito indice a scorrere piano sulle parole per non perdere il segno, a voltare pagina quando ce n'era il bisogno.

Due stracci di cielo macchiati di oceano su un viso spigoloso, dallo sguardo scuro come un tramonto maturo. E la bocca rosea come il più delicato dei boccioli si schiudeva in un sorriso colmo di armonia. Poteva apparire una notte buia e fredda, d'un tempo, anche il momento più caldo e indimenticabile agli occhi di qualcuno?

Se avesse guardato il dito perdendo di vista la Luna, si sarebbe lasciata scappare il paesaggio più bello della sua vita.

In una bacinella con dell'acqua tinta, macchiata dall'anima delle vernici utilizzate per la sua tela, quella che vedeva nel riflesso non era più la donna che credeva di conoscere, bensì colei che si apprestava ad essere. Passato, presente e futuro a fonersi in un unico vortice di colori brillanti.

"Giuro solennemente e dinnanzi a Dio, che mai niente d'ora in poi, niente, potrà cancellare dal disegno intricato della mia esistenza l'impronta che tu stessa hai lasciato. Indelebile dentro di me, nella parte più profonda, nascosta e insidiosa della mia anima. Tu che come una coraggiosa valchiria mi hai saputo trovare, prendere e salvare".

Un pomeriggio di primavera, con i petali degli alberi di ciliegio a colorare di rosa il vento, Melanie intrecciò le sue dita a quelle di Maxim mentre entrambi passeggiavano nel piccolo parco della città. "Ti sei mai chiesto perché l'alba e il tramonto hanno gli stessi colori?"

Louis sentì un brivido scivolare lungo le braccia scoperte, gli occhi appena più grandi a fissare senza leggere davvero un punto indefinito su quella pagina.

Perché l'alba e il tramonto hanno gli stessi colori?

