Sei la mia chiave di violino...

De kissenlove

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● Capitolo #1 ~ Perdono? revisionato il 05/03/16 Alessia si trasferisce in America per frequentare un colleg... Mais

Capitolo 1 - Perdono?
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7•
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
SPAZIO LETTORI
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
SPAZIO LETTORI
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
AVVISO
Capitolo 22
SPAZIO LETTORI
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
SPAZIO LETTORI
PROTAGONISTI
Capitolo 31
Capitolo 32
PROTAGONISTI (II)
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
AUGURI ~ BUONA FINE
2016 ~ Happy New Hear
Capitolo 36
Capitolo 37
Scuse ~
SPAZIO LETTORI ✒
Capitolo 38
L'AMORE NON SI SCEGLIE ~ INNAMORATO DI UNA SFIGATA
SPAZIO LETTORI + NUOVA COPERTINA(?)
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Cover Sequel
Capitolo 50 - Epilogo
PRESENTAZIONE SEQUEL ✔
Nuova storia ~ Ti Odio Con Tutto Il Cuore ✔
Taniosh per tutta la VITA
RINGRAZIAMENTI

Capitolo 30

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De kissenlove


[Pov's Josh]

Dopo il nostro arrivo Tania mi era praticamente atterrata fra le braccia, e non so se sia stato positivo la rocambolesca capriola nel mio petto, mentre le mie braccia trattenevano quel corpicino fragile come quello di una piuma. Non era molto pesante, era come avere un pupazzo di stoffa da stringere piano, mentre le sue mani si aggrappavano per paura di cadere per terra alla camicia.

Era una piccola imbranata, ma non mi ero azzardato a farglielo presente visto e considerato che ero riuscito ad ammansirla da poco come un esperto circense durante un numero di prestigio e non avrei mai voluto risvegliare quella sua furia omicida, quindi mi limitai amorevolmente a darle il nomignolo di principessa incapace, che lei digerì con mia grande sorpresa.

Durò poco, nemmeno il tempo di razionalizzare la presenza della sua folta chioma rosso fuoco, che mi solleticava la nuca o il respiro caldo e lento che mi carezzava la pelle, che dovetti strappare il mio spirito dalla morsa ferrea della mia fervida immaginazione.
Dinanzi ai miei occhi stupiti si delineava un posto inondato da una luce abbagliante, a poco a poco si mostravano altri dettagli che prima non erano risaltati: un tappeto rosso scarlatto su cui vi erano adagiati dei petali di rose.
Il luogo veniva inebriato in ogni dove da quel dolce profumo, la tranquilla brezza tipica della stagione primaverile faceva volteggiare nell'aria i soffioni che tanto divertivano i bambini.
L'atmosfera era quasi irreale non solo perché quel lunghissimo tappeto si estendeva fino a quell'orrizonte indistinguibile, ma anche per me che non riuscivo a capire nulla, nemmeno il significato di quella visione stucchevole, che per principio mi faceva un certo ribrezzo, perché detestavo le storie d'amore.

Io ero il protagonista della storia.

Guardai il vestito che mi ero trovato ad indossare con una smorfia. Non conoscevo la natura del tessuto né chi era l'artefice di quel tale disastro. A pensarci bene quello smoking era un disastro.
Era classico, troppo ordinato, rigorosamente nero. Il pantalone perfettamente stirato, nessuna piega lo rovinava, mi si modellava addosso come se fosse stato la mia taglia. La camicia bianca era intonata ad una giacca, tinta su tinta di nero seppia, sembrava dovessi partecipare a una manifestazione funebre non a un giorno festoso.

Mi sentivo inadatto. Non era il mio stile e maledivo il cretino che con tutta la buona volontà aveva voluto farlo confezionare sperando mi piacesse.

Chi era quel cretino?
Mi mangiavo i denti dalla rabbia mentre osservavo critico quello che mi faceva somigliare a un soldato chiuso nella sua armatura, davanti a uno specchio comparso improvvisamente. Più i minuti passavano, più aumentava olreemisura il desiderio di uccidere quel tipo e il suo stilista da quattro soldi che avevano montato il teatrino della vergogna.
Avrei voluto togliermelo di dosso, ma non era una buona idea visto che quello era l'unico capo con cui avrei sfilato come un babbeo in tutta la serata, affiancato dalla donna che per me faceva invidia persino alle regnanti del mondo.

