I rovi della luna

By FrancescaBufr

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Cameron è stato appena lasciato, è depresso e pessimista ed è seppellito di lavoro per la nuova stagione de "... More

Cameron's Life - Parte Prima
Cameron's Life - Parte Seconda
Cameron's Life - Parte Terza
Pictures on the ceiling - Parte Prima
Pictures on the ceiling - Parte Seconda
The anomalous fruit of the tree - Parte Prima
The anomalous fruit of the tree - Parte Seconda
The last time - Parte Prima
The last time - Parte Seconda
Feelings on the horizon - Parte Prima
Feelings on the horizon - Parte Seconda
The artist and the actor - Parte Prima
The artist and the actor - Parte Seconda
Parent meeting - Parte Prima
Parent meeting - Parte Seconda
A severe miscalculation - Parte Prima
A severe miscalculation - Parte Seconda
On the road - Parte Prima
On the road - Parte Seconda
A sparkling conversation - Parte Prima
A sparkling conversation - Parte Seconda
Phantoms from the past - Parte Prima
Phantoms from the past - Parte Seconda
The Interview - Parte Prima
The Interview - Parte Seconda
Truth or dare - Parte Prima
Truth or dare - Parte Seconda
An Earthquake! - Parte Prima
An Earthquake! - Parte Seconda
Approach strategies - Parte Prima
Approach strategies - Parte Seconda
A web of secrets - Parte Prima
A web of secrets - Parte Seconda
Action painting
Dangerous digressions
Business relation - Parte Prima
Business relation - Parte Seconda
Three Chairs - Parte Prima
Three Chairs - Parte Seconda
Without control
Lift-off
Another place
A revelatory moment - Parte Prima
A revelatory moment - Parte Seconda
Time together - Parte Prima
Time together - Parte Seconda
Return to the Truth
Outbrust of rage
Reconciliation
Break from work
Sword of Damocles
An interrupted couple - Parte Prima
An interrupted couple - Parte Seconda
Fragments - Parte Prima
Fragments - Parte Seconda
Behind the curtains - Parte Prima
Behind the curtains - Parte Seconda
Ryan makes amends - Parte Prima
Ryan makes amends - Parte Seconda
Self-humiliation
No doubt - Parte Prima
No doubt - Parte Seconda
Non-original screenplay - Parte Prima
Non-original screenplay - Parte Seconda
Fill the void - Parte Prima
Fill the void - Parte Seconda
To sleep with him - Parte Prima
To sleep with him - Parte Seconda
The two boyfriends - Parte Prima
The family women - Parte Prima
The family women - Parte Seconda
An unexpected guest - Parte Prima
An unexpected guest - Parte Seconda
The Jetty - Parte Prima
The Jetty - Parte Seconda
The new neighborhood - Parte Prima
The new neighborhood - Parte Seconda
A new start
The devious trickery
Negotiation
Ripped line - Parte prima
Ripped line - Parte Seconda
Locked rooms - Parte Prima
Locked rooms - Parte seconda
The empty space theorem
Competition
Scalene triangle
Revenge
Rainbow pride
Another moon
Sincerity
Family matter
At work
Intimacy
Mirror
The word love
Moonlight
For the first time
What goes around comes around
Adam's family
Rumors
Jason on the edge
Sneaking around
Broken glass
Parallel lines
Domino effect
The both of you
Moving life
Fix it
Mealtimes
Third wheel
The one that frees you
Declaration
A new birth
The end and the beginning
The room
Video coming out
Dawn
New horizons

Shakespeare in the park

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By FrancescaBufr

Il primo giorno di prove era stato contento di scoprire che una faccia nota dei Rovi della luna era coinvolta nella rassegna Shakespeare by the sea. L'hair stylist Tracey Orange infatti si sarebbe occupato delle acconciature degli attori in scena e aveva raccontato a Jason che collaborava a quell'iniziativa ormai da anni e per passione.