Ripeté quella domanda più volte, dapprima tacitamente, poi a mezza voce, il labbro inferiore stretto tra l'indice e il pollice. Gli sembrava come se quelle parole fossero state rivolte a lui e sebbene sapesse quanto sciocco poteva apparire in quell'istante, Louis era piuttosto convinto che quella fosse la domanda a cui doveva assolutamente trovare una risposta, che solo rispondendo correttamente sarebbe riuscito a liberarsi definitivamente dalla camera buia che era diventato il suo passato. Un'idea gli balzò alla mente, recuperò il portatile - perennemente acceso - abbandonato da qualche parte lì sulle coperte e velocemente digitò parti di quelle frasi che aveva letto. Alcune riportavano a blog di lettura che citavano il romanzo che Eleanor aveva nominato quella sera, So che ci sarai. Delle restanti frasi, tuttavia, Louis non riuscì a ricollegarsi a nulla di già esistente nel web, come se quei pensieri fossero originali e non citazioni tratte da libri famosi.
Spronato da quella nuova consapevolezza, sentendosi improvvisamente ringalluzzito, afferrò il cellulare dal comodino e digitò senza pensarci su neanche una volta il numero che aveva letto sulla prima pagina di quello stesso diario. Si sentiva un folle, un pazzo cieco dotato di solo e puro istinto, e dopo due settimane si riconobbe di nuovo per quello che in realtà era: un ragazzo che agiva senza pensare troppo, che viveva seguendo i suoi impulsi perché l'ultima cosa che voleva ritrovarsi sulla coscienza erano i rimpianti. Incurante dell'ora e di tutto quanto, non sapendo neppure cosa avrebbe detto se qualcuno gli avesse risposto, avviò la telefonata.
Ad ogni squillo avvertiva il cuore sussultare nel petto come se volesse a tutti i costi liberarsi e guardarlo dritto in faccia.
Uno squillo... due... tre, quattro, cinque...
Allontanò il cellulare dall'orecchio, nel silenzio gli squilli erano ben udibili anche senza attivare il vivavoce. Aveva sollevato il pollice sul tasto per chiudere la telefonata in corso quando la gola gli si strinse del tutto.
Dall'altra parte udì dapprima un fruscio strano, come di lenzuola a sfregare contro la pelle, poi un respiro nasale e infine un leggero colpo di tosse. Louis aveva gli occhi spalancati sul buio della sua camera.
«Pronto?» disse una voce maschile dall'altra parte del telefono. Louis strinse tra le dita con così tanta forza il cellulare che quasi temette di poterlo spaccare. Che lo avesse svegliato era piuttosto chiaro, tuttavia Louis non riusciva a sentirsi in colpa, anzi. Il ragazzo dall'altra parte respirò piano prima di parlare di nuovo.
«Se è uno scherzo sappi che non è divertente, vista l'ora».
In quel momento Louis, assestandosi una pacca sulla fronte, si ricordò di non aver usato l'anonimo e che quel ragazzo, il possibile proprietario del diario, ormai fosse a conoscenza del suo numero. Con tanto francesismo seppe solo pensare che figura di merda, prima di riattaccare repentinamente. Balzò in piedi come se il materasso sotto di lui fosse diventato improvvisamente una brace e incapace di restarsene fermo prese a sondare il perimetro della camera a grandi falcate. Alla fine quel tizio aveva il cellulare acceso, avrebbe potuto spegnerlo se non gli andava di essere disturbato. Louis era sempre più convinto di averlo svegliato, doveva essere per forza così o altrimenti non riusciva a spiegarsi quel tono di voce arrochito e basso, consumato, così caldo e sensuale che maledizione, dovette premersi una mano sul cavallo dei pantaloni della tuta. Maledizione.
Fu così naturale per lui associare quella stessa voce al corpo dello strambo, sebbene fosse del tutto infondata come reazione visto che non aveva alcuna certezza che quello che gli aveva parlato fosse davvero lo sconosciuto del treno.
Il cellulare prese a vibrare nella sua mano proprio mentre stava per rimettersi a sedere. «Cazzo» imprecò nel constatare che a chiamarlo fosse il numero sconosciuto. Come aveva potuto dimenticare di chiamarlo con l'anonimo? Voleva così tanto picchiarsi da solo per essere stato tanto stupido. A quel punto il cuore iniziò a pulsare terribilmente, gli occhi incollati sul display dello smartphone, quel numero a balzare su e giù. Cosa doveva fare? Eccetto desiderare di voler sparire, ovviamente. Chiuse gli occhi e costringendosi a non pensare più accettò la chiamata.
«Sì?» Dall'altra parte il silenzio. Neppure il più piccolo rumore, niente di niente. Louis non percepiva neanche un respiro lento, il che fu in grado di gettarlo in una sorta d'apprensione che lo faceva sentire insofferente.
«Mi senti? Io non sento niente...»
In risposta, altro silenzio. Tuttavia Louis non riusciva a mettere giù, era come se sentisse che riattaccando, dopo non avrebbe avuto più alcun diritto di richiamare. Non poteva mandare all'aria quell'occasione, così riprovò. «Non so se mi senti...»
Neanche il tempo di sospirare che dall'altro lato giunse un suono, qualcosa così simile ad un letto che cigolava. Louis immaginò che chiunque stesse dall'altra parte si fosse appena alzato dal letto.
«Bene, ora sai come ci si sente».
Quando il ragazzo disse quelle parole Louis trasalì visibilmente, preso in contropiede, ma subito rispose. «Scusa per prima, non volevo riagganciare ma avevo una linea di mer-insomma, c'era poco campo e non riuscivo a sentire niente» mentì spudoratamente, accartocciando la bocca in una smorfia e detestandosi per l'impacciato provato. E menomale che erano solo al telefono! Non voleva proprio immaginare a come avrebbe reagito se ce lo avesse avuto davanti, quel tipo. Quando l'altro parlò di nuovo, Louis era piuttosto sicuro gli stesse parlando con un sorriso sulle labbra.
«Non preoccuparti» disse, sospirando di nuovo. Louis sentiva un brivido per ogni sospiro dell'altro.
«Però ora vorrei mi dicessi chi sei e perché mi hai chiamato».
Louis deglutì a vuoto e schioccò la lingua sotto al palato, così come faceva tutte le volte che si sentiva nervoso.
«Giusto. Ehm, sì» cosa diavolo stava facendo, non riusciva a mettere due parole in fila e formulare una frase di senso compiuto.
«La settimana scorsa, ehm, qualcuno ha perso un quaderno o diario, insomma, l'ho raccolto con l'intenzione di restituirlo al proprietario ma non sono riuscito più ad incrociarlo in metro e ho chiamato il numero che ho trovato sulla prima pagina».
Alle sue parole seguì un lungo silenzio. Il labbro inferiore non sanguinava solo per miracolo, poiché i denti non avevano smesso un solo istante di martoriarlo.
«Lo hai letto?» domandò lo sconosciuto.
Louis aggrottò la fronte. «Il numero? Be' sì o non avrei potuto chiamarti».
«Ma no, intendo il mio quaderno, lo hai letto?»
Il mio quaderno. Il suo quaderno. Era lo strambo. Non che avesse altri dubbi a riguardo, ormai si era auto-convinto che non stesse sbagliando ma ora che ne aveva la conferma, Louis si sentì stranamente avvampare. Quella situazione gli sembrava così strana, aveva quasi il sentore si trattasse solo di un sogno, che da lì a qualche ora si sarebbe svegliato per scoprire di essersi sognato tutto.
«Sei ancora lì?»
La voce dello strambo lo ridestò dai suoi pensieri.
«Solo due pagine, lo ammetto. Non ho letto altro». Non gli andava proprio di sudare freddo per cercare di mentire ancora; lui non amava farlo e non avrebbe di certo iniziato in quell'occasione.
«Resterò fuori città ancora per qualche giorno, dovrei rientrare per il week-end. Se per te va bene possiamo incontrarci domenica, così potrò riaverlo» annunciò lo strambo senza accennare al fatto che avesse letto il suo quaderno. Senza dare segno di fastidio o qualsiasi altra emozione, il suo tono di voce era neutro. Louis annuì istintivamente anche se l'altro non poteva vederlo, registrando ogni sua parola.
«Okay, sì, per me dovrebbe andare bene». In realtà aveva già un appuntamento con Niall e Liam, una delle solite serate tra ragazzi, ma per lo strambo poteva benissimo disdire. I ragazzi lo avrebbero sicuramente capito, specialmente Liam che non avrebbe perso tempo a ricordagli "te lo avevo detto che non ti eri immaginato proprio niente!"
A quel punto, tuttavia, Louis non sapeva in che modo incontrarlo, l'altro non aveva accennato al vedersi in metro quindi pensò bene di osare. Poco gli importava se potesse apparire un mezzo appuntamento, in fondo Louis nonostante l'impaccio e i suoi momenti di imbarazzo rimaneva pur sempre un tipo alquanto sfacciato. Era una contraddizione umana, sotto certi punti di vista.
«Ci vediamo al green park di North Landwick, per le sette va bene?»
Il ragazzo parve soppesare le sue parole prima di dargli una risposta. «Va bene. Posso farti una domanda?»
Louis aggrottò la fronte e «Certo, dimmi» rispose, non avendo alcuna idea riguardo a cosa volesse chiedergli.
«Sei il ragazzo con lo skate?»
Cosa? Louis strabuzzò gli occhi nel buio perché quello che aveva appena sentito non poteva, insomma, non aveva sentito bene, giusto? Lo stomaco gli si contorse e il cuore sobbalzò a tale punto che strinse le labbra terrorizzato all'idea di poterlo sputare. Se quel tipo aveva notato lo skateboard che si portava sempre appresso, ciò significava che Louis non si era sbagliato tutte quelle volte che aveva percepito gli occhi del ragazzo addosso, tutte le volte in cui si era sentito osservato attentamente non erano state solo frutto della sua immaginazione.
«Sì» riuscì a rispondere in maniera sintetica, anche perché gli si era momentaneamente incastrato il respiro nella gola.
Il ragazzo sospirò di nuovo e «Bene, allora posso chiederti di portare con te anche lo skate?» domandò con così tanta naturalezza nel tono della voce che Louis si sentì quasi fluttuare a mezz'aria. Possibile si sentisse in quel modo solo per poche parole scambiate per telefono?
Annuì e «D'accordo. Ora posso fartela io, una domanda?» domandò, l'istinto a prevalere su tutto, di nuovo.
«Vai».
Si passò una mano tra i capelli, «Perché l'alba e il tramonto hanno gli stessi colori?» domandò tutto d'un fiato.
Quasi si pentì per non essere riuscito a trattenersi. Il silenzio che ne ricavò in risposta acuì quella sua sensazione, forse aveva osato troppo, forse sarebbe stato meglio se si fosse trattenuto. Tuttavia sentì che chiederlo lo aveva liberato di uno strano peso, di una tensione che lo aveva attanagliato subito dopo aver letto quelle parole sul quaderno.
«Te lo dirò di persona. Forse» rispose il ragazzo, la voce ridotta quasi ad un bisbiglio. «Buonanotte».
Con questo, lo strambo che non gli aveva rivelato neppure il suo nome, e lui stupido a non averglielo chiesto, riagganciò.
Per quello che ne restava di quella notte, Louis non riuscì più a chiudere occhio.