Quello smoking era puro orrore.
Sembravo un pinguino che aveva sbagliato la strada per raggiungere il polo ed era finito casualmente nella sequenza di un film romantico. Non bastava quell'abbigliamento ma anche la soffocante cravatta, secondo voi?
Beh, nera. Tutto nero.
Prima un matrimonio, poi un'esequia, ovviamente la mia.

Allungai una mano verso il cappio che mi stringeva il collo e lo allentai con indice e medio.
Una forte voce mi richiamò, dietro alle mie spalle.
«No, Josh!» gridò quella voce riconoscibile. Mi girai a rallentatore, mentre inquadravo la sua figura allampanata, a braccia conserte, con la mascella irrigidita.
Si staccò dal cornicione, adesso riconoscevo uno spazio chiuso, recintato dalle mura confortevoli della mia camera di Boston e mi venne incontro preceduta dal rumore insistente dei tacchi, ovviamente neri e camosciati.
«Lo sai che la cravatta è un accessorio in.» mi disse, mentre mi rendeva un altro po' più impeccabile e presentabile.
Certo, ma si da il caso che non tutte le persone in questo mondo la pensano come te cara mamma, compreso io, che vorrei gettarla dalla finestra assieme al costosissimo smoking.
«Ti sta benissimo figliolo.» esclamò facendo con le dita una specie di inquadratura. «Non per vantarmi, ma ho fatto un ottimo lavoro con tuo padre.» e mi strizzò una gote.
«Mamma, spero tu stia scherzando! Non sono altro che un pinguino che ha sbagliato indirizzo, guardami bene.» le dissi innervosito passandomi una mano tra i capelli corti e portati dietro con il gel. Iniziai ad arruffarli per rovinare quel capolavoro che aveva orchestrato il parrucchiere che mamma aveva deciso di ingaggiare per quel giorno tanto speciale, e non mi dispiaceva affatto, visto che avrei preferito un look più naturale.

I miei capelli così corti e meno indomiti non avevano bisogno di altro, dato che crescendo avevo abolito i miei ricci ribelli. Adesso somigliavo veramente a un uomo, anzi con quei capelli non ero uno sposo ma un punk schizzato.

«Adesso basta Josh. Calm, please.» provò a dire mia madre facendomi notare la positività del lavoro del parrucchiere, che io non vedevo.
«Calma, mi chiedi di calmarmi. Voglio togliermi questa schifezza, questo smoking e gettarlo dalla finestra, possibilmente lontano. Non voglio somigliare a ciò che non sono.» le urlai esplodendo nella rabbia, mentre mamma taceva portandosi una mano in fronte, facendo attenzione a non rovinare il trucco.
«Figliolo, questo smoking è i-» non la lasciai continuare con la stessa storia. Basta dirmi che con questo capo stavo divinamente, perché non era così, non volevo quel coso al matrimonio e sopratutto nei miei ricordi una volta diventato anziano.
«Inadeguato mamma!»
Lei sospirò. Ero una testa dura, era un mio difetto che avevo ereditato guarda caso da lei, e per sua sfortuna la superavo. Non avrebbe mai potuto spuntarla, io ero più cocciuto, niente mi avrebbe smosso dalla mia posizione.
Scrollò le spalle, dandomi le spalle.
«Bene, dear.» si incamminò verso l'uscita per preparare il necessario per raggiungere la chiesa dove si sarebbe celebrato il mio matrimonio, poi si voltò con un sorriso sornione accentuato dal rossetto nude rosso. «Allora, andrai a sposarti in mutande, perché non hai altro che lo smoking.»
Ma che diabolica, si accontentava di farmi ridere dietro per i modi goffi con cui dovevo apparire con quel capo pur di apparire la suocera più fortunata che aveva organizzato il matrimonio del secolo. Io e la mia fidanzata volevamo qualcosa di intimo, ma lei voleva una festa in stile americano, e noi abbiamo dovuto accogliere la richiesta altrimenti non ci avrebbe mai perdonato e se lo sarebbe legato al dito.
Quindi avevamo fatto tutto come voleva lei, seguendo le sue direttive, che la mia futura moglie non aveva mai disatteso. Però non mi era mai andato giù che mamma si fosse occupata di ogni più piccolo particolare senza prendere in considerazione i voleri di Tania.
Ma la cosa non ci importava, volevamo sposarci, anche senza un prete, in chiesa, sotto le stelle, dovunque, in ogni parte del mondo. Bastava lei, io, la promessa di stare insieme per sempre, affidarci a noi stessi, aiutarci a vicenda quando le cose non sarebbero andate per il verso giusto, formare una famiglia, due, tre, quattro, una squadra di figli.
Io la amavo, sempre e comunque e la mia bisbetica madre non avrebbe cambiato i miei sentimenti.

