Come un fiore tra le mine (Re...

By Elle_Jenny

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Mason vedeva solo nero. Non desiderava vedere più la luce in fondo al tunnel perché ormai era sceso a patti... More

Prologo di Mason
Prologo di Seb
Capitolo 1 - Mason
Capitolo 2 - Seb
Capitolo 3 - Mason
Capitolo 4 - Seb
Capitolo 5 - Mason
Capitolo 6 - Seb
Capitolo 7 - Seb
Capitolo 8 - Mason
Capitolo 9 - Seb
Capitolo 10 - Mason
Capitolo 11 - Mason
Capitolo 12 - Seb
Capitolo 13 - Mason
Capitolo 14 - Seb e un po' di Mason
Capitolo 15 - Mason e un po' di Seb
Capitolo 16 - Seb
Capitolo 17 - Mason
Capitolo 18 - Mason
Capitolo 19 - Seb
Capitolo 20 - Mason
Capitolo 21 - Mason
Capitolo 22 - Seb
Capitolo 23 - Mason
Capitolo 25 - Mason
Capitolo 26 - Seb
Capitolo 27 - Mason
Capitolo 28 - Seb
Capitolo 29 - Mason
Epilogo
Capitolo Speciale - Andy e Ben

Capitolo 24 - Mason e Seb

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By Elle_Jenny

"Dove sono? Da dove viene tutto questo fumo?"

Mason si sentiva come se stesse fluttuando su una nuvola di fumo, ma non era certo di dove si trovasse. Attorno a lui era tutto fumoso, sfocato e sentiva la gola arsa.

Cercò di mettere a fuoco, ma sembrava che più tentasse di scovare qualcosa tra quelle nubi di fumo più gli occhi gli bruciavano.

«Mason», si sentì chiamare.

Mason si guardò attorno, ma non riusciva a capire da quale parte provenisse l'eco di quella voce. Sembrava provenire da tutte le direzioni.

«Mason.»

«Chi sei?» urlò Mason.

«Mason... Sono io», continuò a dire quella voce.

Mason girava in tondo, abbassò un attimo gli occhi e si rese conto che la sua gamba si muoveva come un tempo, si muoveva come prima della bomba, della guerra, del dolore.

Rialzò gli occhi, avvertendo il petto pesante, continuava a vedere solo fumo. Solo quel maledetto fumo che sembrava volesse soffocarlo.

«Mason... Sono io», ripeté la voce.

No, un momento... Non era la stessa voce.

A furia di girare in tondo, finì per accasciarsi a terra.

Si strattonò i capelli biondi con entrambe le mani e strinse gli occhi. «Chi siete?»

In due punti differenti il fumo si fece più scuro, fin quando da quella nube grigia non si fece più chiara la figura alta di Timothy. Girò di scatto il capo quando si accorse della figura più piccola poco distante da lui.

«Seb», mormorò.

Sebastian si fece avanti, aveva i capelli appiccicati alla fronte, sembravano più scuri o, forse, erano sporchi di qualcosa. Si alzò e si avvicinò lentamente, fino a sgranare gli occhi quando si accorse della sua fronte completamente sporca di sangue.

«Mason», lo chiamò Timothy.

Mason voltò il capo verso di lui e urlò a squarciagola: «No, Timmy!» Anche lui aveva la fronte sporca di sangue.

Iniziò a sentirsi le mani umide, abbassò gli occhi su di esse e le trovò macchiate di rosso. Era il sangue degli uomini che più aveva amato?

«No... no... no.» Scuoteva il capo energicamente, si pulì le mani sui pantaloni, ma quel sangue sembrava non volesse andare via. Si mosse all'indietro. Doveva allontanarsi da loro.

Non voleva fargli del male.

«Mason», lo chiamarono nuovamente, le loro voci si mescolarono fino a creare un eco assordante.

Si tappò le orecchie con le mani sporche di sangue, serrò gli occhi, continuando a cantilenare: «No... no... no.»

Sgranò gli occhi, aprendo la bocca per prendere una lunga boccata d'aria. Stava soffocando.