~

Converse nere, skinny jeans neri, hoodie con strane fantasie floreali (pareva avesse la primavera addosso) e gli immancabili occhiali che sennò si sarebbe sentito nudo e cieco. Era pronto. Forse.
Quel giorno era nato con la pioggia, aveva piovuto fino a metà pomeriggio e a tratti l'aria fredda sembrava suggerire che l'inverno fosse alle porte. Lo strato di brina sull'asfalto lo faceva brillare in maniera innaturale, il vento a soffiare piano tra le foglie degli alberi che costeggiavano ogni strada. Quando mise piede fuori casa il sole fortunatamente aveva fatto capolino nel cielo sebbene le nuvole continuassero a minacciare con il loro grigiore chiunque si trovava ad alzare il naso all'insù. Louis sperava vivamente non si mettesse di nuovo a piovere perché senza ombrello e in skate sarebbe stata una vera rottura di scatole - e poi, diciamocelo, non avrebbe giovato alla sua metereopatia cronica. Quella settimana era stata la più lunga della sua vita, ad ogni modo. Da quel lunedì della telefonata al tizio del diario gli era sembrato che i giorni si fossero tipo incastrati tra di loro, come se procedessero inciampando e ci mettessero il doppio del tempo per volgere alla fine. Louis era piuttosto sicuro fosse solo una sua sensazione dettata dall'ansia, anzi, era sicuramente così dal momento che Liam gli aveva consigliato più volte di stare tranquillo e non pensare troppo a quella specie di appuntamento. Tra le tante cose, il suo amico gli aveva chiesto anche di parlargli del contenuto del quaderno, poiché oramai Louis lo aveva aperto e letto. Con un gesto sbrigativo della mano, senza troppi giri di parole, aveva glissato la curiosità di Liam dicendogli che aveva trovato solo roba noiosa, «altro che serial killer, quello è un fanatico di romanzi d'amore, cazzate così insomma».
Cazzate così. Alla fine non aveva mentito, si trattava solo di aver omesso una verità e cioè che quelle cazzate così gli avevano aperto un varco nella mente e offerto qualcosa su cui rimuginare. Come, ad esempio... «Liam secondo te perché il tramonto e l'alba hanno gli stessi colori?»
Glielo aveva domandato davvero, tranquillamente, mentre guardavano un torneo di calcio in tv, come se gli stesse chiedendo di spiegargli l'azione appena avvenuta in campo. Liam si era accigliato, pareva stesse pensandoci ma con uno sbuffo ilare e un «non ne ho idea amico, ma mi stai inquietando» aveva fatto capire a Louis che quella risposta sarebbe dovuta arrivare dalla bocca di una sola persona: quella per cui si era ritrovato alle sei in punto (per evitare qualsiasi tipo di ritardo) con il cielo appena più scuro, seduto sullo skate ad aspettare come un povero idiota nel green park di North Landweek. Louis si stava mortalmente annoiando. L'ansia provata fino al mattino di quello stesso giorno sembrò dissiparsi come una nebulosa non appena ebbe varcato il cancello del parco. E ora se ne stava seduto sulla sua tavola, una sigaretta tra le labbra e il capo chinato sulla punta sporca delle sue scarpe. Lo zainetto dietro alle spalle aveva un peso rassicurante, premendogli contro le ossa gli dava come la sensazione che qualcuno stesse abbracciandolo da dietro. A volte avrebbe voluto colpirsi da solo per quel genere di pensiero. Tirò una boccata di fumo con le labbra strette attorno al filtro in un sorriso inconsapevole, gli occhi assottigliati e lo sguardo perso da qualche parte, nei pressi della zona cementata per gli skaters. C'erano ragazzi davvero bravi, che ci sapevano fare, e spronato dalla sua noia e dal fatto che mancasse ancora un'ora prima che lo strambo arrivasse, Louis si precipitò in pista.

Se gli avessero chiesto perché amava così tanto quella disciplina di strada, considerata da molti un tentativo di suicidio, Louis avrebbe risposto che era l'unico modo che aveva per dimostrare a se stesso di poter sempre migliorare. Perché andare in skateboard era come una grande allegoria, dietro di essa c'era il senso della vita. Mettere per la prima volta i piedi su una tavola era come nascere; cadere e ruzzolare perché ancora insicuri delle proprie capacità era un po' come quando ci si lascia a camminare, fare i primi passi consapevoli delle innumerevoli cadute. Infine c'era il percorso della crescita, gli alti e bassi, perdere e vincere, diventare ormai esperti ma sapendo di poter sempre cadere di nuovo, perché la perfezione rimaneva un'utopia sebbene si facesse di tutto per raggiungerla. Era un po' libertà, il vento a picchiare duro contro il volto. Era un po' come innamorarsi, i vuoti allo stomaco poco prima di un trick complesso, il timore di precipitare, la sensazione di adrenalina pura quando si ritornava, letteralmente, con i piedi per terra. Era esistere, respirare, sentirsi vivi in ogni cicatrice sulla pelle, in ogni fitta di dolore nelle ossa, vivi in ogni livido.
Andare in skate era tante di quelle cose che Louis perse completamente la cognizione del tempo. Erano le sette e mezzo di sera e lui continuava a scivolare sulla sua tavola in quell'oceano di asfalto illuminato dalla luce dei lampioni. Scese giù da una rampa, il consueto vuoto allo stomaco come quando si stava per decollare e quando risalì dall'altra parte della pista il cuore arrestò per alcuni istanti la sua corsa. Due grandi occhi curiosi sopra ad un sorriso storto, circondato da una massa di capelli scuri appena ondulati alle punte, stavano osservandolo in maniera mite, facendolo sentire l'unica stella luminosa incastrata in un cielo troppo nero. Restò immobile per minuti interi, un piede incollato al grip dello skate e l'altro sull'asfalto. Il bagliore latteo di un faro puntato sulla pista impedì a Louis di mettere meglio a fuoco la figura che lo stava scrutando, da dov'era seduta su di un muretto; così, con una spanna sulla fronte per schermarsi dalla luce, non ebbe più alcun dubbio su chi fosse quel ragazzo. Con un agile mossa fece sollevare lo skate da terra per poi afferrarlo per la punta, con una mano, prima di metterlo come d'abitudine sotto braccio.