Eravamo al passo più importante, e per quanto ci tenessi ad essere di bella presenza il mio odio per lo smoking che avevo ancora addosso non era sbollito, ma non avrei avuto il coraggio di sposare Tania in mutande, era fuori discussione, quindi dovetti mettere da parte il mio orgoglio.
Abbandonai la posizione di prima e mi apprestai a fare il trionfale esordio sulle scale di casa mia, quando la stessa luce di prima mi investì in pieno e tutto sparì nel buio più profondo.

Tutto si era appena dissolto nella mia retina. Nelle mia braccia ora vuote la presenza di quella ragazza imbranata mi mancava più di tutto e nemmeno io conoscevo l'origine di quel sogno.
Ricordavo solo stralci, brandelli, uno orripilante smoking, mamma che mi ordinava di indossare il cappio al collo, poi nulla, anzi forse un dettaglio che mi sconvolse totalmente: un matrimonio e non uno qualunque, di quelli che si vedevano per televisione, ma il mio con tanto di preparativi e invitati. Avrei voluto immaginare anche la fortunata che avrebbe fatto parte della mia vita in un futur prossimo, ma la mente alle volte ci mostra solo quello che a lei fa comodo.

Il nome 'Tania' mi risuonava nella testa da quando ero tornato bruscamente nella realtà. Poteva essere lei la mia promessa, ma non era sicuro, perché nel mondo ne esistevano molte con quel nome.
Tante Tania, tante diverse ragazze, tante bellezze da scoprire, tanti caratteri che potevano ispirarmi, ma per il mio inconscio esisteva solo quella, unica nel suo genere.

E solo un vestito bianco, di tulle, con scollo a cuore, con la vita stretta avrebbe potuto conformarsi alla donna del sogno.

Ero immobile, come se mi fossi ghiacciato con una sola sferzata invernale, perché lei, girata a scrutare ogni dettaglio del college dinanzi a lei, che si ergeva possente, pareva allontanarsi, camminare a piedi nudi senza il minimo stridore, come un fantasma che leviteva sul terreno, come una presenza che schiacciava i timori, ma che nessuno riusciva a percepire per quanto lei lo volesse. La fissavo come se non ci fosse altro capace di attirarmi e sentivo il fiato scarseggiare nei polmoni quando mi soffermavo nella trama dei suoi capelli lunghi e cullati dal vento, mentre camminava senza mostrarmi il volto nascosto da alcune ciocche scivolate sulla guancia. Volevo chiamarla, gridare il suo nome perché ne sentivo un bisogno irrefrenabile, ma qualcosa me lo impediva. Ero in trappola, lei veniva divisa da me tramite un'invisibile barriera dove tutto veniva attutito ogni rumore, anche il più flebile, dallo spessore del vetro.
Non riuscivo a emettere nessun gemito, mentre lei ondeggiava con un piede seguito dall'altro, e sentivo il cuore raggrinzirsi per il dolore.

Mostrami i tuoi occhi Tania.

La supplicavo, ma ero incapace di sussurrarglielo.

Guardami, ti prego.

Ogni più piccolo pensiero veniva generato dalla paura che lei scomparisse.

Non andare via.

La voce era assente, il contatto inesistente e lei diventava un puntino. Sentivo le ginocchia cedere a terra, mentre una gote venne percorsa da un rivolo di lacrime.

«Tania.» proferii, e la donna si fermò in punta di piedi, mentre avvertivo la cappa rompersi in mille pezzi invisibili.

«Stay With Me

La donna senza volto, avvolta da un bellissimo vestito di un bianco puro, si girò di scatto e mi sorrise.