Quel giorno si sarebbero esibiti a Valley Park e mentre gli preparava l'acconciatura Tracey appariva se possibile ancora più allegro del solito. Canticchiava, invece di chiacchierare, qualcosa che era piuttosto raro per lui.

"Sei particolarmente di buon umore" notò Jason, a cui la contentezza del parrucchiere trasmetteva altrettanta positività.

"Già" rispose Tracey tutto inorgoglito. "Oggi viene Pete a vedere lo spettacolo."

"Pete?"

"Peter, il mio ragazzo" rispose Tracey fuori dalla sua pelle. Poi pigolò: "Il mio ragazzo. Come suona bene."

"Ah..." rispose Jason quando capì, sul chi vive. Ora ricordava: Peter, un caro amico di Cameron. Quando ancora stavano insieme, parlando del più e del meno, gli aveva raccontato delle prime uscite tra Peter e Tracey. Era una nozione che aveva accantonato ma ora era ricomparsa prepotente nel suo cervello. Dissimulò il disagio, non senza difficoltà.

E se fosse venuto pure lui?

No. Impossibile.

"Eccolo!" esclamò Tracey vivace. Il backstage era comunque all'aperto del parco, separato solo da una striscia di plastica rispetto alla zona dei visitatori, e ora Peter lo aspettava sorridente dall'altra parte, facendo segno. Jason lo guardò: per fortuna era da solo. Era un ragazzo dagli occhi azzurri, capelli rasati, non molto alto, sguardo gentile. Che attendeva, docile.

Comprensivo, Jason rispose: "Vai pure da lui. Non c'è problema."

Tracey, felice, rispose: "Ma non ho ancora finito con la tua parrucca! Ti dispiace se lo vado a prendere e lo porto qui, così continuo a lavorare e non perdo tempo?"

"Ehm..."

Ma Tracey aveva già dato scontato il come risposta. Pettine in mano, trotterellò verso Peter e Jason con la coda dell'occhio li vide parlare, senza poter ascoltare quello che dicevano. Notò però l'imbarazzo del nuovo arrivato, che non attribuì solamente alla titubanza dell'entrare nella zona riservata. Alla fine, incerto, sollevò la striscia di plastica e passò oltre, per far contento Tracey.

"Eccolo qua! Peter, Jason Grant, Jason, Pete" li presentò Tracey e poi si rimise subito al lavoro. L'attore strinse la mano al ragazzo e per un nanosecondo poté guardarlo negli occhi. Vide l'imbarazzo, capì che sapeva. Lo immaginava, non si arrabbiò nemmeno per questo: era giusto che Cameron si confidasse, almeno con i suoi amici più stretti che nulla avevano a che fare con lui. Non aveva mai neanche ipotizzato di vietarglielo. Scambiarono due convenevoli, poi Tracey si allontanò qualche minuto per andare a prendere alcuni prodotti. Calò una pesante cortina di silenzio.

Visto che il ragazzo era più a disagio di lui, fu Jason a rompere il ghiaccio. "Tu sei molto amico di Cameron, vero?"

Con le mani in tasca, teso e a disagio, Peter trasalì, poi balbettò: "Ah, ehm..."

"Mi dispiace metterti in questa situazione antipatica. Scommetto che Tracey non sa nulla..."

"Ehm... No, lavorate insieme, perciò..."

"Perciò hai preferito non raccontarglielo. Ti ringrazio" disse onestamente Jason, che in quella situazione, seduto sulla poltrona della 'zona trucco' improvvisata e con la parrucca non ancora attaccata del tutto, si sentiva un vero cretino. Si sforzò comunque di sollevare gli occhi su di lui, per comunicare che lo diceva con piena sincerità.

"Non... Non devi sentirti, insomma..." Peter si schiarì la voce. Non riuscì a terminare il concetto, così disse: "Io sono qui per Tracey. Non è che ce l'ho con te... Sì, sono dalla parte di Cameron, ma..."

"Lui come sta?" chiese frettolosamente l'attore.

Peter esitò. Poi, pacato, rispose: "Meglio. Ha... Un nuovo lavoro. Ne è molto contento."