«Sei qui da molto?» domandò avvicinandosi a passo lento. Più la distanza diminuiva, più dettagli notava. L'altro ragazzo aveva un beanie verde e un cappotto lungo sotto al quale Louis scorse una camicia aperta su di una t-shirt. Quel tipo era decisamente strambo e a confermarlo c'era anche quell'enorme tatuaggio - non identificabile - che Louis intravedeva dalla trasparenza eccessiva della t-shirt bianca. Ebbene sì, Louis lo stava fissando e non poteva e voleva fare proprio nulla per negarlo.
Il ragazzo fece spallucce. «Avevi detto alle sette o l'ho sognato?» gli chiese con un nuovo sorriso sghembo. Louis decise che se avesse continuato a sorridergli in quel modo non sarebbe riuscito più ad articolare frasi di senso compiuto.
Distolse lo sguardo dal suo torace e «Giusto, sì, ma avresti potuto chiamarmi».
«Non l'ho fatto perché eri nel tuo mondo e poi non mi ha dato noia aspettare qui». Il ragazzo mise da parte il portatile tenuto sulle ginocchia fino a quel momento e si alzò da dove era seduto, mostrando tutta la sua altezza. Louis sperò ardentemente che l'asfalto potesse aprirsi sotto ai suoi piedi e farlo sparire per sempre perché il confronto era davvero imbarazzante. Alla fine erano poche spanne eppure si sentiva un hobbit al suo cospetto.
Lo strambo allungò la sua mano destra, anelli su tutte le dita. «Comunque il mio nome è Harry» si presentò, la voce bassa e accogliente.
«Louis».
Harry annuì e su di loro calò un silenzio che, almeno per Louis, era carico di tensione. D'improvviso aveva completamente perso di vista il motivo di quell'incontro. Lo sguardo attento di Harry puntato su di lui con particolare insistenza non lo aiutò a concentrarsi. Per niente. Fortunatamente un lampo di lucidità lo illuminò e «Sì, ecco, ho qualcosa da darti» annunciò. Nell'esatto istante in cui la sua mano fece per sfilare la stringa dello zaino dalle spalle, il ragazzo di fronte a lui fece un vago gesto con la mano.
«Aspetta, visto che ho una gran sete e penso anche tu», indicò col mento la pista dietro alle loro spalle, «che ne diresti di andare a bere qualcosa? Se hai da fare possiamo anche...»
«No, per me va bene» lo zittì Louis, annuendo. «È okay. Andiamo». Ed era terribilmente vero. Non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare subito.
Harry gli dedicò un grande sorriso e «Perfetto» mormorò, apprestandosi a raccogliere le sue cose dal muro. Un paio di minuti più tardi erano a camminare fianco a fianco, diretti al pub più vicino.
Appena entrati entrambi lasciarono che le sopracciglia si sollevassero donando loro una splendida espressione sorpresa. Louis gli indicò un tavolo accanto ad una finestra e Harry lo seguì, scontrandosi con una cameriera al quanto particolare. «Ragazze mezze nude su dei pattini a servire la clientela?» bisbigliò Harry piegandosi in avanti sul tavolino, sembrando un bambino che confessava una marachella al proprio amichetto di banco.
«A quanto pare...»
Il pub era davvero caratteristico, pareva uscito direttamente dal set di uno di quei telefilm ambientati negli anni '70 e incentrati sulle avventure e gli amori di un gruppo di liceali dalle vite frenetiche. C'erano sedute dallo stampo americano e i colori che prevalevano erano il rosso e il blu, un tavolo da biliardo e alla parete un tabellone da freccette. Oltre al vociare degli avventori era piacevole ascoltare anche la musica vintage di un vecchio juke-box rilegato in un angolo della sala. Nell'aria l'odore di cibo e di alcool.

«Mi sei mancato tantissimo!»
Non appena Louis ebbe allungato il diario a Harry, questi sembrava essere completamente impazzito. Lo stringeva tra le mani, ne osservava la copertina e pareva stesse riabbracciando un figlio che oramai credeva perduto per sempre.
«Credimi, Louis» iniziò, gli occhi ancora fissi sulla copertina di cuoio di quel vecchio diario. «Questo quaderno è tutto per me».
Louis annuì sorseggiando la sua birra, lo leggeva nei suoi occhi che era sincero e lo percepiva dal modo in cui stringeva tra le mani il suo tesoro ritrovato. Harry mise da parte il quaderno e riafferrando il suo bicchiere parlò di nuovo. «Mi è già capitato di perderlo, per questo c'è il mio numero». Accompagnò quella piccola confessione con un sorriso rassegnato che strinse un po' il cuore di Louis.
A quell'ultima affermazione, quest'ultimo non poté evitare al suo sopracciglio sinistro di arcuarsi.
«Quindi quanti appuntamenti come questo ti sono già capitati?»
Lo disse con un ghigno, non voleva mirare a nulla di ambiguo eppure Harry parve diventare tutt'a un tratto pensieroso. Strinse il proprio bicchiere tra le mani, lasciava che roteasse tra le dita, il vetro a tintinnare quando uno dei suoi anelli andava a collidere contro la superficie.
«A dire il vero, appuntamenti come questo, mai» confessò. Alzando lo sguardo e incastrando gli occhi in quelli di Louis, aggiunse: «Le volte precedenti mi sono limitato a riprendermi il quaderno, arrivederci e grazie».
Louis si detestava. Davvero, si detestava così tanto. Perché per una buona volta non riusciva almeno anche solo provare di tenere a bada la lingua? Ad esempio in quel caso avrebbe volentieri fatto a meno di cavare fuori dalla bocca di Harry quella verità. E oddio, vaffanculo pure a lui per essere stato tanto genuino e spontaneo. Che diamine. Harry non accennava a voler distogliere lo sguardo dal suo; lo tenne ben saldo anche mentre prendeva un altro sorso di birra e con la lingua spazzava via dal labbro superiore una traccia di schiuma, con una tale lentezza e tranquillità che Louis deglutì saliva amara. Si sentì incapace di interrompere quel contatto visivo come un animale impaurito che pur guardando in faccia la morte che stava per investirla non riusciva a levarsi dal mezzo della strada, e con gli occhi ancora puntati in quelli di Harry confessò con sincerità spiazzante ciò che stava pensando.
«Non mi piace sentirmi osservato con insistenza».
L'altro ragazzo non parve colpito dalla sua schiettezza, tant'è che non fece nulla per porre rimedio a quella strana atmosfera venutasi a creare. «Mi dispiace, non volevo infastidirti » disse, lo sguardo posato con delicatezza sul volto di Louis, a contraddire elegantemente ciò che aveva appena detto.
Quel tipo era decisamente strano e Louis non avrebbe mai potuto cambiare idea, ne era più che certo. Alla fine il primo a cedere fu proprio lui perché gli occhi smeraldini di Harry erano diventati come tizzoni ardenti sulla pelle. Dolorosi da sopportare.
Da che dovevano solo bere qualcosa insieme finirono con l'ordinare da mangiare, a entrambi era venuta una gran fame e sebbene fosse la prima volta che si ritrovavano a parlare condividendo un pasto, Louis non si sentì per niente in imbarazzo. Eccetto in quelle occasioni in cui gli occhi del ragazzo sembravano non potere fare a meno di scrutarlo a fondo - ma a quanto aveva capito, Harry lo faceva senza finalità alcuna, era un po' una sua caratteristica quella di osservare attentamente i dettagli, un po' come per Niall il contatto fisico. Con un'attenta osservazione, visto che Louis non aveva alcuna intenzione di mostrarsi intimidito dalle sue occhiate, poté anche scoprire la peculiare tonalità delle sue iridi. Il fatto che avesse letto da qualche parte che solo il due percento della popolazione mondiale avesse gli occhi verdi, poi, non faceva che rendere Harry ancora più strano. Louis si scoprì presto ammaliato dal modo di fare di quel ragazzo, la sua verve era invidiabile. Sebbene Harry parlasse in maniera lenta, a volte estremamente lenta, aveva un tono di voce cadenzato che rendeva impossibile non ascoltarlo. Inoltre Louis fu piacevolmente colpito dal fatto che, pur essendosi trasformato in un appuntamento vero e proprio quello che doveva essere un breve incontro, entrambi non parvero mai annoiarsi della compagnia dell'altro.

