Inchiostro invisibile su pagi...

By _ignisfatuus

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(COMPLETA) Louis indossa felpe dalle fantasie strane, fin troppo, e non si guarda mai intorno quando è tra la... More

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By _ignisfatuus

Inchiostro invisibile su pagine già scritte alcuni di voi (che seguono da tempo su efp l'account soulmirrors) forse l'avranno già letta...
In tl su twitter oggi mi sono imbattuta in alcune foto di Harry che mi hanno fatto pensare incredibilmente a Harry di questa storia, perciò in seguito ad un giro mentale (il disagio è di casa) sono finita col convincermi a postarla qui su wattpad! A dire il vero lo avevo già fatto tempo fa, ma la cancellai subito dopo, evidentemente non ero ancora pronta a rispolverare alcuni ricordi che mi tengono legata a questa storia.
Ad ogni modo, buona lettura a chi deciderà di rileggerla e chi invece lo farà per la prima volta ♡ (nelle note finali troverete piccoli chiarimenti riguardo alla suddivisione che ho voluto dare alla storia).

I colori del tramonto, quella sera di inizio Settembre, risultavano stinti come forse non lo erano mai stati. Sembrava che il sole morisse, letteralmente, dalla voglia di sparire all'orizzonte, lasciarsi andare e assopirsi per poi risorgere trascinando con sé gli stessi colori solo più vividi, veri, coraggiosi. Voleva morire e rinascere per poi restare, non andare più via, bagnando costantemente il tetto del mondo con le sue tonalità vive.
Nel frattempo, tuttavia, era ancora impossibile distinguere le sfumatura nel cielo sopra alla sua testa, difficile dare un nome a quel colore pallido che non sembrava essere né rosso, né arancio e neanche rosa e che rendeva le nuvole un unico ammasso indistinto, che le privava delle loro forme a stuzzicare l'immaginazione di chi di solito come lui si divertiva a vederci immagini reali in esse. Per questo e per altri motivi quella sensazione gli stringeva un nodo alla gola, impedendogli di respirare. Chiuse gli occhi, fermandosi sul primo gradino della metropolitana, lo skateboard immobile sotto ad un piede e si costrinse a rimandare giù il panico, quella specie di ansia subdola che lo perseguitava da qualche tempo, da quando era ritornato al lavoro dopo aver trascorso un mese a casa, a Doncaster.
Sei un Grifondoro, dov'è finito tutto il tuo coraggio?
La vocina nella sua testa, a cui aveva associato un paio di occhietti verdi vispi e riccioli scuri sparsi sopra al capo, non aveva smesso di prenderlo in giro neppure un istante da quando era ritornato.
Sorrise inconsapevolmente, scuotendo la testa, ormai rassegnato a se stesso e tirando su un gran respiro lo fece. Prima un gradino, poi un altro, un altro ancora, fino a che il tramonto che di lì a poco sarebbe stato un'alba, con i suoi stessi colori ma dalle sfumature diverse, non sparì del tutto lasciando di sé solo un vago ricordo.
Dissipata ogni paura, nel suo petto a correre dietro al cuore, stavolta c'era solo la speranza.

~

L'autunno era iniziato da poche settimane nel New England eppure risultava ancora impossibile capire se facesse più caldo o freddo. Si trattava della tipica stagione durante la quale il mondo viveva sotto ad uno spesso e perpetuo grigiore d'attesa poiché la natura era combattuta tra il lasciarsi andare definitivamente all'inverno o tenersi aggrappata al fantasma di un tepore che apparteneva ad un'estate ormai troppo lontana. Il cielo irradiava un clangore bianco e luminoso che pareva annunciare, con ben sei settimane di anticipo, che la neve era ormai in arrivo sebbene la temperatura altalenante suggerisse tutt'altro. E poi c'era quell'aria immobile che impastava ogni giorno rendendo la realtà un continuo ripetersi appiccicoso di eventi già vissuti, fino a percepire addosso una sensazione asfissiante di eterna agonia. Era come se tutto urlasse il proprio desiderio di vita, di un brio assente che era sparito con la fine di Halloween, la festività dal retrogusto macabro che tuttavia garantiva ogni anno un clima di vivacità anche solo grazie ai colori delle zucche, degli incarti dei dolciumi o dei costumi dei bambini. Gli anziani sembravano essersi abbastanza rassegnati al limbo autunnale, a differenza dei più giovani che non erano affatto disposti a lasciarsi avvolgere da quell'atmosfera piatta in attesa del vero e proprio inverno e delle festività natalizie. In quel clima alquanto ambiguo, tra le tante cose, sembrava difficile - in alcuni giorni addirittura impossibile - riuscire a capire come vestirsi per non patire la vulnerabilità del tempo.
Per questo, e per altri motivi, alla sola età di ventuno anni Louis Tomlinson era già piuttosto convinto che sarebbe arrivato ai trenta con gravissimi problemi all'udito e con una feroce artrosi. Ne era certo.
Ad incentivarne la convinzione, oltre all'umidità di quella cittadina che gli impregnava ogni giorno le ossa, vi era ogni qualvolta ascoltasse la sua playlist musicale, la caparbietà del cellulare nel ricordargli che "Per ridurre il rischio di danni all'udito, non ascoltate contenuti audio a volume elevato per lunghi periodi".
Era una maledizione quell'avviso perché non appena appariva nefasto sul display ampio dello smartphone il volume dimezzava di botto senza che lui movesse un solo dito. Si ritrovava a imprecare tra i denti tutte le volte perché, andiamo! Erano pur sempre problemi suoi, no? Poteva essere padrone della sua vita senza che si mettesse di mezzo pure un aggeggio inanimato a rimbeccarlo? E se avesse voluto morire prima dei trent'anni e non godere affatto di un'anzianità tranquilla e in salute?
Neppure sua madre, quando ancora viveva sotto al tetto materno con le sue seicento - forse ottocento? - sorelle era tanto pedante quando ascoltava in camera Skrillex sparato a palla. Quello sì che era preoccupante, effettivamente, poiché aveva perso il conto delle volte che era stato ammonito dai vicini; quelli non si erano mai risparmiati minacce comprendenti polizia e linciaggi vari e questo Louis lo ricordava sempre con un ghigno che solo un incosciente poteva esibire in certe situazioni. E dire che si trattava di anziani dall'apparenza docile e cordiale, dei vecchietti amorevoli che in realtà altro non erano che i figli di Satana, così come preferiva definirli. Fortuna che ormai vivesse in un appartamento ben lontano dal quartiere e dalla città in cui era cresciuto, finalmente libero di essere se stesso sotto parecchi punti di vista. L'unica cosa che forse gli mancava della sua vecchia vita da adolescente era il clima per niente volubile della città natale e il fatto che sua madre o Lottie, la sorella più grande, sapessero sempre consigliargli il modo adeguato di vestirsi per non patire fuori casa né il caldo né il freddo. Era totalmente incapace nello scegliere gli abiti adatti alla stagione corrente e non era affatto un caso, quindi, se quel mattino uggioso e freddo di inizio novembre si era ritrovato incastrato nella folla che tutti i giorni popolava la metropolitana con solo addosso una t-shirt verde cosparsa di strani disegnini raccapriccianti e un paio di jeans stretti e strappati. Tuttavia non sembrava risentire del gelo di quel giorno o almeno era bravo a non darlo a vedere vista l'aria annoiata sul suo volto e la strafottenza che dimostrava in ogni cosa facesse. Con una caramella enorme alla frutta a roteare tra i denti bianchi, a tintinnare ogni volta che andava a collidere contro Il piercing metallico che portava alla lingua, avanzava nella folla senza risparmiarsi spallate e, perché no, insulti a questo o a quell'altro individuo che gli riservava occhiatacce per come andava vestito.
Il braccio destro tatuato a risaltare quell'aspetto da cattivo ragazzo che non sembrava accorgersi di avere, così come le occhiaie scure quasi sempre pronunciate dovute alla sua scarsa propensione al sonno di quell'ultimo periodo e degli occhiali dalla montatura nera un po' nerd in contraddizione col suo aspetto. Non si poteva dire, comunque, che quella fosse la sua giornata poiché avrebbe preferito davvero morire a letto, ma aveva un lavoro da svolgere e i soldi di certo non si guadagnavano dormendo all day all night. Lui lo sapeva bene. Così, dopo l'ennesimo sbuffo, si sistemò il beanie bordeaux sopra alla testa e con un gesto - che visto dall'esterno sarebbe potuto sembrare alquanto nevrotico - strinse sotto al braccio lo skateboard con cui non usciva mai senza. Il cielo che lo accolse dopo essere risalito in superficie dalle viscere della terra, amava il background urbano, si presentava piuttosto grigio e non era difficile leggervi nei nuvoloni scuri che lo addensavano minacce di temporali imminenti. Si fermò il tempo di sistemarsi gli auricolari a fondo nelle orecchie, incastrandoli quasi come chiodi, e con indifferenza prestò un'occhiata al suo orologio da polso. Le nove e dieci minuti esatti. Era in terribile ritardo, ora che ci pensava, e se anche quel giorno si fosse presentato ad un orario improbabile al lavoro, Alberto non avrebbe di certo desistito dallo sbatterlo fuori.
Perciò, dopo essersi sistemato i jeans che risalirono appena su per le cosce scoprendogli le caviglie, lasciò andare sull'asfalto umidiccio lo skate tenuto sotto braccio fino a quel momento e con un agile saltello lo montò, dando il via alla sua corsa contro il tempo. Con lo zainetto premuto sulla schiena, era più che altro un'abitudine portarselo dietro, e la gomma delle scarpe consumate ad aderire alternativamente sull'asfalto, si spinse sino a quella che tutti chiamavano "la discesa del dolore".
Quel nome non era di certo solo un nome.
Si trattava di un pezzo di strada che cadeva in maniera spericolatamente perpendicolare, come un dirupo, e che conduceva dritto al centro della città. Una scorciatoia, in poche parole, che tutti evitavano perché era stata protagonista di non pochi incidenti stradali negli ultimi tre anni. Era come maledetta, a dirla tutta, perché anche se la si affrontava a piedi, senza alcun mezzo munito di ruote, non vi era alcun modo di non ruzzolare almeno una volta nei propri passi.
«Fai attenzione su quella diavoleria!» gli urlò contro un anziano uomo dall'aria snob, tutta concentrata nel folto paio di baffi che gli copriva quasi integralmente la bocca quando per un soffio era riuscito a non investirlo. Louis si limitò ad alzare un sopracciglio e rendendosi conto di aver superato l'uomo di una buona manciata di metri tutto ciò che fece fu alzare ulteriormente l'audio al suo cellulare cosicché la musica annullasse completamente la realtà circostante. Poi fu un attimo e merda, pensò. «Merda» ripeté, questa volta ad alta voce per non aver prestato attenzione al fatto che fosse ormai in cima alla discesa. Quel dannato vecchio lo aveva distratto e, merda, non si era preparato psicologicamente alla caduta libera come invece faceva tutte le volte prima di sfidare quel tratto di strada. Tuttavia, stupendo se stesso e la sua convinzione che nulla sarebbe andato nel verso giusto quel giorno, riuscì a sbucciarsi solo un ginocchio che andò a sbattere contro ad uno dei tanti pali della luce che costeggiavano la strada. Il vento che sfidò durante l'imprudente discesa non riuscì a strappargli di dosso quell'alone di nervosismo con il quale si era svegliato, ma seppe quantomeno ripulirlo dalla sonnolenza che ogni mattina tendeva ad abbandonarlo con maggior lentezza. Non appena fu arrivato davanti al posto di lavoro, dopo aver inchiodato all'asfalto lo skateboard con un sinistro cigolio di legno, una smorfia di disgusto gli apparve sul volto mentre si ritrovava a fissare l'enorme cartellone pubblicitario che occupava quasi l'intera facciata dell'edificio adiacente. Ci mise un po' a capire che il soggetto della pubblicità fosse un libro. Concedere allo sguardo di perlustrare attentamente quella superficie fu come immergersi in un'accozzaglia di colori pastello, qualcosa di terribilmente rosa, azzurro e... lilla? L'immagine di un tramonto, una donna di spalle con i suoi capelli scuri al vento e lettere giganti a formare un titolo che seppe strappargli un'altra smorfia.