Jason non poté chiedere altro perché Tracey tornò in quel momento, armato di altre extension e bottigliette di lacca e altro. Prima di procedere, schioccò un bacio contento e a fior di labbra a Peter, che anche se era ancora un po' legato da prima arrossì comunque per il gesto. Jason, guardandoli attraverso lo specchio, li trovò carini: era bello vedere la discrezione dell'uno e l'esuberanza dell'altro che si compensavano a vicenda e andavano così d'accordo. Si vedeva lontano un miglio che uscivano insieme da poco; anche lui si era sentito così, all'inizio, quando lui e Cameron avevano cominciato a vedersi. Doveva essere bello provare quelle sensazioni alla luce del sole.

Con Marshall, all'inizio, era stato... Diverso. Il principio della loro relazione non aveva avuto ovviamente nulla di leggero e spontaneo. Si era cementata nella perdita e, Jason pensò, forse era per questo che avevano avuto problemi, che entrambi avevano avvertito l'esigenza di scappare. Di inseguire altrove quella spensieratezza giovanile, che la vita aveva un poco rubato dal loro passato. Almeno, questo era ciò che era capitato a lui: non poteva dire con certezza che per Marshall, quell'Adam Price avesse rappresentato lo stesso.

Doveva ritrovarla. Con lui, Marshall. Se era ancora possibile. Dovevano reimparare a essere emozionati, insieme, come se condividessero il tempo per la prima volta.

Era stato Carter a proporre a Monique di approfittare della bella giornata per sfruttare i loro biglietti per lo spettacolo La dodicesima notte al Valley Park, ma adesso che si avvicinavano si faceva strada in lui una sensazione d'ansia e l'idea che non fosse stata poi una pensata così grandiosa.

Non ci aveva riflettuto prima. Non si era posto il problema se davvero volesse presentare Jason alla donna con cui stava uscendo. Era una parte un po' strana della sua vita attuale, su cui a malapena riusciva a dare spiegazioni a sua sorella Viola. Non era preparato a quella situazione. Che avrebbe commentato Monique? Che, infatti, cominciava a manifestare curiosità e a fare domande.

"Hai detto che conosci qualcuno dello spettacolo" chiese infatti lei, mentre percorrevano la strada in direzione del teatro all'aperto. "Chi è? Che ruolo ha?"

"Ehm... Ora che mi ci fai pensare, ho dimenticato di chiederglielo" ammise a disagio. "Ma non so nulla della trama. Su Shakespeare temo di essere un po' ignorante."

"Quindi è... un attore?" domandò la donna. "Un... Uomo?"

Notò la nota di preoccupazione dissimulata nella sua voce. Monique era sul chi vive. Ma Carter comprese che il problema di lei sarebbe stato scoprire che 'l'amico' era in realtà una donna. Così, in questo caso, bastava essere onesti. "Sì, è un ragazzo."

"Oh... Uno del tuo quartiere?"

"Non esattamente" rispose Carter sulle spine. Si allargò il colletto della maglia.

"Un cliente?" azzardò di nuovo lei, con voce dolce.

"Qu-qualcosa del genere" rispose lui e si accorse troppo tardi di avere mentito. Ma quella era l'unica spiegazione che, pronunciata ad alta voce, poteva avere un senso. Si ritrovò a ricamare sulla sua menzogna senza quasi rendersene conto: "Lui è un attore... Abbastanza famoso. Ha avuto un po' di problemi con la stampa, di recente, così..."

"Oh. Non... Non seguo molto il cinema e la tv" osservò Monique. "Come si chiama?"

"Jason Grant" rispose Carter e sperò ardentemente non sapesse di chi si stava parlando; per quanto servisse.

Lei, incredibilmente, scosse la testa. "No. Mi devo essere persa qualcosa."

Carter tirò un sospiro di sollievo. Forse si stava fasciando troppo la testa.