«Non ti ho ancora chiesto che cosa fa di te un pendolare, Louis». Harry stava mangiucchiando la sua insalata, la testa a seguire il ritmo dell'ultima canzone passata dal juke-box e anche Louis non aveva resistito alla tentazione di canticchiare insieme al frontman dei Police il ritornello di I can't.
«Lavoro alla Foot Locker che è a quattro fermate di metro da dove abito» rispose, una patatina tra le labbra. L'insalatona nel piatto dell'altro ragazzo sembrava giudicarlo ogni minuto che passava, con la sua perfezione salutare a confronto con il colesterolo delle sue patatine e pollo fritti. Spruzzò un abbondante dose di maionese su gran parte del piatto e «Invece tu, come mai sei un pendolare?» domandò genuinamente interessato.
Harry non rispose subito, per alcuni istanti gli osservò la bocca e Louis non riuscì a capire se fosse perché aveva dello sporco o per altro. «Hai della salsa...» mormorò l'altro indicando la sua stessa bocca, per indirizzare Louis verso la zona da ripulire.
«Devo essere davvero disgustoso da guardare» ammise Louis, il tovagliolo sulle labbra piegate appena all'insù. Neppure il tempo di terminare la sua affermazione che Harry scoppiò a ridere con gli occhi strizzati, coprendosi repentinamente la bocca spalancata. Louis restò a guardarlo in silenzio, un'espressione esterrefatta in viso che lasciava trapelare il suo stupore, perché quel ragazzo era di una spontaneità così sexy e accattivante che non sarebbe mai riuscito a descriverla a parole.
«Comunque non sono un pendolare» comunicò Harry, subito dopo aver dissipato le sue risa. Louis si sentì piuttosto confuso a riguardo. Se non era un pendolare, che cosa ci faceva tutti i giorni in treno a compiere lo stesso percorso?
«Immagino che può suonare strana questa cosa, il punto è che viaggiare in treno mi aiuta a concentrarmi, riesco a studiare solo tra la gente e col rumore delle rotaie in sottofondo».
Quindi era uno studente? E... sì, era decisamente strambo, pensò con un cipiglio sulla fronte. «Frequenti l'università? Certo però che sei strano, io al liceo se non mi internavo in camera non riuscivo proprio a combinare niente».
Harry annuì e sorrise, per la sua ultima considerazione. «Sì, mancano pochi esami e poi mi tocca la tesi, ormai sono al capolinea!»