SO CHE CI SARAI

«Ma la gente cosa ci trova di interessante nel leggere certe stronzate?»
Queste furono le prime parole, senza neppure un saluto, che rivolse a Liam, il suo migliore amico e collega, non appena ebbe oltrepassato la porta sul retro della Foot Locker dove lavorava. Per lui quel genere letterario era solo una stupidaggine, una delle tante letture rosa che alla fine non lasciavano nulla al lettore. Louis mirava più ai romanzi fantastici, ai thriller psicologici che rasentavano l'horror, quei libri che sapevano come tenere col fiato sospeso perché tra le loro parole vi era sempre un fondo di realtà, quella di persone come lui. Prediligeva quel genere perché sapeva convincere il lettore ad immaginare, sognare universi paralleli in cui gettarsi a capofitto per vivere ogni volta avventure indimenticabili.
Quando soffiò un verso di disprezzo a labbra strette, il ragazzo dai capelli corti e castani in canottiera e con tutta la muscolatura in bella vista, si voltò nella sua direzione come se solo allora si fosse accorto di lui. Quando Liam si girò definitivamente sul sul volto vi era un sopracciglio alzato. «Ciao a te» rispose, le labbra carnose appena schiuse. Louis non sembrò voler far caso al saluto dell'altro perché si precipitò a mettere via lo skateboard e a ritornare sui suoi passi, pretendendo una risposta alla sua domanda.
Si sistemò con un gesto stizzito lo snapback da cui non si separava mai e «Hai sentito quello che ti ho detto?» domandò, infatti, con un pizzico di impazienza nella voce mentre l'odore di gomma e di attrezzi per il fitness gli riempiva i polmoni. Quell'odore lo faceva sentire a casa, probabilmente perché appena trasferitosi in città era stato il primo ad incollarsi alla sua pelle.
Liam che era ormai abituato da ben due anni al suo umore che dire lunatico era un eufemismo, sospirò e sistemando alcuni manubri da cinque chili ciascuno in un grosso scatolone gli si fece più vicino.
«Qualcuno è stato buttato con violenza giù dal letto stamattina?»
No, non era per quello se si sentiva incazzato con mezzo mondo quel giorno, era tutta colpa della luna storta che pendeva sul suo capo. Alzò le spalle e chinato su di uno scatolone imballato, con un taglierino, fece per tagliare via lo scotch per poi riversarne il contenuto sul pavimento. Cinquanta paia di sneakers, i cui lacci erano annodati meticolosamente - imprecò a mezza voce all'idea di doverli districare - si mostrarono ai suoi occhi ricordandogli tacitamente di dover essere sistemate negli appositi scaffali, pronte per gli sguardi degli appassionati fanatici dello sport. A volte si domandava come facesse a conciliare il suo carattere poco propenso allo stare tra la gente con il suo lavoro di commesso. Si morse la lingua formulando una risposta da dare a Liam, ci mise un bel po' per non rispondere con più veleno del dovuto e «Cosa cazzo c'entra quella gigantografia stupida di fronte ad un negozio Foot Locker? Mi urta» riferì seccamente.
L'amico sembrava sul serio non riuscire a capirlo e il cipiglio che apparve tra le sue sopracciglia folte ne era un chiaro segnale.
«Ma di che cosa stai parlando? Giuro che faccio fatica a... Ah». Si interruppe non appena ebbe allungato il collo per scrutare attraverso la vetrata che dava sulla strada principale. Quando Liam parve mettere a fuoco il motivo dell'irritazione dell'altro ragazzo non riuscì a reprimere un urletto davvero poco virile che fece innervosire, se possibile, ancor di più Louis.
«Ma è fantastico!»
Louis si voltò a fissarlo allibito e «Cosa?» domandò con un sopracciglio pericolosamente inarcato. Pareva potesse cascargli dalla fronte da un momento all'altro.
«È finalmente uscito il nuovo romanzo della Rosewall!»
Liam annuì più volte alla sua stessa affermazione e sembrò davvero esaltato. «Stamattina quando sono arrivato non c'era, devono averlo messo ora. È fantastico!» ripeté con così tanto entusiasmo che Louis dovette reprimere un conato di disappunto.
«È tremendo, invece» insisté lui. «È così antiestetico, con quei colori da Barbie, e poi che senso ha metterlo di fronte ad un centro di articoli sportivi? Non dovrebbe starci un tipo di pubblicità più in linea con quello che vendiamo?»
D'accordo, forse a se stesso poteva ammetterlo: stava decisamente esagerando accanendosi in quel modo. Il punto era che si trattava solo di riversare il suo malumore nella prima cosa che gli desse appena un pizzico di fastidio e a dirla tutta ci stava davvero riuscendo.
«Ma si può sapere che fastidio può darti quella pubblicità là fuori? Non guardarla e fingi che non esista».
Louis per non dargli addosso e per sedare il suo nervoso irrazionale, decise di fingere che Liam stesso non esistesse in quel momento. Finse anche di ignorare l'occhiata truce che gli rivolse Alberto dopo averlo salutato freddamente e si spinse strascicando i piedi nel suo reparto. Nonostante fossero solo le dieci del mattino gli avventori furono tanti e il lavoro si fece più arduo quando dovette star dietro ad un tizio fanatico di jogging indeciso su quale tipo di scarpe comprare. Indossando il suo sorriso migliore e l'aria del commesso sempre disponibile e gentile riuscì a vendergli delle Adidas per il quale lui stesso sbavava da tempo ma che costavano più o meno quanto un suo rene. Riuscì persino a dissipare, anche se solo in parte, il malumore che si trascinava dietro da quando si era alzato e fu davvero lieto di allontanarsi per un po' quando fu il suo turno di fare una pausa. Durante lo spacco decise di fumare una sigaretta all'esterno, aveva davvero bisogno di rilassarsi. Il fumo denso e caldo sembrava riuscire tutte le volte a placare la sua insofferenza, un po' come se bevesse una buona tazza di tè prima di andare a letto. In più di un'occasione gli era balenata alla mente l'idea di rollare insieme al tabacco un po' del suo tè rilassante ma aveva sempre desistito per paura che potesse avere effetti collaterali sulla sua insonnia; perché Louis, sebbene non gli piacesse ammetterlo ad alta voce, amava la sua insonnia che gli permetteva di vivere appieno ogni notte. Stava inspirando l'ultima boccata di fumo, la cartina bianca a consumarsi sino a sparire completamente contro il filtrino stretto tra l'indice e il pollice, quando scorse Liam fotografare col cellulare quell'irritante pubblicità. I raggi pallidi del sole che la colpivano facevano risaltare con maggior vivacità i colori della stampa e se la stanchezza non gli stava giocando un brutto scherzo sembrava quasi che l'intera via fosse diventata leggermente rosata, come se la luce si fosse infettata con quei colori. No, sul serio, non credeva di potercela fare. Scosse la testa e si avvicinò al ragazzo che, come un turista al cospetto di un'opera d'arte di straordinaria bellezza, stava ammirando l'edificio di fronte. La cicca a sbattere contro l'asfalto prima di finire, manco lo avesse fatto di proposito, nel primo tombino lì vicino quando la lanciò via con uno scrocco delle dita.
«Amico ma sei serio e o mi stai prendendo per il culo?» domandò con una pungente ironia nella voce. Liam alzò una spalla e con un sorriso inebetito riposò il cellulare nella tasca posteriore dei jeans chiari. Non disse nulla, così Louis insistette.
«Da quando un uomo tutto muscoli come te è interessato a quelle stronzate per ragazzine in crisi ormonale?»
Solo a quel punto il suo amico parve per un attimo offeso, le labbra incurvate in quel broncio tenero fecero rivalutare a Louis, solo per alcuni secondi, l'idea che fosse stato troppo rude con lui, ma ci pensò veramente per poco perché continuò a fissarlo con il suo sguardo che sembrava tutte le volte dire: ti sto giudicando.
Liam si voltò nella sua direzione e «Non li leggo io quei romanzi, ma Sophia. La Rosewall è la sua autrice preferita...»
Ah, certo, ora era decisamente più chiara la situazione ma Louis continuava comunque a non capire il motivo di tanta esaltazione da parte del ragazzo. Perciò emise un mugugno scettico al quale Liam rispose con uno sbuffo.
«Ne sono esaltato solo perché ora so cosa regalarle per il suo compleanno che è la settimana prossima e poiché non sapevo proprio cosa prenderle per farla felice ora mi sento sollevato».
Le sopracciglia di Louis si sollevarono quando «Oh ma che romanticone!» lo canzonò battendogli una spanna sulla schiena.
Liam da tanto grosso com'era in quel suo corpo da personal trainer sembrò farsi piccolo piccolo, come un ragazzino alla sua prima cotta adolescenziale. Louis scosse la testa, per quella che sembrò essere la millesima volta in quella mattina, e tutto ciò a cui seppe pensare fu: l'amore rimbecillisce la gente. Lui non aveva alcuna intenzione di ridursi in quello stato. Almeno, non di nuovo.