Sentì, senza attenderselo, la mano presa da una stretta discreta. Era stata Monique che aveva allungato la sua per allacciarla a quella dell'uomo, discretamente, guardando in avanti. L'avvocato si rese conto che erano anni che non camminava per strada mano nella mano con qualcuno. Si sentiva piuttosto impacciato, ma si limitò a non fare niente. Lasciò che accadesse, così quando furono arrivati nei pressi del teatro erano ancora stretti così.

"Ti... Ti dispiace se aggiriamo un attimo la platea e cerco Jason per un saluto?" domandò Carter, prima di prendere i posti.

"No, anzi, vengo con te, così me lo presenti" sorrise pacifica Monique, propositiva. L'uomo non si era aspettato del tutto questo atteggiamento convinto, ma non gli parve una richiesta assurda. Solo, avvertì la sensazione del cuore in gola. Una parte di lui avrebbe voluto tirarsi indietro. Invece, procedette come se niente fosse.

Non trovò però subito Jason, nella marea di persone in costume.

Fu lui, invece, a vedere Carter, e si illuminò un momento prima di accorgersi che era mano nella mano con una donna; allora, ebbe un istante di esitazione. Stava parlando ancora con Tracey e Peter, accanto alla striscia di plastica che circondava il backstage, e l'hair stylist si avvide della sua distrazione.

"Che c'è? Hai visto qualcuno?"

Imbambolato a fissare Carter e Monique, Jason trasalì. Si risvegliò dal suo torpore: "Oh, sì... Un amico." Cominciò a sbracciarsi. "Ehi! Carter! Sono qua!"

L'avvocato riconobbe la sua voce, ma quando guardò in quella direzione credette di essersi sbagliato: poi però capì il suo errore, non doveva aspettarsi di trovare Jason con il suo aspetto solito. Era invece in abiti d'epoca, indossava una parrucca che rendeva i suoi capelli una coda lunga di colore più chiaro del suo naturale, e anche il viso era pesantemente truccato. Sembrava pronto per una festa in maschera. Solo gli occhi azzurri spiccavano nell'insieme e quelli erano, decisamente, i suoi.

Così si avvicinò all'attore e agli altri due uomini che erano con lui. Poté solo commentare: "Però! Che trasformazione!"

Jason vide la sua fronte aggrottata e arrossì nascosto dal trucco. Guardò per un secondo la donna che non conosceva e che era per mano di Carter e poi, di fretta, fece le presentazioni, rivolgendosi a un Tracey e a un Peter che ora erano in trance al suo posto. "Ehm... Carter, ti presento un mio collega, Tracey Orange, si occupa dei... Beh... Delle parrucche." Tossicchiò, a disagio: "E questo è Peter, il suo ragazzo."

Notò la donna con Carter che trasecolava sorpresa per quell'informazione; poi ella si ricompose e allungò una mano verso Jason, visto che il compagno non diceva niente. "Salve. Io sono Monique, è un piacere conoscerti." Strinse la mano pure agli altri due, sorridendo. "Non vedo l'ora di assistere allo spettacolo."

"Monique è una vera appassionata... A differenza di me, non so quasi niente" commentò Carter per riempire il silenzio.

Cercando di fare amicizia, Monique chiese a Jason: "Che personaggio interpreterai?"

"Il duca... Orsino" rispose, quasi con vergogna.

Carter lesse ammirazione sul volto della donna. "Wow. Il protagonista! Beh, in effetti, hai molta presenza scenica, si vede."

"Grazie... Ma... Spero di rendere altrettanto sul palco" rispose Jason.

"Marshall non c'è?" si inserì Carter, a sorpresa.

"Oh, no, lui... è venuto già a vedermi i primi due giorni. Purtroppo oggi lavora" rispose Jason. "Ma sono felice che tu sia... Che voi siate venuti. Veramente."

Alle loro spalle, annunciarono i dieci minuti dall'inizio. Carter capì che erano di troppo e sollevò una mano: "Vi lasciamo. Andiamo a prendere posto."

Deluso che non restasse a parlare un po', Jason capì comunque: "Oh, certo... Grazie. Grazie davvero per essere qui."