«Tania, ti prego rimani.» la supplicai, e lei ciondolò piano con il capo, chiudendo gli occhi. Poi scomparì in una miriade di farfalle. Il posto rimase vuoto, il mio cuore pure, non mi restò che piangere quelle lacrime che mi erano ancora rimaste e pregare che lei tornasse da me, che mi stesse vicino fino alla fine dei miei giorni, fino a quello che tutti chiamano 'eternità'.
Aprii gli occhi lucidi e gonfi. Ero alzato, con le ginocchia traballanti, e Tania era lì ferma. Strabuzzai gli occhi e i polmoni ripresero a funzionare. Feci un profondo respiro per rilassarmi e posai la valigia di lei sul terriccio. La guardai ancora col rischio di consumare la sua immagine.
Aveva al posto del vestito, i suoi pantaloni grigi e una maglia, la stessa di quella mattina e si tastava la parte posteriore, notando uno strappo nel tessuto.
«Maledizione!» imprecava contro la portiera della macchina, mentre io scoppiavo silenziosamente a ridere.
«No, guarda che mi deve capitare. Mi serve immediatamente un cambio di pantaloni.»
Non appena incontrò il mio sguardo divertito mi fulminò con uno carico di odio.
«Che ridi razza di scemo! Piuttosto mi serve immediatamente un cambio.» mi disse, mentre si scrollava dalla posizione di prima per diminuire le nostre distanze e afferrarmi il polso. «Andiamo!»
«Okay, sta calma.» cercai di calmarla, azionando la chiusura delle porte della Ford e prendendo tra le mani la sua unica e oltretutto pesante valigia.
Tania non mi diede nemmeno il tempo di sistemare bene la presa che mi coinvolse in una disperata corsa nel college per scongiurare l'incontro con qualche matricola che per lei sarebbe stato troppo imbarazzante perché aveva il pantalone strappato che mostrava il suo raccapricciante intimo a cuoricini e lei si sarebbe vergognata a morte.
Fortunatamente riuscimmo a giungere alla camera passando inosservati. Erano tutti a lezione, aprii la porta e lei si fiondò dentro come un razzo nello spazio.
Io rimasi con la porta spalancata, fermo sull'uscio, curvato dalla pesante valigia.
«Chiudi la porta cretino!» mi urlò Tania con la faccia rossa, mentre mi si avvicinava e mi tirava dalla mano il suo bagaglio con la fretta di Speedy Gonzales. La adagiò con la delicatezza di un elefante e le molle gemettero per quel peso ondeggiando. Tirò su la zip, ma aveva dimenticato in tutta quella confusione la combinazione.
Cacciò una mano nella tasca destra dei pantaloni, e dopo una veloce ricerca, tirò fuori un bigliettino.
«ADFY3456RD.»
«Bene, adesso potevo curiosare, visto che sapevo la password.» pensai, notando quanto quella ragazza fosse ingenua, ma che la sua ingenuità fosse un punto a suo favore ero riuscito a notarlo ora.
Spalancò la valigia e iniziò a lanciare alla rinfusa tutti gli indumenti, che prontamente schivai. Stava ancora scavando disperata in quel mostro, mentre io mi ero concesso un pochino di pace, accompagnato da una birra.
Bevvi un sorso e fissai lo strappo, ma in realtà, era la mutandina che migliorava tutto e quei cuoricini piccoli disposti su tutto il suo tessuto. Ridacchiai e soffocai tutto con un sorsetto di birra. Lei si voltò, smettendo di ispezionare il contenuto della valigia e mi fissò adirata, con le braccia sovrapposte, come una moglie che stava rimproverando il marito per la sua poca affidabilità.
«Ehm, che divertente lo spettacolo eh?»
«Molto, sopratutto con una birra.» agitai la bottiglia dalla sua parte, mentre recuperavo un pacchetto di Punch per fumarne qualcuna.
Tania mi fissava ancora arrabbiata.
«Bene, invece di fissarmi il sedere come un perverso, potresti gentilmente trovarmi un pantalone? Gentilmente, Josh.» precisò con voce decisa.
Sbuffai come un toro, odiavo essere comandato. Cestinai la bottiglia nel contenitore dei rifiuti e mi issai dal letto.
«Vabbene.»
Lei sorrise.
»Perfetto. Faccio una veloce doccia. Sai dov'è il bagno?»
Mi avvicinai alla valigia e cominciai a cercare in ogni scomparto e tra i panni abbandonati in ogni dove.
Mi girai verso di lei.
«Ne abbiamo uno in camera. Dritto, prima porta.» le additai, mentre riprendevo la ricerca.
«Grazie mille Josh.»