Risalire la discesa del dolore con lo skateboard era assolutamente impensabile, a dire il vero, risalire quel tratto di strada con qualsiasi mezzo a disposizione era da escludere. A piedi si rischiava di svenire a metà impresa, in auto bisognava pregare che la frizione sopravvivesse per miracolo così l'unica cosa da fare era imboccare una scorciatoia che fortunatamente era a pochi metri da lì. Suddetta scorciatoia poteva essere comparata senza troppi sforzi di immaginazione al peggior ghetto presente nel Bronx. Tuttavia Louis era uno che, nel bene e nel male, era cresciuto a contatto con ogni tipologia di persona quindi avere a che fare con i tipi loschi di cui pullulava quel tratto di via non lo gettava affatto in ansia. Per niente. Per questo ci impiegò meno di un minuto per percorrere l'intero vicolo senza mai guardarsi indietro - lo skateboard stretto sotto al braccio pronto ad essere usato come un improvvisato machete. Fortunatamente la metropolitana non distava molto dal negozio e di sera, con il traffico a intasare ogni incrocio, non era poi tanto male fare due passi a piedi. Il cielo era completamente nero e neppure ci pensava ad alzare il naso per controllare se ci fossero stelle, un po' perché non era da lui perdersi in quel genere di cose e poi sapeva che le luci artificiali della città le avrebbero oscurate a priori. Passo dopo passo non poté fare a meno di pensare a quanto quella giornata di lavoro fosse stata un vero inferno. Alberto che lo aveva ben inquadrato sin dall'inizio era stato alquanto spietato nel dirgli sinceramente ciò che pensava di lui.
Lavorare da Foot Locker non era roba per tutti, bisognava avere passione per quel genere di merce sportiva e soprattutto pazienza. Tanta pazienza e riuscire a fare buon viso a cattivo gioco con ogni tipo di cliente, dal più difficile da accontentare al più semplice. Louis aveva avuto quel posto perché sebbene non fosse dotato di particolare pazienza era davvero un intenditore di roba sportiva e poi, come gli ricordava Alberto per prenderlo in giro, il suo faccino e il suo bel culo attiravano sempre un sacco di gente. Proprio come quel giorno, troppo caos, troppe cose da sistemare e soprattutto... troppe ragazzine eccitate. Louis detestava quel tipo di ragazze, tra i tredici e i diciassette anni, che non facevano altro che guardarlo come se fosse la cosa più bella sulla faccia della terra. Il che sarebbe potuto sembrare un comportamento da ingrato, o comunque fuori da ogni logica ma il punto era che Louis non amava stare al centro dell'attenzione e certe occhiate non facevano altro che intensificare quel suo disagio. Se poi vogliamo dirla tutta, la verità consisteva nel fatto che non era per niente interessato ad essere il centro dell'attenzione femminile, il che è tutt'altra storia. Perché ciò che gli rendeva meno stressante il lavoro era avere una maggiore affluenza di clientela maschile al negozio. In quel caso, ad esempio, sentire gli occhi di alcuni uomini particolarmente interessati puntati sul suo fondoschiena non gli dava per niente fastidio. Ad ogni modo, intenzionato a ritornare il prima possibile a casa per potersi lavare di dosso quella giornata interminabile, alzò al massimo il volume del proprio cellulare beandosi della musica ed esultò internamente quando scorse i gradini che davano dritto sulla metropolitana.
Le luci accecanti e asettiche della metro lo accolsero attraversandogli le iridi sino a centrargli in pieno il cervello. Desiderò per alcuni minuti, il tempo che gli occhi si abituassero al cambio d'ambiente, di morire davvero.
Skrillex sparato a palla dritto nei timpani gli forniva il giusto spunto per mantenere la calma. Sempre sarcasticamente parlando, certo. Non a caso tra un'occhiata annoiata e l'altra, giocherellando distrattamente col piercing inchiodato alla lingua, senza accorgersene canticchiava quella canzone che pareva un vero e proprio inno all'istigazione omicida.
«I want to kill everybody in the world» diceva, la testa a muoversi piano assecondando in maniera lenta il ritmo sin troppo frenetico della canzone.
«Love, love... I want to eat your, want to eat your heart». Un'anziana donna che avrebbe potuto essere sua nonna, passandogli accanto trainando un carrello della spesa, lo adocchiò in malo modo borbottando qualche cosa contro i giovani e il loro stile di vita. Louis non ci badò, anche perché non poté captare nulla del suo sfogo, ma non riuscì a trattenersi dal tirare fuori la lingua esibendo il suo piercing e strappando all'anziana un'ultima occhiata di disprezzo. Sorridendo come un pixie dispettoso pensò anche che la sua sensazione, secondo cui tutti gli anziani del pianeta avessero deciso di coalizzarsi contro di lui, non fosse da escludere del tutto.
Almeno il fischio lontano del treno che stava per arrivare - menomale, non avrebbe dovuto vivere la solita attesa come succedeva ogni sera! - riuscì a farsi udire al di sopra del frastuono elettronico della musica, riportandolo coi piedi per terra. I suoi occhi scattarono immediatamente verso la coda del treno, ignorando il fatto che stesse iniziando a rallentare per fermarsi e che le altre persone iniziassero ad accalcarsi davanti alle prime porte per entrare. Un altro aspetto particolare di Louis, una sorta di mania che si trascinava dietro da quando era un ragazzino, era entrare sempre - sempre - nell'ultimo vagone del treno. Provava un insano terrore nell'immaginare un possibile incidente ferroviario ed era piuttosto convinto che se si fosse trovato dietro, negli ultimi posti a sedere, non avrebbe mai potuto riscontrare traumi mortali. Louis era decisamente particolare sotto questo punto di vista, considerando tutte le sue manie, fobie e credenze varie.
L'ultima carrozza era gremita di gente, fu già un miracolo riuscirvi ad entrare. Il costato gli doleva ancora per via di una brutta gomitata assestatogli da un energumeno che aveva occupato quasi l'intero spazio. Non si era risparmiato dallo scoccargli occhiate omicida, quel tizio doveva solo ringraziare il fatto che gli occhi non fossero in grado di uccidere. In situazioni come quella, incastrato tra una parete e le ascelle sudate dei pendolari stressati, provava un moto di genuino odio verso tutti coloro che se ne stavano comodamente seduti lontano dal puzzo di sudore e fuori dal mirino di bocche che sputacchiavano ad ogni parola articolata. Voleva morire. Di nuovo. Lui era un gran sostenitore del detto "Se la giornata inizia male non può che finire peggio". Almeno poteva fare affidamento sulla musica, la sua unica e vera compagna di vita che riusciva tutte le volte a calmarlo e... merda. No, non poteva crederci.
«Merda» imprecò tra i denti osservando affranto il cellulare spegnersi tra le sue mani per via della batteria ormai scarica. In un impeto del tutto irrazionale provò persino a riaccenderlo premendo il tastino d'accensione in maniera convulsiva, il punto era che arrendersi all'evidenza era troppo un dolore. Poi, quando non sembrava che le cose potessero peggiorare ulteriormente, una musica dal nulla richiamò l'attenzione di tutti i presenti.
«Ci voleva solo questa...» mormorò a labbra strette, ormai afflitto dalla consapevolezza di dover fare a meno della sua musica e di dover sopportare cinque fermate di metro senza alcuna distrazione. Quando la musica divenne più forte, istintivamente e non avendo altro da fare, allungò il collo per individuare la fonte del suono e un cipiglio gli comparve istantaneamente sulla fronte.