Sollevò la schiena dal materasso, si portò entrambe le mani al petto, stringendosi la pelle sudata fino a conficcarsi le unghie nella carne. Continuava a prendere lunghe boccate d'aria per cercare di calmare il respiro e il panico crescente.

Udì un fruscio e uno sbuffo al suo fianco, spostò gli occhi e si scontrò con la vista quasi dolorosa di Seb che continuava a dormire placidamente al suo fianco. Aveva le mani nascoste sotto al cuscino, il capo girato verso di lui, la coperta che gli nascondeva il resto del corpo, i capelli viola che gli cadevano sugli occhi chiusi. Dormiva serenamente, non si era accorto di nulla.

Ebbe l'impulso di accarezzargli una guancia e baciargli la fronte, ma strinse le mani in due pugni e se lo impedì.

Gli occhi gli caddero sul suo bastone, appoggiato accanto al comodino. Si spostò le coperte dalle gambe e si mosse lentamente per alzarsi. Gli venne una fitta dolorosa al ginocchio che ignorò serrando le mascelle. Quella camera da letto aveva incominciato a stargli stretta, nonostante avesse regolato il respiro, sembrava che le pareti volessero schiacciarlo.

Doveva uscire.

Cercando di non fare rumore per non svegliare Seb, si vestì con i primi abiti che gli finirono tra le mani, strinse il suo bastone e andò in cucina. Sanji e Eva stavano dormendo, acciambellati l'uno vicino all'altra sul tappeto davanti al divano. Si accorsero della sua presenza, ma dopo aver aperto entrambi un occhio e mosso un po' la coda, ritornarono a sonnecchiare.

Con mani tremanti, aprì il frigo e si riempì un bicchiere d'acqua. Quell'incubo non voleva sparire dalla sua mente. Lo stava rendendo ansioso, paranoico. Afferrò anche la confezione di ansiolitici che aveva in cucina e inghiottì una pasticca. Prese l'ennesima, lunga boccata d'aria.

Anche le pareti della cucina sembravano che volessero schiacciarlo. Così, preso dall'istinto e dalla sua necessità di acquietare l'ansia e i pensieri e dalla voglia di cancellare dalla sua mente quell'incubo che rientrava tra i peggiori che aveva fatto, strinse nel pugno le chiavi della sua auto e, ignorando la sedia a rotelle, uscì di casa.

🖤

Seb, ancora con gli occhi chiusi e con le palpebre pesanti, stiracchiò le braccia sopra alla sua testa. Sentì qualche osso scricchiolare e avvertì un leggero indolenzimento tra le natiche.

Gli venne da sorridere perché era stato il sesso migliore della sua vita. Era stato intenso e... naturale.

Si stropicciò gli occhi e cercò di aprirne uno. Con quell'unico occhio aperto si rese conto che Mason non era al suo fianco. Fece scorrere un palmo sulle lenzuola e le percepì fredde. Doveva essersi alzato da molto.

Spostò le coperte, rabbrividì per il freddo perché era completamente nudo, poi mosse lentamente le sue membra molli e sonnolenti.

Indossò le mutande, i pantaloni verdi della tuta che aveva portato il giorno prima, poi afferrò una maglia grigia a maniche lunghe di Mason e una delle tante felpe che ormai erano diventate di sua proprietà. Andò in bagno, fece una lunga pipì, sospirando per il sollievo alla vescica, poi si diede una sciacquata e una pettinata perché sembrava avesse messo entrambe le mani in una presa della corrente.

Diede un'occhiata all'orario sul suo cellulare e vide che erano appena le sette del mattino; strusciando i piedi coperti dai calzini contro il parquet, raggiunse la cucina, da cui proveniva un profumo delizioso: un mix di fragranza di caffè e dell'odore dolce dell'impasto dei pancake.

«Buongiorno, angioletto», lo salutò Evan, dandogli un'occhiata e facendogli un sorriso mentre continuava a preparare i pancake.