Era entusiasta e i suoi occhi rifulgevano quando parlava della sua vita, era coinvolgente ascoltarlo parlare e Louis un po' lo invidiava poiché lui si sentiva tremendamente noioso a confronto.
«...e lo so di sembrare strano, ma il silenzio mi deconcentra», aggiunse prendendo un sorso di birra. «Se c'è troppo silenzio finisco col gettarmi nei miei pensieri, poi inizio a scrivere ed è meglio che mi dedichi agli esami adesso, non posso permettermi distrazioni».
Louis a quel punto moriva dalla voglia di scoprire che cosa studiava, quale fosse la facoltà che frequentava e, soprattutto, avrebbe voluto assestarsi uno scappellotto da solo perché non era in diritto di provare così tanta curiosità. Dannazione. Cosa poteva mai studiare un tipo come lui e a quali distrazioni si riferiva...
«Che facoltà frequenti?»
Sì, non si era frenato e al diavolo tutto, ora che glielo aveva chiesto si sentiva più leggero.
Harry sorrise, parve intimidirsi appena quando rispose. «Lettere e Filosofia, vorrei poter insegnare un giorno».
Lo disse con un sorriso timido, come se avesse confessato chissà quale grande segreto. Louis ne rimase incantato. Una lucina, poi, si accese nella sua memoria, ricordandogli una battuta di Eleanor sul fatto che facoltà come quelle fossero frequentate prevalentemente da ragazzi gay e che avrebbe dovuto farci un pensierino (come se non fosse a conoscenza della sua scarsa attitudine allo studio). Ad ogni modo, doveva interpretarlo come un punto a suo favore o... No, il punto era che stava pensando troppo perché quel ragazzo lo mandava in confusione: come poteva apparire un bambino delicato e al contempo un uomo maturo e sicuro di sé?
«A cosa pensi?»
La voce di Harry lo ridestò bruscamente. Già, a che cosa stava pensando?
«Niente, pensavo che deve piacerti davvero tanto lo studio. Ad esempio io non ci sono proprio portato, a stento sono riuscito a diplomarmi». Lo ammise senza alcun imbarazzo, anche perché era la pura verità. Secondo lui c'erano persone portate per determinate cose e altre che eccellevano in attività più pratiche. Harry rispose annuendo, con un leggero sorriso che non sapeva di preconcetto, né mirava a giudicarlo in qualche modo. Louis a modo suo lo apprezzò.
Continuarono a chiacchierare di quanto fosse tremendo avventurarsi certi giorni in treno per via degli individui che vi si trovavano e Louis, sebbene fosse restio a parlare di sé tantomeno a qualcuno che vedeva per la prima volta, riuscì a raccontargli della sua passione per lo skate e per il calcio. Quando Harry gli chiese di dirgli un paio di titoli delle sue canzoni preferite, nel panorama musicale che andava dai sessanta agli ottanta, Louis non ci pensò su due volte prima di rispondergli.
Vide Harry alzarsi dal tavolo con un sorriso sibillino in volto, spostarsi giusto in tempo da evitare l'ennesimo scontro con una delle cameriere sui pattini, e avvicinarsi al juke-box luminoso. Louis sollevò le sopracciglia e, davvero, non poteva crederci. Harry a quanto sembrava stava cercando la canzone da selezionare, una mano schiacciata sulla parte superiore della macchina musicale e con un dito a scorrere i vari titoli. Lontano dal suo sguardo si concesse il lusso di squadrarlo da capo a piedi, dai capelli ancora schiacciati sotto al beanie, alle gambe lunghe, eccessivamente, che solo a rimirarle gli davano le vertigini. L'attrazione fisica provata sino a quel momento crebbe esponenzialmente quando Harry pensò bene di attentare alla sua vita piegandosi in avanti, forse per leggere meglio i titoli. Louis non credeva di potercela fare. Il fondoschiena del ragazzo stretto in quei jeans strettissimi poteva essere considerato un attentato alla sanità mentale di chiunque. Fu questione di un attimo, poi, prima che le note inconfondibili di Heaven's On Fire dei KISS riempissero ogni spazio con la loro energia e qualche cliente fischiasse d'apprezzamento in direzione di Harry che aveva selezionato la canzone. Quel ragazzo pareva un magnete per tutti gli sguardi dei presenti, forse per il suo portamento, la sua altezza o il modo lento di camminare, ma era come se tutti lì dentro fossero rapiti dalla sua figura. Louis per distrarsi dai suoi pensieri da ventunenne alle prese con ormoni facilmente suscettibili, iniziò a canticchiare battendo il ritmo con una mano sul tavolo.
«...baby don't stop, take it to the top, eat it like a piece of cake». Harry dopo essere ritornato a sedersi, di fronte a Louis, sembrava cercare qualcosa sul suo viso, come se non sapesse neppure lui cosa cercare di preciso. «Non ci credo».
Louis alzò un sopracciglio e «Cosa?» domandò, interdetto.
«Prima stavi cantando» disse. Louis provava un leggero imbarazzo, sapeva di non essere un cantante ma riconosceva a se stesso di avere una buona intonazione, aveva forse stonato così tanto?
«E quindi?»
«E niente, credevo di essermi sbagliato, di aver visto male ma...» Harry si piegò in avanti per poterlo fissare da vicino, lui si ritrasse appena. Troppa vicinanza.
«Tireresti fuori la lingua?»
Louis a quel punto non riuscì a trattenersi e tirò fuori uno sbuffo ilare che fece corrugare la fronte a Harry. Aveva capito a cosa si stava riferendo e il fatto che non avesse usato termini espliciti per farsi comprendere lo aveva un po' intenerito.
«Se ti riferisci a questo» disse, tirando fuori la lingua con la bocca aperta in una piccola O, «no, non ti sbagliavi».
Harry sembrò affascinato, completamente. Louis ridacchiò di nuovo.
«Sembra tu non abbia mai visto un piercing in vita tua».
Il ragazzo di fronte si morse appena un labbro, il capo piegato di lato. A Louis diede come l'impressione di essersi alienato come quando in metro si dedicava al suo pc o al suo quaderno senza curarsi del mondo che lo circondava.
«Non ti piacciono i piercing?»
«Onestamente?»
Louis annuì.
«Mi fanno un po' impressione ma al tempo stesso mi affascinano un sacco. Credo di essere più un tipo da tatuaggi, ecco».
Bingo! pensò Louis. Non si era sbagliato neppure lui quando credeva di aver adocchiato, sotto al tessuto leggero della sua t-shirt, una macchia scura dalla forma indecifrabile. Ad ogni modo non volle indagare oltre, e anche se avesse voluto, il cellulare dello strambo non sembrava essere d'accordo. Aveva preso a trillare con una tale insistenza che Harry stesso aveva sbuffato più volte nel tentativo di ripescarlo dalla sua borsa. Si scusò e si allontanò verso l'esterno a parlare. Dal loro tavolo Louis poteva adocchiarlo grazie alla finestra lì vicino. Sembrava improvvisamente teso, come se in un attimo solo avesse perso tutta la sua elettricità che lo faceva sembrare un pianeta in continuo movimento, un frammento di stella dalla luce inesauribile. Lo vide afflosciarsi e rientrare, un'espressione mesta in volto. «Devo andare» comunicò senza neppure sedersi. «Sarei rimasto volentieri qui a parlare con te, Louis» aggiunse Harry, con un sorriso sincero. Louis si ritrovò a torturarsi le dita delle mani sotto al tavolo, non sapeva bene che cosa dire quindi optò per la semplice e sempre efficace verità.
«È stato un piacere conoscerti». Era così sincero, davvero.
Harry annuì, gli occhi troppo grandi, troppo vividi, troppo luminosi quando rispose. «Anche per me. Per il conto non preoccuparti, hai fatto già abbastanza salvando il mio horcrux» disse indicando con lo sguardo il diario stretto tra le sue braccia. E... che cos'era quello? Un riferimento a Harry Potter? Louis amava Harry Potter e perciò gongolò internamente. Fu inutile provare a protestare, dire che non avrebbe dovuto preoccuparsi, che voleva pensarci lui al conto, perché con un gesto della mano e un ultimo saluto Harry sparì.
Lo stomaco di Louis, nonostante fosse pieno, protestò accartocciandosi fastidiosamente.