Un musicista di strada, di quelli che suonavano agli angoli delle vie o, come in quel caso sui treni, aveva appena iniziato a pizzicare le corde del suo strumento stretto in abiti trasandati e consunti. Non era solo, poiché accompagnato da una ragazza esile con a seguito una specie di amplificatore che permetteva alla musica di giungere all'orecchio di tutti. Quei due ragazzi erano così splendidi nella loro diversità che ignorarli era impossibile. Il ragazzo aveva la pelle che pareva essere stata colorata dalla luce di mille soli, gli occhi dal taglio allungato e i capelli così corvini da ricordare il cielo di notte, quello senza luna né stelle. La ragazza, invece, era come fosse la sua antitesi che nonostante le mille differenze sembrava non riuscire a staccarsi da lui, proprio come un magnete calamitato dal suo polo opposto. La chioma quasi albina, gli occhi del colore del cielo in primavera e la pelle dello stesso colore della madreperla rosea. Era uno spettacolo osservarli assieme, ascoltare la loro musica tradizionale che ricordava un po' le comunità gitane, quei posti lontani e sconosciuti ricchi di storia e di cultura. Tutti su quel vagone sembrarono essere finiti nell'incanto che esercitava quella coppia strana, nessuno escluso, perfino lui. Louis non era un tipo che di solito si osservava intorno, che guardava i volti dei passeggeri per immaginare come fossero le loro vite, quali fossero i loro interessi, a cosa stessero pensando; lui tendeva sempre a rinchiudersi in se stesso quando era in circostanze come quella, gli auricolari nelle orecchie e gli occhi bassi, puntati sulle sue stesse scarpe o sul display del cellulare mentre tentava di sbloccare un livello del suo gioco preferito. In quel momento però non poté davvero evitarsi di lasciare vagare lo sguardo tra i passeggeri, forse istigato proprio dalla magia di quella musica caratteristica. Scorse una ragazza totalmente immersa nella lettura delle dispense che teneva sulle ginocchia, i capelli raccolti in una crocchia scomposta, a Louis sembrò davvero stanca e non provò per niente invidia per la sua vita universitaria.
Un bambino, invece, seduto sulle ginocchia del suo papà si divertiva ad abbassare e alzare la zip della sua giacca (un sorriso inconscio apparve sul suo viso ma neppure se ne rese conto quando il bambino rise sollecitato dal solletico del papà). E fu proprio quando fece per spostare nuovamente lo sguardo che intrecciò quello di un ragazzo seduto poco distante da lui, che lo stava fissando come se avesse un enorme insegna luminosa piazzata sopra alla testa. La prima cosa che Louis fece, come un bambino imbarazzato, fu voltare il capo dall'altra parte; e lo fece con così tanta forza e velocità da rischiare persino di spezzarsi l'osso del collo. Subito dopo, rendendosi conto del suo gesto puerile, si diede dello stupido da solo ripetendoselo mentalmente come se stesse canticchiando una sorta di nenia. Probabilmente quello sconosciuto non stava neppure fissando lui ma la tipa bionda tutte gambe accanto a lui, o magari semplicemente stava sognando ad occhi aperti. Incoraggiato dalla voglia di dimostrare a se stesso di non essere uno che si lasciava intimidire in quel modo, Louis di soppiatto riportò con cautela, estrema cautela, l'attenzione sul ragazzo. Sospirò di sollievo nello scoprire che se ne stava con il capo chino, sembrava stesse leggendo qualcosa, le gambe - incredibilmente lunghe - erano accavallate elegantemente mentre le dita anellate erano ben strette attorno ad una sorta di quaderno. Doveva avere i capelli molto lunghi poiché li teneva legati sopra alla testa in quello che sembrava un perfetto chignon da ballerina. Qualcosa nello stomaco di Louis, a quella constatazione, fece una capriola così come anche il pomo d'Adamo che balzò nella gola quando quello stesso sconosciuto piegò il capo di lato permettendogli di osservargli meglio il viso. Si stava mordendo un labbro, gli occhi assottigliati e un cipiglio sulla fronte, sembrava estremamente concentrato e il modo in cui la mano destra picchiettava la penna sul foglio ne era un chiaro segnale. Louis non si era neppure accorto di osservarlo con le labbra leggermente schiuse come se lo stupore si fosse impossessato totalmente di lui. Per alcuni attimi, pochissimi secondi - non gli andava di ammetterlo - lo accarezzò la curiosità di scoprire che cosa avesse di tanto interessante da scrivere in quel suo quaderno o diario. Gli sembrava così tormentato a tratti, come bloccato in un limbo da cui solo scrivendo, buttando giù delle parole potesse riuscire a liberarsi. Quando il ragazzo finalmente scrisse qualcosa, sembrò annotare qualche parole frettolosa, Louis vide le sue labbra carnose e rosse spiccare come rubini mentre si piegavano in un sorriso soddisfatto. Solo quando ebbe spostato il proprio sguardo sul tabellone digitale che segnalava la fermata successiva fu piuttosto convinto che quel ragazzo lo stesse guardando. Sentiva quegli occhi dal colore indecifrabile, perché troppo lontani, puntati dritto sulla sua pelle. Un insistente formicolio nelle ossa lo incitava a voltarsi per confermare che ciò che sentiva fosse vero ma non lo fece. Restò immobile e decise tacitamente che si trattava solo di una sensazione.
Niente di più.

Da quel giorno in poi incontrare sul treno lo strambo, così lo aveva rinominato, divenne una certezza. Louis saliva nell'ultimo vagone, lo skateboard sempre sotto al braccio, restava in piedi accanto alle porte e si guardava in giro fino a che non lo avesse intercettato. E lo vedeva, tutte le volte, sempre seduto comodamente con in grembo quella sorta di diario su cui annotava ininterrottamente qualsiasi cosa di cui lui non poteva neppure immaginare la natura. Non che avesse contato le fermate e calcolato il tempo che condividevano entrambi su quel treno, ma Louis con i giorni aveva capito che lo strambo, quando lui saliva, era già lì e che scendeva dopo sole tre fermate. Perché avesse deciso di dargli quell'epiteto era piuttosto semplice. Lo strambo a quanto sembrava aveva un'adorazione sfrenata per ogni tipo di camicia dal dubbio gusto (non che lui potesse davvero giudicarlo poiché quella sera stava indossando una felpa azzurra con dei piccolissimi fenicotteri rosa). A dire il vero sembrava apprezzare anche un genere di abbinamenti per niente convenzionali che, tuttavia, indossati da lui, acquisivano un fascino esagerato. Louis lo fissava e tutto ciò a cui riusciva a pensare era a quanto fosse diverso da lui, sia per lo stile che nel modo di stare tra la gente.