Era vestito e pronto per il lavoro. Indossava dei morbidi pantaloni blu, un maglione a costine bordeaux da cui fuorusciva il colletto di una camicia bianca. I capelli di Evan avevano delle sfumature naturali castano-dorate e sembrava che non vedessero un pettine da parecchio tempo, ma faceva tutto parte del suo look giovanile. Solo che c'era qualcosa che stonava nel suo piacevole aspetto esteriore e quel qualcosa erano le sue occhiaie.

«Buongiorno a te.»

«Mason?» gli domandò Evan.

Seb aggrottò le sopracciglia e si avvicinò al ragazzo.

«Veramente, stavo per chiederlo a te.»

Evan sistemò l'ultimo pancake sulla torre che aveva preparato. Si voltò con il piatto tra le mani e lo posò sull'isola della cucina preparata per la colazione.

«Qui non c'è. Pensavo che fosse ancora a letto con te.»

Una strana sensazione di disagio iniziò a far accavallare i nervi delle spalle di Seb. «Quando mi sono svegliato la sua parte del letto era vuota.»

Si sentì grattare contro il vetro della porta che dalla cucina portava alla veranda e al giardino. Seb l'aprì e in casa entrarono Sanji e Eva.

«Eva è qui. Allora non è uscito per farla passeggiare», constatò Seb. Iniziò a preoccuparsi, iniziò a preoccuparsi sul serio.

Quando dormiva, Seb tendeva ad avere il sonno di un orso che entrava in letargo. Non lo aveva sentito alzarsi, non aveva idea delle ore che fossero trascorse da quando si era alzato.

«Okay... deve essere successo qualcosa», affermò Evan. Seb percepì preoccupazione anche dal suo tono di voce che tendeva a essere sempre ironico e gioviale. Si infilò una mano in tasca e cacciò il cellulare. «Provo a chiamarlo.»

Si portò il cellulare all'orecchio, ma poco dopo si sentì la suoneria di Mason provenire dalla camera da letto. «Cazzo, l'ha lasciato a casa», disse Seb, portandosi una mano tra i capelli.

Doveva mantenere la calma, ma trattandosi di Mason ed essendo a conoscenza della sua condizione psicologica fragile, era davvero difficile.

«Chiamo mia madre», continuò a dire Evan, facendo partire velocemente la chiamata a Belinda. La donna rispose subito. «Ciao, mamma. Per caso Mason è passato a casa?»

Seb vide lo sguardo di Evan che diventava sempre più serio, le mascelle tese. «No? Nemmeno Alan lo ha visto?» chiese, ma poco dopo Evan si lasciò scappare tra i denti un: «Porca puttana, mamma. Mason non è casa, Seb non l'ha trovato in camera quando si è svegliato e non sappiamo dove si trovi e ha lasciato il cellulare qui. Non è uscito con Eva perché anche lei è a casa... Va bene, vi aspettiamo. Chiamo Michael e Jamie.» Evan chiuse la chiamata con sua madre e ne fece partire subito un'altra.

Seb si portò una mano a petto, iniziando a sentirlo pesante. Si sentiva in colpa e inutile.

«Mike... Abbiamo un problema. Non troviamo Mason. Non è uscito con Eva, non è nemmeno da mamma e ha lasciato il cellulare a casa. Deve essere uscito durante la notte.»

Seb sgranò gli occhi, corse verso il portone d'ingresso. Lo spalancò dopo aver visto la sedia a rotelle accostata accanto al mobile basso che Mason usava per aiutarsi a infilare le scarpe. Il suo bastone, però, non c'era e non c'era nemmeno la sua auto.

«È uscito con la macchina. Mike e Jamie stanno arrivando», parlò Evan, comparendo al suo fianco.

Seb mosse gli occhi nervosi alla sua destra e vide Alan e Belinda che correvano verso di loro. Poco dopo arrivarono anche Michael e Jamie. Evan chiamò a lavoro e informò che quel giorno non sarebbe potuto andare; con voce e mani altrettanto tremanti, Seb avvertì l'università. Tutti, di comune accordo, decisero di non far sapere nulla a Rachel perché era in condizioni troppo delicate, essendo incinta.