"È un piacere" rispose Carter e anche Monique assentì.

Si allontanarono per raggiungere la platea en plein air. Monique si rese conto che, nella confusione, Carter le aveva lasciato la mano. Non cercò di recuperarla, non avrebbe avuto alcun pro, commentò invece: "Che bel ragazzo! Altissimo. Anche giovane, più di quanto mi sarei aspettata."

"Sembra più giovane della sua età" spiegò Carter; in effetti, loro due avevano solo un paio d'anni di differenza, ma visti vicini parevano distanti di una generazione.

"Chi è Marshall?" domandò Monique.

"Oh, ehm, Marshall è... Il ragazzo di Jason" replicò. La voce si era arrochita, parlando.

"Il... ragazzo?" ripeté lei, sorpresa. Ci pensò su. "Quindi anche lui è...?"

Irritato che tutti paressero conferire così importanza alla cosa, Carter rispose: "Sì. È così."

"Per questo hai dovuto assisterlo?" chiese lei facendo due più due.

Carter si ricordò della menzogna di prima. Quindi, senza colpo ferire, non poté fare altro che rispondere: "Sì."

Jason stava per andarsene a sua volta per raggiungere le quinte del palco, quando si accorse che Tracey e Peter erano persi come in un altro mondo.

"Beh? Che c'è? Qualcosa non va?" chiese Jason. Carter era risultato forse antipatico? Non gli sembrava. Forse a chi non lo conosceva appariva un poco sostenuto, ma era comunque una persona cortese, che difficilmente si poteva trovare sgradevole.

"Cielo santo, che gran figo" commentò invece Tracey, con gli occhi ancora piantati sulla schiena dell'uomo di colore. "Che spreco che sia etero!"

Jason stavolta arrossì fino alle orecchie. "Come?"

Anche Peter si schiarì la gola. Con più pacatezza, rispose: "Ehm. In effetti."

"Se trovi un tipo del genere interessato a una threesome sono perfettamente d'accordo, Pete."

"Che state dicendo?" chiese Jason scioccato. Doveva essersi sbagliato, stavano senz'altro parlando di qualcuno che non era Carter.

"Da uno così mi farei montare sui chiodi." Finalmente lo sguardo di Tracey riuscì a strapparsi dal sedere dell'avvocato e spostarsi su Jason. Gli diede una spintarella amichevole: "Immagino di non essere l'unico, eh, furbacchione?"

"Cosa? No, io non... Non ho mai pensato a Carter in quell'ottica! Lui è solo un amico."

"Certo, come no. Scommetto che non hai mai fantasticato su quel bel nero muscoloso che ti sbatte contro un muro, e che sei amico suo solo per la buona conversazione."

"Tracey..." lo ammonì Peter ma reprimendo un sorriso. Non riusciva a essere severo col modo costante che aveva Tracey di andare troppo oltre: anzi, era uno dei maggiori motivi per cui in fondo gli piaceva.

"Io non... Non ho mai..." iniziò Jason imbarazzato come un bambino, ma poi il campanello della chiamata sul palco lo fermò: era già in ritardo. Non era il caso di restare lì a disquisire su un motivo così futile.

Si allontanò lasciando i due amici alle spalle, ancora toccato dalle loro parole.

Ma certo che non aveva mai pensato a Carter in un certo modo! Per lui era una creatura totalmente assessuata. Come un angelo. Un angelo custode. Infatti era lì con una donna e la cosa non gli aveva dato assolutamente nessun fastidio. Monique era pure una ragazza simpatica.

Sembrava più grande di lui. Chissà se era veramente il suo tipo. Si chiese se era stato troppo freddo con lei. No, era contento che l'avesse portata. Sembrava una vera appassionata di teatro, a differenza di Carter che probabilmente era lì solo per fargli un favore.

Per lui. Perché erano amici.

Si rese conto di non sapere quasi niente di Carter. Poteva veramente considerarsi così presente nella sua vita come gli piaceva pensare, a volte, di essere? Sicuramente no.