Il quinto giorno lo vide indossare un borsalino nero, dal taglio classico, dal cui lato spuntava una piuma. Aveva addosso una giacca scura sotto alla quale spiccava una t-shirt bianca casual. Ai piedi aveva degli stivaletti a punta che fecero arricciare il naso a Louis che, tuttavia, non accennava a voler smettere di fissarlo. Con un labbro stretto tra i denti si scoprì a desiderare ardentemente di poter osservarlo in tutta la sua altezza, voleva davvero guardare meglio le sue gambe dall'apparenza lunghissime mentre erano fasciate da quei jeans scuri e strettissimi che indossava. Solo per pochissimi attimi Louis riusciva a non guardarlo e si trattava sempre di quegli istanti in cui, col cuore in gola, temeva che l'altro stesse per alzare lo sguardo dal suo quaderno per scoprirlo a fissare. Si sentiva come una sorta di maniaco, un alienato con lo sguardo perso chissà in quale altro universo. Il ragazzo scriveva ininterrottamente, la mano destra a scivolare fluida sulla superficie candida del foglio, a fermarsi solo quando aveva bisogno di riordinare le idee e Louis ardeva, letteralmente, dalla voglia di impicciarsi dei suoi affari.

Non era un tipo che amava osservarsi intorno e fissare chi lo circondava immaginando cosa pensasse o come fosse la sua vita, eppure, il settimo giorno, si accorse di non fare altro che guardare quel ragazzo sconosciuto e immaginare nella sua testa a come potesse essere la sua vita, dove abitasse e che cosa facesse per vivere. Si sentiva completamente rapito, affascinato dalla sua immagine, totalmente risucchiato dal vortice dei suoi gesti, anche i più piccoli: il modo in cui sollevava una gamba per accavallarla sull'altra, la delicatezza nel piegare il capo di lato o il movimento lento e sensuale della lingua quando inumidiva un labbro, persino il modo in cui le dita stringevano la penna riusciva ad esercitare su di lui un'arcana attrazione. Era proprio andato e, almeno a se stesso poteva confessarlo, quel ragazzo era ormai diventato il cardine dei suoi pensieri.

Dopo una settimana durante la quale Louis non aveva fatto altro che convincersi di non esserne davvero ossessionato, ripetendosi le più fantasiose scuse, dovette mandare giù un boccone amaro al gusto di delusione nello scoprire che lo strambo quella sera non era sul treno. Salì come tutte le volte, dopo essersi lasciato alle spalle una giornata intensa di lavoro, e si appoggiò alle porte del vagone, sebbene sapesse quanto fosse sbagliato, sondando per un'ultima volta la carrozza. Non vi era molta gente, stranamente, il che gli faceva apparire tutto così inconsueto come se quello che stava vivendo fosse solo un sogno e non la realtà.
C'erano anche svariate sedute libere ma lui preferì restarsene nel suo angolo così da poter passare in rassegna, per un'ultima volta, ogni volto presente. Quello che cercava, era definitivo, non c'era. Mordendosi con veemenza la guancia tirò fuori il cellulare, gli auricolari già al loro posto, e non ci mise molto la musica a sanare la sua strana insofferenza, tenendogli compagnia nell'attesa di giungere il prima possibile a casa. Come se non bastasse era anche un sacco affamato, lo stomaco non tardava mai a ricordagli quanto avesse bisogno di cibo contraendosi in spasmi a volte dolorosi e quasi sempre rumorosi (fortuna che il rumore delle rotaie riuscisse a coprire quel suono molesto che era decisamente imbarazzante). Quando il treno iniziò a rallentare la sua corsa per la fermata successiva, istintivamente si allontanò dalle porte automatiche che di lì a poco si sarebbero aperte per lasciare entrare i nuovi passeggeri. Con una smorfia annoiata sul volto fissò gli occhi sulla piattaforma mobile sotto di lui, una mano in tasca e l'altra a reggere lo skateboard poggiato al suo fianco che gli arrivava quasi alla vita; quando osservò i piedi dei nuovi avventori riempire in poco tempo quello stesso spazio prima di diramarsi alla ricerca di un posto vuoto dove sedersi, lo stomaco sussultò di nuovo ma stavolta non per la fame. Tra quei piedi due in particolare gli fecero sgranare gli occhi in un irrazionale sensazione di ansia. Perché era in ansia? Per niente motivato a darsi una risposta seguì quelle caviglie strette infilate in un paio di stivaletti che avrebbe riconosciuto tra mille attraverso il vagone alla sua destra. Solo quando sentì inconsciamente di poter alzare lo sguardo riuscì a farlo, posandolo sull'ampia schiena di quello che subito riconobbe essere nientepopodimeno che lo strambo. Voleva morire. Neppure una di quelle ragazzine che lui tanto detestava, quelle che gli pendevano dalle labbra mentre era al negozio, si sarebbe sentita come lui in quel momento. Ne era certo e la consapevolezza lo faceva sentire in collera con se stesso. Il ragazzo camminava lentamente, sembrava stesse sfilando, avvolto in un cappotto lungo dal tessuto blu navy sotto al quale riusciva a vedere dei jeans neri strappati. Aveva una borsa ampia di cuoio a tracolla e il solito quaderno in una mano. Era altissimo, sicuro due spanne in più rispetto a lui, non si era sbagliato nell'immaginarlo in quel modo e Louis aveva caldo, tanto ma tanto caldo. Avrebbe voluto che qualcuno gli gettasse addosso una secchiata di acqua ghiacciata per spegnere le fiamme che sembravano averlo avvolto da capo a piedi; quello che fece, però, per darsi un po' di sollievo, fu levarsi la felpa e restare in canottiera. Il fatto che si stesse domandando perché fosse salito una fermata dopo la sua faceva di lui una sorta di stalker? Louis non poté davvero fare a meno di sentirsi un maniaco il che gli procurava frustrazione perché non gli era mai capitato prima di allora di sentirsi in tale modo nei confronti di qualcuno. Era stato sempre un ragazzo alla mano che se voleva divertirsi usciva, andava in un qualche pub e rimorchiava senza troppi giri di parola, poi finiva lì, senza fissazioni né niente del genere. Ovviamente non era sempre stato così, c'era stata una parentesi della sua vita che aveva ben chiuso e nel quale preferiva non sbirciare per non rivangare certe cose del suo passato ma ad ogni modo perché in quel momento ci stava pensando? Si odiava così tanto. Scrollò la testa come per gettar via tutta quella serie di pensieri strani e si impose di concentrarsi esclusivamente sulla musica di Skrillex. Fu difficile poiché, avrebbe scommesso sul suo skateboard - il che era significativo visto che ci teneva più che ad un suo arto - quel ragazzo stava sicuramente osservandolo. Lo sentiva, lo percepiva come il solletico del vento sulla pelle sudata, e quella consapevolezza lo tenne bloccato a fissare un punto davanti a sé come se fosse un automa. Pareva essere in uno stato catatonico. Voleva ma non riusciva a voltare il capo sebbene morisse dalla voglia di confermare quella sua impressione; poi successe che in un impeto di baldanza riuscì a posare il suo sguardo sull'altro, il cuore a minacciarlo in tutte le lingue di implodergli nel petto. Louis desiderò morire, di nuovo, perché quel ragazzo era dolorosamente splendido e non lo stava guardando come invece aveva creduto (e sperato?).
Davvero non poté fare nulla per impedirsi di formulare tale considerazione, l'evidenza era innegabile. I capelli appena ondulati, lunghi, tenuti fermi da una bandana attorno alla testa, alcune ciocche a sfuggire ribelli, e quello spettro di un sorriso a incurvargli in maniera perenne le labbra. Erano di uno splendido colore rosso brillante, così intenso che per alcuni istanti Louis pensò potesse avere del rossetto. Scrollò con vigore il capo, per allontanare quel folle pensiero ma non ebbe neppure il tempo di riformulare altre idee che l'immagine di quelle stesse labbra strette attorno al suo membro, ritto e duro, lo costrinse a sistemarsi il cavallo dei jeans. Si morse forte un labbro e, dannazione, era già finito a fantasticare in quella maniera senza neanche rendersene conto. In un altro tipo di circostanza Louis si sarebbe semplicemente fatto avanti, senza troppi problemi e probabilmente subito gli avrebbe chiesto di prendere qualcosa da bere assieme, o di appartarsi direttamente. Si trattava pur sempre di un ragazzo con tanti ormoni da tenere a bada, non era affatto da biasimare, no? Poi c'era da capire anche se lo strambo fosse o meno interessato a quel genere di attenzioni, se giocasse o meno nella sua squadra ma per questo aveva ottime sensazioni a riguardo. Louis era uno che si sbagliava pochissime volte quando si trattava di scovare possibili prede. Ad ogni modo quando riportò lo sguardo sull'altro ragazzo lo trovò chino su di un laptop, le dita che si muovevano freneticamente sui tasti, il quaderno che di solito teneva in grembo ora riposava placido sulla borsa poggiata ai suoi piedi. Da lì non riusciva a vedergli bene il viso poiché nascosto dietro al pc ma le ginocchia unite e la testa incassata nelle spalle, inspiegabilmente, seppero come stringergli un nodo alla gola. Non sapeva niente di niente di quel ragazzo ma in quelle sere di lunga osservazione Louis sembrava aver assimilato di lui informazioni di cui, purtroppo, non riusciva a capirne la lingua, come se fossero state scritte in una lingua sconosciuta o con un inchiostro invisibile e lui non avesse dentro di sé la lucina adatta per poterle leggere. Un punto in più alla sua insofferenza.
Louis era a tal punto rapito dalle sue considerazioni da essersi addirittura dimenticato che di lì a poco lo strambo sarebbe sceso lasciandolo, come tutte le sere, da solo. Quando le porte si aprirono, tuttavia, ci fu un attimo di panico generale. In un batter d'occhio un abbondante gruppo di persone si accalcò intasando l'uscita del vagone e riempiendolo completamente. Qualcuno urlò a gran voce "Fateci prima scendere!", altri semplicemente si limitarono a imprecare in maniera a dir poco colorita inveendo contro la mancata educazione di determinati individui. Louis non sembrava essere stato l'unico a dimenticare la fermata perché anche lo strambo non pareva passarsela bene visto che si era ritrovato incastrato nel flusso di persone che gli impediva di lasciare il treno. Lo aveva visto armeggiare in preda al panico con il suo laptop tra le braccia, sistemare alla meglio le sue cose prima di provare a sfidare la folla e Louis non se n'era accorto ma stava fissando la scena con un ghigno divertito. Quando lo perse definitivamente di vista, sembrava fosse stato inghiottito vivo, cercandolo nell'imbroglio di corpi e volti scorse qualcosa che per lui sarebbe diventato di lì a qualche ora gioia e dolore.
«No, non ce la posso fare» pensò ad alta voce fregandosene di passare per un pazzo. Tra i piedi degli ultimi arrivati che ancora saturavano lo spazio antistante alle porte, che si erano appena richiuse, giaceva incustodito un quaderno.
Quel quaderno.