Mi aveva fatto piacere.

Andò verso il bagno, spalancò la porta e prima di sparire al suo interno si affacciò.
«Non provare a sbirciare dalla serratura, pervertito.» e la sua risata si ovattò dopo che si chiuse la porta alle spalle.

Non lo avrei mai fatto. Per quanto fossi stronzo a deludere i cuori delle ragazze, non ero pervertito e la loro privacy la rispettavo.
Ignorai il desiderio di osservare l'acqua della doccia suicidarsi sulla sua pelle profumata e continuai la disperata ricerca dei nuovi pantaloni. Ispezionai la valigia in ogni parte, sollevai ogni piccolo suo capo, alcuni decisamente sportivi, ma uno solo sfoggiava il suo splendore più di tutti.

Era rosso, si intonava perfettamente coi suoi capelli.
Aveva uno spacco che arrivava a sfiorare la coscia, una vita piccola e stretta come uno stuzzicadenti.
Uno scollo importante all'altezza del seno, e il tessuto era fine e delicato. Era finito per sbaglio qui dentro, perché Tania non mi sembrava il genere di persone che mettevano in mostra i pregi fisici con così tanta ostentazione, ma quel vestito era provocante al punto giusto e avrebbe reso la sua proprietaria il più seducente possibile tanto da far impazzire un uomo, tanto per cambiare, già sentivo di essere impazzito.

Riposi l'abitino al suo posto, e tornai a inserire le mani nelle tasche interne della valigia, mentre udivo il getto della doccia.
Resisti, fai il bravo.
Mi suggeriva la coscienza, mentre immaginavo il tepore dell'acqua calda scivolarle nei capelli, sulla spalla, nei dettagli del suo corpo ignudo, mentre lei chiudeva gli occhi e si coccolava con quel trattamento benefico.
Calma, non rischiare la sincope.
Continuava a ripetermi il mio interno, mentre sentivo il muro rendere la stanza soffocante e la faccia farsi calda e rossastra.
Iniziai a percepire da quella porta che mi impediva di osservarla dentro il vano doccia la sua voce, la sua confortevole voce intonare una canzone per divertirsi.
Era così dolce, nonostante fosse un semplice delirio momentaneo, forse perché la sua proprietaria riusciva a cercare il meglio da ogni cosa, a farmi stare meglio anche senza vederla direttamente.

La sua voce divenne un mugolio ritmico, seguito dalla chiusura della manopola e il lento gocciolare che andava morendo.

Josh, smuovi quel sedere!
Mi precipitai al bagaglio e feci finta di niente, quando lei dischiuse la porta e fece il suo ingresso in camera con solo un asciugamano a cingerle il petto e un altro aggrovigliato sulla testa a mo di turbante, al pari di Aladino.
«Hai trovato i pantaloni?» mi chiese, mentre stava raggiungendo il letto del college liberandosi la chioma, che le ricadde sul petto, ancora trasudante.
Mi girai verso di lei, e continuai a guardarla come se non esistesse un domani il giorno dopo, mentre quel corpo ondeggiava nella stanza aizzando i miei ormoni.

Lei mi faceva perdere la testa.
Il suo corpo era proibito.
La sua pelle era profumata, avrei voluto coprirla in ogni dove di baci, ma non potevo.
Ero paralizzato.
E il suo essere quasi senza veli non migliorava di certo le cose, e io stavo diventando dipendente, come una droga di lei, come della birra, come delle mie preziose sigarette, come ogni cosa passata.

Lei annullava la mia coscienza.
Lei era fine, era inizio, era tutto.
E io la volevo, caz.

Basta Josh.

«Non ho trovato nulla. Ti sei dimenticata i pantaloni.» le dissi, raccogliendo i panni seminati per la stanza per far qualcosa che mi tenesse occupato con la testa, per non pensare a lei ignuda.
«No, Josh. Non può essere, fammi controllare meglio.» rispose lei disperata, rispalancando il bagaglio per ricontrollare per la millionesima volta.