Eppure lui era lì. E per questo, Jason quel giorno doveva dare il meglio di sé.


Sperò che Jason se la stesse cavando egregiamente come i primi due giorni; quello era il primo in cui Marshall lo lasciava solo. Era stato magnifico: paradossalmente, nonostante quello che uno potesse essere portato a credere, l'esperienza con I rovi della luna aveva contribuito a farlo crescere dal punto di vista professionale. I ritmi, le scadenze, lo stress, l'avevano in qualche modo preparato al peggio. Il teatro, in confronto, era una boccata d'aria fresca, dove Jason poteva allungare le braccia ed esprimersi al meglio, trovando tempi solo suoi.

Quel giorno iniziava a lavorare nel supermarket il nuovo magazziniere; più anziano di Adam, senza dubbio più qualificato. Era bastato uno sguardo per capire che non gli avrebbe dato problemi di sorta, che avrebbe reso a Marshall le cose semplici. Era preparato, sapeva già come muoversi, non era necessario spiegargli nulla. Inoltre, aspetto da non trascurare, era un uomo maturo sposato con figli.

Non che Marshall credesse ormai di avere perso il controllo con i suoi dipendenti uomini, ma se il sostituto di Adam gli fosse assomigliato anche solo in un aspetto sentiva che per lui sarebbe stato comunque più difficile elaborare il cambiamento. Quello stacco netto era salubre.

Mentre era chino sulla contabilità, nel suo ufficio, il nuovo facchino si affacciò un secondo dalla porta bussando: "Mi scusi. Ho aperto l'armadietto, e..."

"C'è qualche problema?" chiese Marshall e alzò la testa. Vide un oggetto nella sua mano: sembrava un indumento, aveva un che di familiare.

"Credo che il mio predecessore abbia dimenticato una felpa. L'ho trovata dentro, dopo aver aperto col lucchetto. Forse lei lo conosce, gliela può far avere."

Probabilmente il nuovo facchino si era aspettato che Marshall si alzasse per prenderla, invece che rimanere basito e seduto alla scrivania a fissarlo con la bocca aperta; per tal motivo rimase a lungo con la mano sospesa nel vuoto, prima di abbassarla.

"Tutto a posto? C'è qualche problema?"

Alla fine Marshall si riscosse e riuscì ad alzarsi. Si muoveva malsicuro. "No, ehm... La prendo. La tengo qui. Cercherò di... Ecco... Recapitargliela."

"Grazie" rispose l'uomo sollevato e gliela passò. Per qualche motivo, come se avvertisse una qualche sensazione imperscrutabile, sentì di aggiungere: "Mi dispiace..."

"No... Non fa nulla. Non se ne sarà neanche accorto" commentò Marshall. "Lui era un tipo piuttosto... Sbadato."

"Capito" replicò il sostituto. "Le colleghe sono molto dispiaciute per il suo trasferimento, si vede. Doveva essere un ragazzo con parecchio successo con le donne... Beh, torno al lavoro. La ringrazio."

Non fece in tempo a notare che Marshall era arrossito a quel commento. Il capo rimase solo in ufficio, con quel fagotto di stoffa tra le mani, senza molto senso. La porta era chiusa, attraverso la tapparella non si vedeva nessuno; abbassò gli occhi sulla felpa e la osservò. Sì: ricordava bene di avergliela vista addosso. Sia prima, sia dopo che loro... Prese un lungo respiro, voltò le spalle alla porta. Era veramente di taglia enorme, si vedeva che era sua. Adam era tutto spalle.

Si sorprese a premersela sul viso senza quasi rendersene conto. Ritrovò il suo odore noto anche a distanza di giorni, avvertì un nodo allo stomaco. Si sentì come un tossico in crisi d'astinenza perché non riuscì per diversi secondi a smettere di cercare la sua traccia fantasma in quella felpa.

Si costrinse a farne un rotolo tra le mani, lo nascose in un cassetto. Poteva fargli una spedizione.