~

«Immagino gli sia sfuggito dalla borsa mentre cercava di liberarsi per scendere dal treno, lo sai che sono bestie quelli che fanno di tutto pur di non perdere la corsa». Louis aveva raccontato a Liam dello strambo e della sua strana fissazione che gli faceva sperare di poterlo incrociare sul treno ogni sera, quando ritornava a casa. Liam non lo aveva preso in giro, al contrario di lui che sicuramente si sarebbe preso gioco dell'amico per il resto della sua vita. A Louis, Liam piaceva proprio per questo, per la sua maturità nel riuscire ad ascoltare e consigliare da vero amico cosa che a lui non riusciva affatto. Era davvero spontaneo parlare e confidarsi con quel ragazzo, sebbene Louis non fosse una persona particolarmente predisposta ad aprirsi agli altri.
Liam quella mattina stava sistemando alcune cose da portare nel suo reparto, erano appena le otto e mancava ancora un'ora all'apertura della Foot Locker, mentre ascoltava Louis che esponeva in maniera leggermente isterica ciò che gli era capitato la sera prima. Annuì in direzione di Louis e apparve pensieroso, più del dovuto.
«Che cosa ne farai?» domandò riferendosi al quaderno, sistemando delle felpe della Nike su di uno stand.
Lui alzò le spalle e rispose: «Glielo restituisco, no? Cosa dovrei farmene?»
Ed è vero, Louis aveva intenzione di ridarglielo il prima possibile, quella sera stessa. Non sapeva ancora in che modo avrebbe sconfitto l'impaccio che l'altro gli procura - e che di certo non apparteneva alla sua persona - ma in un modo o nell'altro ci sarebbe riuscito. Si fosse spaccato in due il suo skateboard. Ouch. «Idiota, volevo sapere se lo leggerai prima di ridarglielo». Liam fece una pausa, parve pensare a qualcosa dall'apparenza ovvia prima di aggiungere: «Lo hai già letto, non è così?»
A quel punto a Louis gli si strinse un tremendo nodo allo stomaco. In realtà no, non lo aveva neppure aperto. Nel momento in cui aveva raccolto quel quaderno dalla copertina di cuoio, sembrava essere più un diario ora che aveva avuto modo di osservarlo da vicino e tra le sue mani, l'unica cosa che era riuscito a fare era stata infilarlo nello zaino. Nient'altro.
Piuttosto che rispondere alla domanda, dal gusto retorico, del suo amico, cacciò dallo zaino il badge con su il suo nome scritto in grassetto e lo infilò al collo, come faceva tutte le mattine prima di aprire le porte ai clienti. Detestava l'idea che chiunque potesse conoscere il suo nome con così tanta facilità, poiché era alla mercé di tutti su quel dannato cartellino plastificato, tuttavia dopo due anni aveva imparato a conviverci (sebbene a volte gli capitasse ancora di sorprendersi nel sentirsi chiamare per nome da qualche sconosciuto).
«Non mi dire...» mormorò Liam, un sorriso storto che fece innervosire Louis.
«Hai capito bene» annuì stizzito quest'ultimo, «non l'ho neanche aperto se ti interessa saperlo. Mi sembra di...» Louis si strinse nelle spalle, non sapeva bene che sentimenti provasse a riguardo, perciò fu con una smorfia che parlò di nuovo. «Se lo leggo è come se gli mancassi di rispetto, insomma, che diritto ho di farmi gli affari suoi? E poi io al posto suo non vorrei che qualcuno mettesse mano nelle mie cose...»
Era tremendamente vero ciò che disse, lo pensava sul serio, eppure, nel profondo della sua mente, era ben a conoscenza della volontà scissa che lo teneva in pugno facendogli desiderare di sbirciare tra quelle pagine e al contempo di tenersi il più lontano possibile da esse. Quel desiderio spaccato a metà tra il cedere e il resistere lo faceva sentire dolorosamente frustrato. Non sapeva davvero perché stesse comportandosi in quel modo, Louis era piuttosto sicuro che in un altro genere di situazione sarebbe già stato al corrente dell'intero contenuto di quel diario, invece ora... lo fissava come se fosse una reliquia sacra, qualcosa da non profanare nemmeno col pensiero. Lo aveva tirato fuori dallo zaino e sembrava essere finito in uno stato di trance indotto dalla sola osservazione di quella dannata copertina, le dita bloccate e incapaci di muoversi.
«Ma che cazzo...» si lasciò sfuggire a mezza voce, sollecitato dai suoi stessi pensieri mentre fissava quel diario stretto tra le mani. Liam se ne accorse e «Appunto, nemmeno lo conosci, di che rispetto stai parlando amico?» domandò indicando col mento il diario.
Per alcuni istanti l'idea che Liam probabilmente potesse essere più curioso di lui riguardo al contenuto di quelle pagine gli balenò nella mente facendogli arricciare appena il naso.
«Pare tu sia più curioso di me, calmati» disse, nella voce un pizzico di malcelato fastidio.
Liam rise sonoramente. «Magari è uno psicopatico, un serial killer e in quel quaderno tiene appuntati i nomi di tutte le sue vittime, non muori dalla voglia di scoprirlo?».
Louis alzò entrambe le sopracciglia, sul volto uno spesso velo di scetticismo. «Ricordami di non prestarti mai più uno dei miei libri di criminologia, ti prego» disse, combattendo l'istinto di ridergli in faccia. Ciò che fece, subito dopo aver controllato l'orologio da polso, fu avviarsi al suo reparto per aprire le porte e accendere lo stereo prima che arrivasse Alberto a rifilare una ramanzina ad entrambi. Stavano decisamente perdendo tempo.
«Ehi dove vai?!» lo richiamò a gran voce Liam, evidentemente deluso dal non essere riuscito a convincerlo. Louis non si fermò e «Se te ne fossi dimenticato tra poco arriva il boss e ancora non abbiamo aperto» gli disse.
Con poche falcate raggiunse il suo zaino che aprì per lasciarvi scivolare dentro il diario. Solo quando la musica iniziò a saturare ogni reparto grazie alla filodiffusione, pensò fosse giunto il momento di aprire le porte alla clientela; così mentre i primi due avventori facevano il loro ingresso puntando verso il reparto attrezzi, Liam urlò: «Magari è peggio di Hannibal Lecter!»
L'affermazione sfumò in una sonora risata a cui Louis, senza neppure voltarsi, rispose alzando entrambi i medi in direzione del collega.
Sulle labbra, un sorriso rassegnato.