Seb aveva le mani conficcate nei capelli, appallottolato in un angolo del divano. «Mi sento in colpa, mi sento in colpa», continuava a mormorare.

Una mano con le unghie corte e stondate si posò sul suo ginocchio e iniziò a muoversi delicatamente. «Non devi sentirti in colpa», gli parlò la voce sempre calma di Jamie.

Seb non riuscì ad alzare il capo per guardarlo negli occhi. «Mi sento in colpa, invece. Perché se lo avessi sentito mentre si alzava...»

«Avrebbe trovato comunque un modo per andarsene e starsene da solo», aggiunse la voce dalle note baritonali di Michael.

Seb strinse le palpebre perché gli veniva da piangere, ma non voleva frignare davanti a tutta la famiglia di Mason. Però... non riusciva davvero a calmare quel tumulto doloroso che avvertiva al centro del petto.

Sanji strusciò il suo muso umido contro una gamba di Seb. Gli accarezzò dolcemente il capo perché quel cucciolone aveva la straordinaria capacità di comprendere sempre quando qualcosa non andasse in lui.

«Ha avuto un incubo. Ne sono sicuro», affermò, continuando a far scorrere le dita sul manto beige di Sanji. «Anche la prima notte che ho dormito qui ne ha avuto uno. Erano le tre di notte, fuori gelava, l'ho trovato sul dondolo in veranda che fissava il cielo. Abbiamo discusso, mi sono arrabbiato perché non voleva farmi entrare nel suo dolore, non voleva che io provassi ad aiutarlo. Alla fine... siamo stati lì fuori fino all'alba a gelarci le gambe e a parlare. Aveva sognato Timothy, la Siria, delle nubi di fumo e delle ombre che gli impedivano di raggiungere Timmy....»

Seb interruppe il suo racconto, alzò il capo di scatto con gli occhi azzurri sgranati e li puntò sul viso segnato dalla preoccupazione di Evan, il quale si trovava proprio di fronte a lui. «Timmy. Il cimitero. Dobbiamo provare ad andare al cimitero.»

Nel giro di pochi minuti, salirono tutti in auto e sfrecciarono verso il cimitero. Seb ricordava dove si trovasse la tomba di Timothy, da quella notte che Mason lo aveva portato lì e gli aveva confessato che da quando era tornato dalla Siria aveva iniziato a vedere l'anima di Timothy. Seb non gli aveva mai detto che fosse strano o matto, perché il dolore era un qualcosa di personale e i traumi erano difficili da superare.

Però, una volta giunti davanti alla tomba di Timothy, di Mason non c'era traccia. Seb afflosciò le spalle e si appoggiò contro Evan che gli circondò la schiena con un braccio.

«Non è qui, dannazione», mormorò, osservando il sorriso sereno del ragazzo nella foto e tutte le piante ben curate attorno alla lapide di Timothy.

Belinda si accasciò verso la lapide, accarezzò la foto di Timmy, dedicandogli un sorriso triste. Jamie corse al fianco della madre.

Alan si abbassò verso le piante e mise le dita nella terra. «È bagnata, ragazzi. È stato qui», affermò con fermezza.

Quelle sue parole alleviarono di poco la tensione nei muscoli di Seb.

Con la coda dell'occhio vide Michael che iniziava a smanettare con il suo cellulare.

«Chi vuoi chiamare?» gli domandò Evan.

Michael si portò il cellulare all'orecchio. «Simon.»

«Ho capito», disse Jamie.

Seb, invece, non aveva capito come il barista del Red Moon potesse aiutarli a ritrovare Mason.

«Ehi, Simon. Mi serve il numero di tua zia.»

💜

Erano ritornati a casa di Mason. Il silenzio e la tensione avevano reso l'aria attorno a loro pesante. Come era pesante il macigno che continuava a schiacciare il petto di Seb. Jamie non gli aveva lasciato mai la mano. Si stavano stritolando le dita a vicenda per la preoccupazione.