Che cosa avrebbe detto Adam se l'avesse ricevuto, senza una riga, ben sapendo che era da lui? Probabilmente l'avrebbe odiato anche di più di quanto già non fosse.

E andava bene, in teoria. Marshall aveva deciso di sopportarlo.

Ma abbracciare quell'indumento, senza avere lui, gli aveva lasciato una traccia di malinconia difficile da scalfire. Si rese conto con un ritardo vergognoso di come il supermarket apparisse diverso senza Adam. Più spoglio, troppo cupo.

Si sedette. Intrecciò le mani sulla scrivania, e si permise di pensare. Che stava facendo, lui? Era infelice? Stava bene? Avrebbe potuto chiamarlo e informarsi direttamente...

Ma si era ripromesso di non farlo. Per il bene di Jason e anche di Adam stesso.

Era stata una parentesi di pura, genuina gioia. Ma era passata. Forse un giorno sarebbe riuscito a pensarci traendone giovamento. Per ora, preferiva accantonare quella fetta del suo passato recente dalla memoria. Creargli una stanzetta nella mente, senza finestre, e rinchiudervela a più mandate. Adesso, non faceva ancora bene. Quando anche solo un piccolo sbuffo evadeva dalla porta e si affacciava al suo pensiero, era urticante. Lo riempiva di desiderio inespresso.

Anche solo di vederlo.

Riaprì il cassetto, come attratto a livello magnetico. Accarezzò la felpa, tornò a prenderla. La allungò sulla scrivania, per piegarla con più attenzione, meglio. Era stropicciata. Probabilmente Adam non stirava mai i suoi vestiti. Era piuttosto evidente, anzi.

Strinse le mani a pugno. Basta così. Doveva smetterla. Le prime settimane sarebbero state difficili, ma poi anche questa sarebbe passata. Era sopravvissuto a qualcosa di infinitamente peggio di una rottura. Non poteva permettersi queste defaillance.

"Con questi occhi azzurri assomiglio quasi a Jason..."

Era stato solo un errore. Non una ricaduta. Jason stava bene. Marshall doveva convincersene, perché altrimenti sarebbe impazzito. Ed evadere dalla realtà non era la direzione giusta. Doveva stare accanto al suo compagno, impedire a tutti i costi che accadesse di nuovo.

Non c'era alcun spazio per la distrazione.


Lo spettacolo era notevole, oltre le aspettative di Monique. Si divertì un mondo e doveva ammettere che l'amico di Carter, Jason, brillava oggettivamente in mezzo ai suoi colleghi. Possedeva quel particolare carisma che attira naturalmente lo sguardo del pubblico, a doppio taglio quando si lavora in un team. Un attore capace di gravitare solo su di sé l'attenzione poteva da un lato assicurare il successo di un'opera, ma dall'altro risultare uno elemento scomodo; non solo perché gli altri attori ne risentivano, ma perché in generale questo comprometteva l'equilibrio dell'insieme. Pensò che quel Jason avrebbe potuto trarne problemi, in futuro, essere danneggiato per questo. Forse per un simile motivo aveva dovuto richiedere l'aiuto di Carter, o forse per l'altra questione, perché lui era...

Jason e Marshall, Tracey e Peter. In un colpo solo aveva fatto la conoscenza di due coppie di ragazzi. Come era entrato Carter in quel mondo? Monique sapeva che era immaturo farsi delle paranoie, ma l'uomo con cui usciva era davvero un enigma, che la frequentazione non stava affatto dipanando.

Distratta dallo spettacolo in preda a questi pensieri per la testa, si ritrovò a guardarlo, dapprima per un secondo, poi più a lungo quando si accorse del cambiamento. Carter pareva incantato da ciò che stava vedendo sul palco, i suoi occhi manifestavano pura gioia e, per la prima volta, abbandono. La bocca era un po' schiusa, un accenno di sorriso. Monique lo guardò piena di meraviglia perché non gli aveva mai visto prima quella maschera. Osservò il palco, poi di nuovo lui. E capì che Carter non aveva occhi che per Jason.