C'era una sottilissima linea che separava il raziocinio dell'uomo dall'universo mentale in cui ogni tipo di barbarie avveniva senza ripensamenti e premeditazioni alcuni. Un passo, un soffio, un semplice e leggero movimento e quella parete crollava così da confondere, mischiare, fondere con estrema e spietata naturalezza ciò che era giusto con ciò che invece era profondamente sbagliato. Louis era piuttosto sicuro, e le sue letture a riguardo glielo avevano confermato più volte, che il suo dark side fosse particolarmente incline a prendere il sopravvento sulla ragione. Per questo dovette inspirare ed espirare più volte quando l'ennesimo vecchietto diabolico di turno decise di tagliargli la strada sbucando a tradimento, proprio mentre era intento a compiere uno dei suoi tricks da fanatico dello skatebording. E d'accordo, la strada non era propriamente il genere di posto dove fare certe cose su quel mezzo, c'erano delle piste apposite per quello, ma andiamo, non era neppure fatta per nonnetti che si divertivano a torturare psicologicamente i giovani con la loro anzianità.
Ad incrementare il suo malumore, oltre allo scampato incidente di poco prima, si aggiunse l'assenza dello strambo nell'ultimo vagone. Louis aveva voglia di urlare. Davvero. Non solo perché aveva trascorso la giornata a sopportare senza sosta le sevizie psicologiche di Liam ("Aprilo, aprilo e leggilo. Non sei curioso di scoprire cosa nasconde dietro quella facciata che ti fa impazzire?") ma anche perché lo strambo, non presentandosi a quell'appuntamento - be', sapere di incontrarlo tutte le sere era un po' un appuntamento fisso, no? - aveva mandato a farsi benedire ogni suo buon proposito. Louis aveva impiegato una notte e un giorno intero per farsi coraggio, pensando dettagliatamente al momento in cui sarebbe riuscito ad avvicinarlo e avrebbe potuto ascoltare, così, la sua voce. La sua voce! Diamine, moriva dalla voglia di dare una voce a quel corpo che lo aveva ormai mandato in tilt dal primo giorno in cui lo aveva visto. E magari un nome, perché no, gli sarebbe davvero piaciuto dare anche un nome a quel volto. Si morse un labbro, e forte, quando le porte si aprirono alla prima fermata da quando era salito a bordo, ricordando ciò che era successo l'ultima volta che lo aveva visto entrare.
Aveva persino aspettato che entrassero tutti i nuovi passeggeri e li aveva guardati in faccia, uno ad uno, ma di quello sconosciuto neppure l'ombra dei suoi stivaletti tremendi. Tuttavia non si diede per vinto, Louis non era di certo uno che si arrendeva facilmente, perciò sapendo di avere a disposizione il tempo di altre due fermate iniziò a percorrere il treno, vagone per vagone, sondando tutti gli spazi con lo sguardo assottigliato degno di un rapace affamato. Il diario in una mano - a pizzicargli la pelle del palmo come se gli sussurrasse lascivamente il suo bisogno di essere accarezzato dai suoi occhi - e lo skateboard sotto al braccio. Dopo aver passato in rassegna l'intero treno, Louis dovette arrendersi all'evidenza dei fatti: lo sconosciuto non era lì quella sera e non ci sarebbe stato neppure quella dopo, l'altra né l'altra ancora.

~

Trascorsero svariati giorni, una settimana volò via con una tale rapidità che Louis dovette fare fatica a credere di non essersi immaginato tutto. Arrivò addirittura a sospettare che quel ragazzo dal volto quasi androgino, le labbra piene e lo sguardo perduto nel suo universo, non fosse mai esistito per davvero ma che la sua folle disperazione di creare l'immagine del suo uomo perfetto gli avesse giocato un brutto scherzo. Era così esasperato che finì con l'interrogare anche Liam, ogni sacrosanto giorno al lavoro, chiedendogli se fosse possibile che un bisogno, un desiderio sentito in maniera viscerale potesse dare vita ad un qualcosa che nella realtà di tutti i giorni non esisteva; Louis era ormai convinto di aver proiettato l'immagine di quel ragazzo direttamente dal subconscio, che lo strambo altro non fosse che un ologramma che era ormai svanito nel nulla così come era apparso.
«Tu leggi troppi thriller, troppa roba strana e finisci col fare pensieri inquietanti». Così gli aveva detto Liam per tranquillizzarlo, se quello potesse essere considerato un modo sano e adeguato di tranquillizzare la gente, certo. Ad ogni modo gli aveva fatto presente anche che «Il quaderno è vero, esiste, vedi?» toccandolo sotto ai suoi occhi, tastandolo, aveva pure tentato di aprirlo ma Louis glielo aveva strappato prontamente via prima che potesse riuscirci. «Non puoi essertelo immaginato, anche perché non dovrei neppure vederlo io questo diario, ti pare? Vedrai che lo incontrerai di nuovo, magari è andato fuori città per un po', poi ritornerà».
Quella fu l'ennesima sera in cui Louis ritornò a casa sentendosi frustrato da tutta quella situazione. Gli dava persino fastidio il fatto che desse tanta importanza a quel tipo sconosciuto e al suo diario, che impiegasse la maggior parte del tempo a convincersi che aprirlo e leggerlo non fosse affatto giusto. Al diavolo! Lanciò quel dannato diario sul tavolo della cucina e affondò la testa tra le braccia, la faccia ben schiacciata come per cercare di morire asfissiato o semplicemente per annullare la luce che gli infastidiva le palpebre chiuse. Il televisore in sottofondo, nel salotto, continuava a parlottare e a fornire un efficace distrazione se solo Louis non fosse stato così stanco da non voler pensare a nulla, così stanco da non avere neppure voglia di cenare. Si era preparato un tè che era ormai diventato freddo, ne aveva bevuto solo tre sorsi piccolissimi. Fece per alzarsi e nello stesso attimo in cui recuperava la tazza per infilarla nel lavello sotto al getto d'acqua, un canglore inaspettato lo fece trasalire. Gli sembrò come se un elefante avesse provato a buttar giù la porta di casa. Una risata che avrebbe riconosciuto tra mille perforò il silenzio appena venutosi a creare, accompagnata da una serie di risolini che strapparono a Louis una smorfia di anticipazione.
Il rumore di chiavi che grattavano nella serratura e «Che ci fai qui?» disse e, davvero, non poté fare a meno di apparire infastidito dalla comparsa dell'altro ragazzo in evidente compagnia.
Niall Horan, il suo coinquilino dal ciuffo biondo ossigenato sulla fronte e la bocca oscenamente spalancata in un sorriso che pareva immortale, fece spallucce e con estrema ovvietà disse: «Ci vivo?»
Louis scosse la testa, rassegnato.
«Purtroppo lo so. Volevo sapere perché sei qui se stamattina mi hai detto che restavi a dormire fuori».
«Hai ragione ma ci sono stati alcuni contrattempi e abbiamo fatto un cambio di programma». Lo disse gesticolando in direzione della ragazza al suo fianco.
«Ciao Louis!» disse quest'ultima, i capelli bruni e lucenti ad incorniciarle deliziosamente il viso. Louis la odiava un po' perché era di una bellezza disumana.
Sorrise gentile e «Ciao Ella» ricambiò il saluto, cercando il più possibile di non apparire eccessivamente insopportabile. Niall nel frattempo era sparito, Louis non aveva alcun dubbio sul fatto che si fosse precipitato a prendere delle birre dal frigo. Infatti... «Birretta?»
Non era nei suoi piani per la serata, visto che stava andando a mettersi al letto ma come dire di no ad una birra fresca? Magari scambiare quattro chiacchiere con i suoi amici lo avrebbe aiutato a distrarsi.