Aveva paura di restare nuda per paura di un malanno, ma forse doveva preoccuparsi del mio pericoloso desiderio nei suoi confronti. Dinanzi ai miei occhi lei era nuda, alla merce delle mie mani che volevano scoprire ciò che si impegnava a nascondere.
Il suo asciugamano iniziò a cederle da dosso, mentre lei stava china nella valigia. Iniziò a scivolare mostrando uno strato latente di pelle, mentre nella mia testa si scatenava il codice rosso e cercavo di tenere a bada l'istinto sessuale.

Tania borbottò infastidita quando si trovò nelle mani un piccolo bigliettino rilegato in uno degli scomparti.
Lo aprì e lesse il contenuto sottovoce, poi stracciò il foglio riducendolo in piccoli pezzetti.
Si sedette in un tonfo sul letto di Hendrik, con le gambe accavallate, semicoperte dal lembo dell'asciugamano, con le braccia strette al petto e il viso contratto in un'inspiegabile voglia di rompere tutto. Non riuscivo ancora a capire, riposi i vestiti sul mobiletto accanto al letto integro di Sofia, e raccolsi il disordine dei pezzetti, prostrato ai suoi piedi.
Lei mi guardò per una manciata di secondi in silenzio.
«Che cosa succede?» non mi accorsi di aver tramutato i pensieri in parole; chiusi nel pugno i piccoli pezzettini e presi posto accanto a lei con tutte le intenzioni di volerla consolare.
«Brutte notizie?»
Lei voltò i suoi occhi azzurri tersi, mentre un primitivo blu pitturava il cielo e iniziava a ricoprirsi di stelle piccoli, grandi, splendenti e meno. «A me puoi dire tutto. So che non sono il corretto esempio, ma mi piacerebbe essere un tuo quasi amico.» puntualizzai, mentre gli occhi di lei seguivano la mano protratta verso la sua. Alzò il volto e ci fissammo. «Allora ti va?»
Lei spostò lo sguardo da me, dalla mano, poi di nuovo su me con sguardo sorpreso.
Parve pensarci su per vagliare la proposta, mentre le sorridevo sincero, senza un minimo di malizia né strafottenza, nonostante inizialmente mi fossi consumato per avere il suo corpo per me, trattenuto però dal buon senso di lasciar perdere per non complicare le cose e mettere a repentaglio un'amicizia ancora del tutto incerta. Lei strinse la mano, e sentii una scarica percorrere il mio corpo con una tale violenza, che credevo di essere rimasto fulminato.
«Affare fatto, Josh.»

Zona amicizia, non faceva niente.
Non volevo conquistarla, mi piaceva la sua compagnia, non avrei mandato all'aria tutto per il mio brutto atteggiamento.
Non ero Tony Tomlison.

«Bene e i pantaloni?» le domandai slegando la mano dalla sua, mentre lei si incupiva facendo segno al mio pugno dove erano ammucchiati quei pezzetti.
«Quella lettera è di mia madre. Mi ha tolto tutti i pantaloni, dannata lei, e ora mi ritrovo solo con stupidissimi vestitini.»
Si mise una mano tra i capelli con nervosismo, mentre appoggiava i gomiti sulle cosce. Guardai gli abiti sul comodino e si accese la lampadina come nei cartoni.
Le toccai una spalla.
«Ho un'idea, so che non ti piacerà.» cominciai, ma lei mi fece un segno di continuare.
«Alzati.»
Lei eseguì il mio ordine.
«Apri le braccia, per favore.»
Mi puntai un dito al di sotto del mento, e osservai la curvatura delle sue anche e le sue lunghe gambe intirizzite dal freddo.
«Potrebbe funzionare.»
Lei assottigliò lo sguardo. Corsi verso il grande armadio mogano e aprii un'anta trovandomi al cospetto di un barriera di pantaloni, mentre percepivo lei che su un piede mi scrutava sporgendosi oltre la mia figura.
Scelsi uno dei capi che si poteva adattare meglio e lo sfilai dalla gruccia, stendendolo sugli avambracci per farlo vedere alla mia 'cliente'.
«Ecco, indosserai uno dei miei pantaloni. Penso che ti calzerà a pennello.»
Lei visionò il capo, ma scosse il capo riluttante.
«Perché no?»
«Mi sembra ovvio. Non andrò in giro con un pantalone maschile, mi riderebbero tutti dietro.»
«No, non se ne accorgeranno neppure.» feci io, avvicinandomi.
«Io dico di sì. Non sono cechi, si vede lontano un miglio che il cavallo dei pantaloni è largo.. e ha quel coso dinanzi che non ho io!»
Sospirai. Che testa dura, mi è saltato in mente un particolare, sembra un deja-vù, qualcosa che ho già vissuto prima.
«No, apporterò delle modifiche, non si noterà. Le persone ti guardano in faccia, non in basso.»
«Oh, genio sono curiosa!» esclamò sarcastica. «Illuminami!»
«Senti, non ho altre soluzioni se non questa e mi dispiace dirtelo ma è l'unica.»
«No e poi no, piuttosto voglio mangiare serpenti nel mezzo del deserto.»
«Beh, questo non sarebbe accaduto se non avessi rotto i tuoi pantaloni.» le dissi e lei ricordando la caduta scongiurata dal mio intervento avvampò.
«È stata la portiera. Ci sono rimasta incastrata, Josh.»
«Qualunque cosa sia stata, adesso hai due possibilità. Prima, metterti i miei pantaloni e aspettare che te ne vai a comprare altri o seconda uscire in mutande. Adesso scegli.»
Lei ingoiò un groppo in gola.
«In mutande no, è peggio che farsi vedere in giro con i pantaloni di un maschio.»
«Bene, ecco a te.» e glieli lanciai addosso, mentre lei li prendeva al volo, e sospirando si rintanò nel bagno.