Quando l'avvocato si accorse di essere osservato dalla donna, ricambiò la sua attenzione mantenendo quello sguardo trasognato. "È davvero bravo, vero?"

"Sì" ammise Monique. Persino Carter, che era totalmente digiuno di teatro, se ne era accorto; questo significava che al di là della tecnica, Jason possedeva davvero la dote naturale della presenza scenica, persino in quel ruolo leggero, positivo, luminoso. Riusciva a trasmettere buonumore guardandolo, e quel groviglio di sensazioni che adesso Monique leggeva negli occhi di Carter.

"Che c'è? Sembri... Preoccupata" sussurrò l'uomo. Il sorriso si era spento. Si stava lentamente ri-ancorando alla realtà.

Lei si rese conto della propria espressione e tentò di cancellarla. "No... Tutto bene. Mi piace molto."

"Anche a me."

Si vede.

Pochi minuti dopo sopraggiunse l'intervallo.

"Credevo che mi sarei annoiato, e invece..." commentò Carter.

"Questa è una delle commedie più divertenti di Shakespeare. E l'allestimento è notevole" disse Monique. Poi: "Grazie per avermi portata qui."

Era al settimo cielo quando gliel'aveva proposto; piena di gratitudine. In fondo, l'aveva fatto perché sapeva quanto a lei piacesse il teatro.

L'aveva fatto per quel motivo.

"Carter..." iniziò, col cuore che le batteva in gola.

Egli la osservò: "Che c'è? Qualcosa che non va?"

La donna prese un lungo respiro. Poi un altro. Infine, cedette: "Nulla."

Tornò a mettersi composta sulla poltrona, lo sguardo avanti. Cauta, invece che quello che avrebbe voluto chiedere – qualunque cosa fosse, nemmeno lei lo sapeva – affermò invece: "Non credevo che il tuo amico fosse così bravo."

"Nemmeno io" replicò Carter e Monique poté avvertire nella sua voce un tremito di orgoglio, quasi paterno. "A dire il vero, questa è la prima volta che lo vedo recitare, tv a parte."

Quello non era un buon momento né luogo per approfondire la questione. Monique non aveva nemmeno bene idea di cosa le frullasse per la testa; sapeva solo per certo di sentirsi strana, inquieta di fronte a quel lato di Carter che veniva fuori quel giorno per la prima volta.

Lui era uno che difficilmente abbandonava le redini. In un certo senso, a lei piaceva persino quell'aspetto del suo carattere, lo trovava tenero. Dava per scontato che non le allentasse mai per nessuno, salvo forse sua nipote.

Ma quel giorno aveva conosciuto un Carter completamente diverso dal solito e ancora non capiva in che modo. Che rapporto c'era tra quei due? Perché Carter parlava di Jason come se stesse riferendosi a un fratellino più piccolo, di cui era fiero a livello personale? Sapeva che sarebbe suonata pazza a sottoporlo già a un terzo grado sulle sue amicizie, era davvero troppo presto.

Probabilmente stava assegnando troppa importanza a una faccenda che ne aveva ben poca.

"Vuoi qualcosa da bere?" le propose Carter, ridestandola dai suoi pensieri. "Aspetta, non siamo in un cinema... Forse qua non è appropriato..."

Lei riuscì a riscuotersi dalle sue elucubrazioni, sorrise della sua premura. "Sei sempre così gentile. Si può sapere dove ti hanno fabbricato? A volte ho il sospetto che tu venga da un altro mondo. Non ho mai incontrato un uomo come te."

Sorpreso da quei commenti, Carter alzò le palpebre.

Monique lo prese sottobraccio, affettuosamente. Prima che l'uomo potesse dire qualcosa, rispose: "Sto bene così, grazie."

Lo voleva davvero, costruire qualcosa con lui. Essere schiava di supposizioni inutili e dannose era stupido. Il sesto senso non sempre era una divinità assennata; più spesso, era paranoia mascherata da saggezza.

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