«Come procede la cotta per il tizio del treno?»
Quando Niall gli rivolse quella domanda per Louis fu impossibile impedire alla birra di prendere un percorso differente nella sua gola sino a strozzarlo. Aveva le lacrime agli occhi e parlare gli era difficile poiché impegnato a tossire come un ossesso.
Niall nel frattempo prese a sghignazzare di gusto mentre Eleanor, la sua ragazza (Louis si domandava come facesse a sopportarlo) gli batteva dei gentili colpi tra le scapole per placare la sua tosse, facendolo sentire un bambino di sei anni.
«Non ho nessuna cotta e quel tizio è sparito, non so che fine abbia fatto» riuscì a dire mentre la ragazza gli sorrideva materna.
Niall sollevò teatralmente un sopracciglio a quell'affermazione. «Le bugie hanno le gambe corte Tommo, e tu sei un nano. Ed entrambi non crediamo nel caso».
Louis aveva voglia di colpirlo.
«Ehi!» strillò il suo coinquilino quando il cuscino del divano gli planò sulla faccia. «Stavi per farmi rovesciare addosso tutta la birra, stronzo». Ben ti sta, pensò lui sogghignando.

Chiacchierarono un po', tra un sorso di birra e qualche schifezza raccattata da Niall, dal market sotto casa. Eleanor era prossima alla laurea, a quanto pareva le mancavano pochi altri esami per giungere finalmente alla fine del suo percorso universitario. Il suo ragazzo la ascoltava con un enorme sorriso inebetito, mentre Louis osservava entrambi con un'espressione di finto disgusto mentre dentro moriva dalla voglia di trovare qualcuno con cui condividere attimi come quello. A volte pensava a Niall e Liam fidanzati da così tanto tempo, alle loro relazioni stabili e felici e un po' si sentiva sbagliato, corrotto come se avesse qualcosa in lui che non andasse bene, qualcosa che gli impedisse di trovare un destino analogo a quello dei suoi due migliori amici. Ogni volta che la tristezza lo attanagliava, come in quel momento, cercava di fare di tutto per dissimularla, magari con una delle sue battutine sarcastiche o semplicemente ricordando ai due amici quanto fosse bello godere della propria vita da single, tra scopate occasionali senza alcun tipo di impegni sentimentali. Cazzate.

«Lou ne dobbiamo assolutamente parlare!»
Eleanor spuntò dalla cucina con le guance arrossate, gli occhioni da cerbiatta spalancati e le labbra all'insù. Louis e Niall si voltarono all'unisono verso di lei con uno scatto del collo identico. Una scena dal sapore raccapricciante.
«Di che cosa dovremmo parla-CHE COSA HAI FATTO?!»
Niall al suo fianco balzò per lo spavento, gli occhi grandi e blu spalancati a saettare da Louis alla sua ragazza.
«Cosa hai fatto El?» domandò anche il ragazzo biondo che sembrava totalmente incapace di comprendere cosa stesse accadendo.
Louis parve volare o balzare come un felino perché in una mossa sola fu di fronte alla ragazza. Eleanor lo guardava senza capire, tra le braccia l'ultima cosa che Louis avrebbe voluto vederle stringere. «Non dirmi che lo hai letto...»
Eleanor doveva aver trovato il diario dello strambo sul tavolo della cucina dove lui lo aveva lasciato e dannata curiosità, sicuramente, lo aveva aperto e letto. Di quel diario ne aveva parlato solo a Liam e per alcuni istanti si sentì in colpa per non aver condiviso quel dettaglio anche con Niall. Il punto, però, era che Louis conosceva bene il suo coinquilino così bene da sapere che se si fosse intestardito nel volerlo leggere sarebbe stato capace di mettere sottosopra l'intera casa, in sua assenza, pur di scovarlo, così da potergli dare una sbirciata. Per questo Louis aveva omesso il dettaglio "diario". Per questo Louis in quel preciso istante si sentì morire, non sapeva neppure che emozione stesse prevalendo dentro di lui, si sentiva soffocare da un'ansia irrazionale a cui non voleva neppure dare spiegazione.
«Calmati Louis, non l'ho mica fatto a pezzi» si difese la ragazza, cercando di tranquillizzarlo. «Ero a prendere un bicchiere d'acqua, l'ho visto e niente, l'ho aperto a caso, tutto qui. Mi dispiace...»
Gli esercizi di respirazione per provare a tranquillizzarsi erano tutta una stronzata, più inspirava ed espirava e più l'ansia aumentava. Non gli piaceva vedere Eleanor così dispiaciuta e non era certo di voler ascoltare la risposta ma la domanda la porse lo stesso, anche per tranquillizzare la ragazza. «Di cosa vuoi parlare quindi?» domandò con un sorriso stirato che gli costò parecchio sforzo emotivo.
«Del fatto che anche io ho un quaderno dove appunto tutte le frasi dei libri che leggo ed è estremamente carino, non trovi?»
Ah. Sì, be' certo.
Quindi Louis stava per scoprire, grazie ad Eleanor, cosa ci fosse scritto in quel diario. Non per sembrare ripetitivi ma, davvero, voleva morire. In un impeto di lucidità decise che la cosa più giusta da fare fosse assecondare la convinzione della ragazza. Indossò la maschera più convincente del suo repertorio e inscenò la farsa.
«Be' sì, a dire il vero ho iniziato da poco» farfugliò, con un rapido gesto sfilò via dalle braccia di Eleanor il diario. Se lo strinse al petto come una scolaretta e si odiò così tanto.
«Potevi dirmi almeno che sei un fan della Rosewall!» fece Eleanor, con così tanto entusiasmo nel tono della voce che Louis non poté fare a meno di deglutire. Lui... fan di chi?
Era certo di averlo già sentito quel nome ma in quel momento non gli riusciva affatto facile concentrarsi e fare mente locale così da ricordare a chi stesse riferendosi l'amica, soprattutto per il ghigno apparso sul volto di Niall che non lasciava presagire nulla di buono e che lo distraeva decisamente.
Fortuna che la ragazza parlò di nuovo. «Se avessi saputo che anche tu avevi letto So che ci sarai ti avrei chiesto di commentarlo assieme! Cosa ne pensi del finale? Per me Sophie ha fatto bene a scegliere di stare con Ethan, Josh mi ha irritata dal primo capitolo». Louis aveva decisamente bisogno di riordinare le idee. Troppe informazioni tutte in una volta sola, non si era preparato psicologicamente a tutto quello e ora sentiva la testa girargli come una trottola impazzita. Aveva bisogno di rinchiudersi nella sua camera e pensare. Da solo. Lontano da tutto e tutti, il prima possibile.
«Mi fa male la testa, mi gira un casino» furono le uniche cose che gli uscirono di bocca, dopo un infinito tempo speso da Eleanor e Niall a guardarlo con espressioni preoccupate. Fortunatamente l'amico non fece domande indiscrete come era solito fare. Ringraziò tacitamente un Dio o chi per lui gli avesse evitato quell'infausto destino (a dirla tutta, Louis non sapeva in che maniera se ne sarebbe uscito se Niall lo avesse tartassato di domande o frecciatine per prenderlo in giro). Una cosa però il suo coinquilino la disse e fu in grado di metterlo in ansia più di qualsiasi altra battutina o scherzetto.
«Amico vai a letto, non hai una bella cera. Domani ne parliamo».
Domani ne parliamo? Assolutamente no.
L'indomani con la scusa di non poter ritardare al lavoro sarebbe uscito di casa all'alba.

Annuendo, sebbene non avesse affatto voglia di riparlarne il giorno dopo, si scusò con entrambi i ragazzi prima di scivolare nel buio della sua camera.

•••••

Ciao di nuovo e grazie per aver letto, davvero.
A questa storia ci tengo in una maniera che neppure posso spiegare a parole; vi dico solo che la amo e la odio tantissimo, allo stesso modo, perché è legata ad un particolare periodo della mia vita che mi porterò sempre appresso. Rileggere alcuni pezzi mi ha fatto capire tante cose della me di oggi, quindi la posto su wattpad per esorcizzare definitivamente questo stralcio del mio passato!
Inoltre volevo parlarvi della suddivisione che ho voluto dare alla storiella, scritta qualche tempo fa per un fest a cui non potevano partecipare minilong lunghe più di tre capitoli; adesso che ho la possibilità di gestire meglio la suddivisione dei capitoli ed essendo ciascuno di una lunghezza disumana hahah ho deciso di dividerli  in dieci parti. Ciascuna parte conta all'incirca dalle 7/10k parole perché, vi ho detto, è parecchio lunga.
Aggiornerò una volta al giorno, salvo imprevisti ♡
Spero questa prima parte non vi abbia annoiato eccessivamente, ma vedrete, dalla seconda in poi sarà una escalation di eventi ed emozioni (oddio, almeno per me che le ho riversate tra le righe è stato così)!
Si evolvono piano piano le cose, se leggerete lo scoprirete da soli.
Domani aggiorno con la seconda parte! ♡
Baci,
K

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