~

«Mi sono pure scordato di chiedergli una cosa...»
«Tanto che ti ha fottuto il cervello? Amico sono senza parole».
Un guantone nero da boxe non tardò a planare con particolare violenza sulla testa bionda di Niall che, con un agile movimento, riuscì a schivarlo all'ultimo momento. Il guantone, non trovando ostacoli, andò a colpire Liam alle spalle.
«Vorrei ricordarvi che dovremmo fare un inventario, non abbiamo molto tempo per conversare come amabili donzelle».
Louis non poté trattenersi dallo scimmiottare Liam imitando il suo tono di voce, Niall a sghignazzare divertito.
Era il lunedì sera dopo l'incontro con il proprietario del diario, e la Foot Loocker era chiusa alla clientela. Tuttavia Louis e il suo collega si erano ritrovati rinchiusi tra le mura del negozio per effettuare l'inventario di fine mese. C'erano stati alcuni furti e ad Alberto, ovviamente, la cosa non era andata giù. Niall era lì come supporto morale, così come lui stesso si era definito quando con tranquillità si era presentato alle loro porte. Era arrivato in loro soccorso perché «serve sempre qualcuno che sappia come tirare su il morale e poi io e il mio coinquilino ci incontriamo più per strada che a casa ultimamente». Esagerato. Niall era l'esagerazione fatta persona. D'accordo, forse un fondo di verità nelle parole del ragazzo c'era, visto che Louis stava facendo di tutto per evitare di incrociarlo a casa, così da non dover raccontare niente di tutta la faccenda. Tuttavia aveva dovuto cedere e si era ritrovato - costretto - a dover raccontare com'era andata con quel ragazzo, poiché Niall aveva minacciato di sbatterlo fuori («Non ci metto niente a trovare un altro coinquilino») e di disconoscerlo visto che «dopo avermi mentito sulla faccenda del quaderno, ora come minimo per farti perdonare mi racconti tutto». Gli aveva detto proprio così, ed era apparso di una serietà inquietante tanto che Louis aveva deciso di non desistere oltre. Mentre effettuava il conteggio di alcuni manubri da sette chili ciascuno, riponendoli poi in uno scatolone con estrema pazienza, raccontava in linea generale - dei dettagli ne era troppo geloso - come era stato parlare con lo strambo.
«Comunque continuo ad essere sempre più curioso di conoscere questo tipo, vorrei poterlo vedere, perché per come lo hai descritto potrei volerci scopare anche io».
A quell'affermazione così spontanea ci furono due reazioni del tutto opposte: Liam tirò fuori un urlo ilare che si trasformò in una gran risata, Louis invece alzò solamente gli occhi dallo scatolo, con una lentezza alquanto inquietante. Il ragazzo biondo smise per un attimo di masticare il suo chewing-gum e con le braccia aperte «Che c'è?» domandò.
Il guaio era che nel dire quella cosa riguardo Harry, Niall era sembrato davvero serio, per questo Liam scosse la testa rassegnato e «Da quando hai tendenze bisessuali? Ti conosco da troppo tempo, purtroppo, e non ne ho mai saputo niente». Louis conosceva Liam e Niall da soli tre anni ed era a conoscenza del fatto che la loro amicizia fosse nata ai tempi delle elementari. Quei due sembravano, a tratti, come due fratelli.
«Infatti scherzavo. E comunque» disse il finto biondo volgendo l'attenzione a Louis, «non ti ha lasciato pagare, il che significa solo tre cose».
Louis alzò eccessivamente un sopracciglio. «E sarebbero?»
«O è un gran signore, o è gay oppure tutt'e due le cose assieme».
Un mezzo sorriso tuttavia riuscì a strapparglielo visto che anche lui aveva pensato la stessa cosa di Harry, cioè, sul fatto che fosse stato veramente gentile a prendersi carico da solo del conto. Sulla questione gay o meno, Louis avrebbe voluto avere maggiore sicurezza, nonostante al loro incontro gli avesse dato un bel po' di motivi per non dubitarne.
«Certo che devi esserti sentito come una principessa viziata, Tommo, è proprio un principe azzurro questo qui e come tutti i saggi sanno», Niall fece una pausa teatrale, «il principe azzurro è sempre gay».
Con uno stato d'animo differente avrebbe potuto pure riderci su di pancia ma in quel momento Louis non fece altro che sentirsi insofferente alle battutine del biondo.
«Sei insopportabile» sputò con insofferenza, rivolto a quella testa pazza del suo coinquilino.
«Sono d'accordo con lui» annuì Liam, la lingua tra i denti e la mano a scorrere veloce su di un grosso registro sebbene cercasse di non ridere.
Ad ogni modo rimaneva il fatto che a Louis non piacesse sentirsi in debito con le persone. D'accordo che gli aveva ridato il diario sano e salvo e quindi Harry avesse sentito il bisogno di ringraziarlo offrendogli la cena, ma... Louis doveva, voleva fare qualcosa per pareggiare in maniera equa i conti. E poi c'era sempre la questione della domanda a cui solo quel ragazzo avrebbe potuto rispondere, quella stessa domanda che gli frullava in testa da troppi giorni e che, troppo coinvolto ad ascoltare Harry, si era scordato di porgli. Così, per quanto gli desse fastidio l'idea, fu proprio a Niall che decise di chiedere un parere sulla faccenda - in fin dei conti aveva quasi sempre delle idee brillanti, quando ragionava in maniera lucida. Ovviamente.
«Per quanto mi riguarda potresti anche invitarlo al nostro piccolo rave casalingo».
Niall stava provando degli snapback allo specchio, quando parlò di nuovo. «Si divertirà sicuramente un sacco e poi avrò anche io l'opportunità di conoscerlo». Louis volse di scatto lo sguardo verso il riflesso del biondo. Non se ne parla proprio pensò scuotendo la testa. Non avrebbe mai portato Harry a casa loro e, soprattutto, in una tale occasione. I festini di Niall li conosceva bene, se è per questo erano noti a mezza città.
«Non se ne parla proprio» ripeté, questa volta ad alta voce. Il biondo parve ombrarsi.
«Così mi offendi, Tommo. Lo sai che ai nostri party non manca mai niente».
«Ma guarda! È proprio questo il punto» rispose con estremo sarcasmo sulla punta avvelenata della lingua. «E poi cos'è questa storia? Non mi hai detto niente a riguardo, credevo che bisognasse decidere assieme quando e se organizzare festini a casa nostra». Niall fece un'espressione oltraggiata come se si fosse appena sentito dire la cosa più crudele del mondo. «Senti ragazzino, devo ancora perdonarti per avermi tenuto all'oscuro di tutto quindi consideralo come un'ulteriore pena da scontare».
Louis era piuttosto convinto che Niall gliel'avrebbe rinfacciato a vita. Per quanto riguardava il festino, continuava ad essere indeciso sul da farsi. Liam gli aveva detto che non era per niente male come idea, che sarebbe apparso meno come appuntamento e più come un incontro senza pretese visto che ci sarebbero stati anche lui e Sophia, Eleanor e tanta altra gente. Alla fine annuì pensieroso e si ritrovò ad accettare quell'unica opzione. Glielo avrebbe chiesto l'indomani in treno, quella sera purtroppo si era fatto troppo tardi al lavoro e sapeva non lo avrebbe trovato. Il punto, tuttavia, fu che non riuscì a trovarlo neppure il giorno dopo e l'altro successivo. L'insofferenza di Louis crebbe in maniera esponenziale quando per ben tre giorni di seguito non riuscì ad incrociarlo in metro, e il festino ci sarebbe stato quello stesso sabato. Ora che lo aveva conosciuto di persona lui non si faceva vedere più? Non poteva credere il destino si divertisse così tanto alle sue spalle. Per fortuna poteva sempre chiamarlo. Un punto a suo favore! Tuttavia quando si ritrovò in camera sua, a rivivere quasi un déjà vu, la sicurezza gli crollò sulle spalle. Temeva di sembrargli troppo invadente se lo avesse chiamato, se glielo avesse chiesto di persona in treno sarebbe potuto apparire meno formale, in un certo senso casuale. Era anche passata da qualche minuto la mezzanotte e non era più sicuro fosse il caso di telefonarlo a quell'ora...
Ad ogni modo non ebbe tempo di rimuginarci più su, perché le scuse che poteva raccontarsi erano terminate e per sua fortuna l'istinto seppe prevalere: la telefonata partì non appena il cellulare fu stretto in una mano. Pochi squilli, troppo... pochi.