Evan camminava avanti e indietro, sparando parolacce, maledicendo in tutti modi la testa dura di Mason. Michael lo guardava e sospirava. Alan stava asciugando con i polpastrelli delle lacrime che avevano bagnato le guance di Belinda.

Anche Eva e Sanji sembravano nervosi e non riuscivano ad acquietare i loro uggiolii.

Poi, all'improvviso, si udì il rombo di una moto. Evan corse a spalancare il portone, Seb era subito dietro di lui.

Una moto nera si parcheggiò davanti al giardino curato di Mason; Seb vide una donna vestita di nero, in perfetto pendant con la sua moto, che si stava sfilando il casco dalla testa, facendo piovere sulle sue spalle tanti ricci disordinati, erano biondi con delle ciocche blu, si intravedeva anche qualche sfumatura verde.

La donna scese con un unico movimento fluido dalla moto, afferrò un secondo casco e si avvicinò a loro.

Seb conosceva Annie solo grazie alle storie che aveva sentito da tutto il gruppo del Red Moon. Era la zia di Simon, una donna eclettica e rispettata da tutti.

«Il vostro salvatore è arrivato», affermò, sogghignando. Guardò Seb e gli lanciò il casco tra le mani. Fortunatamente, riuscì a prenderlo al volo. «Vieni con me. Andiamo a cercare quel coglione. Stamattina avevo proprio voglia di insultare qualcuno.»

🖤

Seb scese dalla moto di Annie e per poco non cadde con il culo per terra. Aveva i muscoli molli e si sentiva i capelli schiacciati sul capo e sudati.

«Tutto bene?» gli chiese Annie, Seb notò come la donna stesse cercando di celare il divertimento.

Seb si sfilò il casco e glielo mise tra le mani. «Mi sono quasi fatto sotto.»

Annie scoppiò a ridere e appoggiò entrambi i caschi al manubrio della moto. «La prima volta è sempre così.»

«Mhmm», mugugnò Seb. «Penso che continuerò a preferire l'auto.»

Annie rise e gli diede una pacca sulla spalla abbastanza forte che Seb ebbe per un attimo paura avesse potuto slogargliela. Si sentiva una formica accanto a quella donna che invece aveva la stessa aura di un leone.

Seb si guardò attorno. Erano al parco pubblico di Rockford. A terra, i sentieri erano ricoperti di foglie secche; c'erano vari corridori, persone che avevano portato i loro cani a fare una corsa o i bisogni, c'era anche qualche mamma e qualche bambino infagottato per proteggersi dal freddo.

«Perché siamo qui?» chiese alla zia di Simon.

«Perché qui ho conosciuto Mason per la prima volta mesi fa», rispose. Aveva lo sguardo attento, gli occhi grigi che si guardavano freneticamente attorno. «Mi ha colpito in testa con un palla da tennis piena di bava del suo cane.»

Mason non gli aveva mai raccontato del suo rapporto con Annie, però, osservando meglio quella donna, Seb poté immaginare per quale motivo quei due esseri umani così burberi avessero creato un loro strano legame di amicizia e di rispetto reciproco, sopratutto.

«E avete continuato a incontrarvi qui la mattina presto?» chiese Seb, curioso.

Annie annuì, ficcandosi le mani nelle tasche della giacca di pelle imbottita. «Io gli racconto dei miei drammi con un bambino un po' testa di cazzo come me di quasi tre anni, che si diverte la mattina presto a leccarmi il naso e lui mi ha raccontato anche di te», le rispose la donna, lanciandogli un'occhiata ilare. Poi alzò gli occhi al cielo. «Che bello dire le parolacce. Quando sono fuori casa cerco di approfittarne. Senti un po' qui come suona soave: te-sta di caz-zo», sillabò, sospirando.

A Seb venne da ridere, poi prese a mordicchiarsi il labbro. «Davvero ti ha raccontato di me?»

«Gli hai fatto bene, Seb. Mason ha la testa incasinata, ma sta cercando di mettere a posto un angolo solo per te.»