Aspettai pazientemente che si mostrasse con i miei pantaloni.
Morivo dalla curiosità di vederla, che nel mentre iniziai a camminare avanti e indietro per la ristretta stanza, misurando le doghe di legno del pavimento quando la porta del bagno rivelò una splendida creatura.
Mi soffermai sulla figura snella di Tania. Aveva una maglietta recuperata dal bagaglio, le vans gialle con righe sulla suola nere e i pantaloni che le andavano leggermente larghi e creavano afflosciamenti.
«Faccio davvero schifo con questo pantalone.» si disse, mettendosi le mani nelle grosse e ingombranti tasche. «Sembro un maschio.»

Anche con un costume da clown sarebbe stata fantastica.

«Secondo me stai bene.» commentai con un sorrisetto appena represso, mentre lei mi lanciava dritto in faccia una saettata di fuoco.
«Josh hai firmato la tua condanna a morte!» strillò, iniziando a corrermi incontro, ingoffata dal pantalone che le si stava sfilando di dosso. Io cominciai a trottare come un cavallo per la stanza, mentre Tania zoppicava nell'intento di acchiapparmi, ma io ero modestamente più veloce e ci misi poco a seminarla, girando intorno al mio letto, mentre lei stava dall'altra parte.
«Vieni qui. Ti uccido!»
Saltai come una gazzella da un letto a un altro, finché lei non mi afferrò un lembo dei pantaloni evitandomi la fuga e cademmo emtrambi sul pavimento, ridendo come due bimbi che giocavano a nascondino.

Cademmo insieme l'uno vicino all'altra. Iniziammo a fissarci, il mio nocciola si confuse con il suo azzurro chiaro, mentre creava un isolato mix. Sopprimendo le risate, i nostri corpi si fermarono, mentre il cuore esplodeva in ogni parte della testa e nei petti.
«Ti ammazzo.» mi sussurrò con voce dolce e minacciosa.
«Sono qui, alla tua merce.» le risposi mentre ancora ci fissavamo nella penombra.

Le nostre mani si avvicinarono, si avvicinarono così tanto, da unirsi, combaciare, mentre immobili alzavamo i nasi al soffitto.

Le nostre mani indivisibili.

****

Josh: hahahaha i pantaloni di Tania, che in realtà sarebbero i miei.
Tania: prima o poi ti ammazzerò!
Josh: sono qui yee. Se vi è piaciuto il capitolo dei nostro sfoghi su matrimoni, visioni, litigi e i pantaloni allora che aspettate?
Dovete farlo darling, mettete un bel voticino e commentate.
Io vi lascio un grande Kiss ♡ ovviamente a tutti, ma a chi metterà il like e un commentino.

Cosa accadrà ai pantaloni hahahaha?

Al prossimo pazzo aggiornamento.
Taniosh


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