«Louis». La voce di quel ragazzo, solo quella, era capace di incendiargli l'anima e Louis dovette riconoscerlo a se stesso quando si scoprì con un palmo schiacciato sul cavallo dei jeans. Esattamente come la prima volta che lo aveva sentito al telefono. Il fatto poi che avesse risposto sapendo che fosse lui ad averlo chiamato, poteva significare solo una cosa e cioè che aveva salvato il suo numero tra i contatti. Louis dovette faticare per ritrovare un minimo di lucidità. «Harry, ciao» salutò, titubando appena. «Scusa l'ora, magari stavi studiando, non so».
Ci fu un breve silenzio riempito da alcuni sospiri di Harry prima che questo parlasse.
«Ciao a te. Non mi disturbi» chiarì subito, anche se non poteva esserne sicuro gli parve di poterle vedere incurvate in un sorriso le sue labbra rosse e piene. «E poi non stavo studiando, perdevo solo tempo!»
In quel preciso istante nella testa di Louis esplose una bolla di curiosità. Cosa intendeva con "perdere tempo"? Che cosa, di preciso, stava facendo prima che lo interrompesse? Non sapeva se fosse disposto o meno a volerlo sapere davvero.
«Allora guardavi la tv o un film, ti ho interrotto dai, ci sentiamo domani». Cosa certa, però, era entrato nel panico e si detestava per quel suo modo di agire, nonostante non potesse proprio fare niente per evitarlo.
Dall'altra parte sentì dapprima una risata bassa e consumata, poi d'improvviso un silenzio. Il respiro di Louis gli si incastrò nella gola, un brivido di anticipazione sulle braccia.
«Non ti azzardare a riattaccare».
Una ridda di brividi gli colò giù la schiena con la lentezza e la consistenza di un cubetto di ghiaccio. Quell'avvertimento, simile quasi ad una minaccia, pronunciato da Harry era suonato come un ringhio intimidatorio e in un pensiero irrazionale Louis si immaginò ai confini di un bosco oscuro, fermo a fronteggiare un lupo dalle fauci spalancate. La voce del ragazzo, così autoritaria, gli fece desiderare in un lampo di cecità razionale di essere dominato da lui nel senso più totalizzante del termine.
Per questo, «Okay» mormorò accondiscendente, scoprendo un lato di sé mai conosciuto prima. Si detestò tanto per quel genere di pensieri che spesso prendevano il sopravvento nei momenti meno opportuni.
«Allora, di cosa volevi parlarmi?»
Louis si accorse solo allora di aver trattenuto il fiato, lo lasciò andare in un sospiro, inforcando gli occhiali scivolati lungo il naso. «Avrei voluto dirtelo in treno ma in questi giorni non ci siamo incrociati, quindi...»
«Sì, ultimamente ho poco tempo per potermi permettere di girovagare in metro» disse subito Harry ridacchiando, impedendogli di terminare.
Louis prese a scarabocchiare su di una rivista, per stemperare un po' di ansia. «Niente, sabato io e il mio coinquilino diamo una specie di festa a casa nostra e, be', pensavo mi farebbe piacere se ci fossi. Ovviamente puoi portare chi ti pare». Annuì ad occhi chiusi, una spanna sul volto come se temesse di ascoltare la risposta del ragazzo. D'un tratto sentì il bisogno di chiarire la natura di quello strano invito. «Insomma, permettimi di ringraziarti per la cena dell'altra volta».
La risata del ragazzo rischiarò il buio dietro alle sue palpebre e non lo mise in imbarazzo, anzi, lo colmò di sensazioni forti.
«Sabato avrei già un impegno, niente di certo però». Harry parve pensare a qualcosa, Louis lo sentì intonare uno strano motivetto a labbra strette e, per assurdo, pensò a Luna Lovegood, la Corvonero dai capelli biondi e l'espressione alienata partorita dalla mente della Rowling. Stava giusto per dirglielo, condividere quel pensiero, prima di essere zittito dalla sua voce.
«Vorrei davvero esserci, Louis. Quindi dimmi dove e di preciso quando così se riesco ci faccio un salto, d'accordo?»
Louis annuì di nuovo, manco l'altro potesse vederlo e senza farselo ripetere un'altra volta gli dettò tutti i dettagli. Lo immaginò con il labbro stretto tra i denti e la penna a scivolare su un qualsiasi pezzo di carta, così come faceva tutte le volte quando lo osservava in treno. La consapevolezza che ora Harry sapesse dove abitava, lo rendeva stranamente euforico. Un sorriso aveva preso posto sul suo volto.
«Ah, Harry!» quasi urlò, ricordandosi di una cosa, gli occhi a fissare i piccoli missili dalla strana forma fallica che il suo inconscio gli aveva fatto scarabocchiare.
«Dimmi» lo incitò l'altro.
«L'altra volta, quando ci siamo visti, ho dimenticato di chiederti perché il tramonto e l'alba hanno gli stessi colori» fece una pausa, sentendosi come in bilico, ad un passo dal precipizio. Era pronto a conoscere la risposta a quella domanda? «Mi ero ripromesso di chiedertelo non appena avrei avuto modo di parlarti». Ormai aveva capito che quando si trattava di Harry, era completamente incapace di contenere i suoi pensieri.
Il ragazzo tossì piano e «Sei sicuro di non saperlo?» gli domandò, la voce incredibilmente bassa. Una cosa che faceva impazzire Louis era il fatto che Harry sembrava sussurrare quando parlava, come se ogni sua parola fosse un segreto indicibile.
«Non penso di conoscere la risposta o non te lo avrei chiesto» replicò con una punta di veleno che seppe strappare, paradossalmente, a Harry una tenue risata. «Te lo dirò quando ci vedremo di persona», rispose quest'ultimo. «Dormi bene, Louis». E con questo, per la seconda volta, Harry riagganciò senza permettergli di protestare.
Louis sentì di detestarlo con tutta l'anima.

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