Seb afflosciò le spalle. «E allora perché stamattina è sparito senza dire nulla a nessuno?»

Annie si piazzò davanti a Seb e gli posò le mani tatuate e piene di anelli sulle spalle, il suo sguardo si fece sorprendente serio. «Anche se sai che di quella persona ti puoi fidare, si fa fatica a chiedere aiuto, Seb. Le persone che sono state abituate a vedersela da soli ci mettono tempo a sbloccare quella parte del loro modo di fare. Io ne so qualcosa, prova a farti una chiacchierata con quella santa di mia moglie.»

Seb abbassò il capo e puntò gli occhi sugli stivali dalla punta rovinata di Annie. «Io voglio aiutarlo», mormorò.

Annie gli passò una mano tra i capelli e glieli arruffò. Sembrava un gesto così affettuoso, un qualcosa che era abituata a fare, forse con suo figlio o con Simon. «E allora, andiamo a cercarlo così potrai incazzarti per bene con lui.»

«Il parco è enorme. Potrebbe essere ovunque» gli disse Seb, sconsolato.

Non vedeva l'ora di trovare Mason, afferrarlo per il collo e strozzarlo.

«So dove potrebbe essere», esordì Annie. Indicò un punto alla loro sinistra. «Lì in fondo, c'è un lago artificiale. Una mattina ho fatto tardi perché Jake aveva deciso di vomitarmi tutto il latte con i biscotti sugli stivali - se mai un giorno deciderai di diventare genitore, sappi che ci saranno mesi pieni di merda molle e dai colori strani, di vomito e di pianti. Comunque, sono arrivata insieme al mio cane e l'ho trovato appoggiato alla recinzione, che fissava le papere e le oche. Scherzando, gli chiesi se avesse puntato quella giusta da fare arrosto con le patate.»

Annie riuscì a strappargli un piccolo sorriso. «Mason cosa ti ha risposto?» domandò, curioso, seguendo il passo lungo di Annie, che aveva iniziato a incamminarsi verso il lago.

«Mi ha risposto che preferisce il pollo.»

Seb fece un altro minuscolo sorriso. Desiderava con tutto il cuore che fosse andato a fissare le papere.

«Io gli ho detto che pensavo fosse un tipo da pesce

Seb sghignazzò all'occhiolino allusivo della donna, sentendo la tensione, che gli stava indolenzendo i muscoli delle spalle, che si alleviava un po'.

«Infatti...» continuò a dire Annie, rallentando il passo. «Eccolo lì, sta sussurrando i suoi problemi alle papere.»

Seb seguì il suo sguardo e ci mise un secondo a riconoscere la schiena e le spalle ampie di Mason, nonostante avesse il capo coperto dal cappuccio della felpa. Era seduto su una panchina di ferro e legno, proprio di fronte al lago delle papere.

Strinse le mani in due pugni e, lasciandosi Annie alle spalle, corse da quella grandissima... «Testa di cazzo!» esclamò, avvertendo la furia che gli stava facendo ardere la pelle del collo e sentendosi per un attimo Toby.

Vide la schiena di Mason raddrizzarsi, ruotò il capo su una spalla e, quando vide Seb che lo stava raggiungendo, sgranò gli occhi e mormorò: «Sebastian.»

Seb lo avrebbe affogato in quel lago. Però, nonostante la rabbia e la preoccupazione, fu comunque sollevato di averlo di nuovo davanti agli occhi.





Nota di Jenny

Ehilà, era da un po' che non pubblicavo con regolarità, come era da un po' che non scombinavo un po' le carte, finendo il capitolo sul più bello.

Spero che Seb e Mason continuino a piacervi. Sapete, mancano pochi capitoli alla fine di quest'altra avventura insieme a tutta la banda del Red Moon, nata quasi quattro anni fa, durante il lockdown.

Minchia... sono trascorsi quattro anni. Mi sento un po' come la vecchia Rose all'inizio della storia di Titanic. 😂

💜🖤

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