Come un fiore tra le mine (Re...

By Elle_Jenny

28K 2.2K 1.7K

Mason vedeva solo nero. Non desiderava vedere più la luce in fondo al tunnel perché ormai era sceso a patti... More

Prologo di Mason
Prologo di Seb
Capitolo 1 - Mason
Capitolo 2 - Seb
Capitolo 3 - Mason
Capitolo 4 - Seb
Capitolo 5 - Mason
Capitolo 6 - Seb
Capitolo 7 - Seb
Capitolo 8 - Mason
Capitolo 9 - Seb
Capitolo 10 - Mason
Capitolo 11 - Mason
Capitolo 12 - Seb
Capitolo 13 - Mason
Capitolo 14 - Seb e un po' di Mason
Capitolo 15 - Mason e un po' di Seb
Capitolo 16 - Seb
Capitolo 17 - Mason
Capitolo 18 - Mason
Capitolo 19 - Seb
Capitolo 20 - Mason
Capitolo 21 - Mason
Capitolo 23 - Mason
Capitolo 24 - Mason e Seb
Capitolo 25 - Mason
Capitolo 26 - Seb
Capitolo 27 - Mason
Capitolo 28 - Seb
Capitolo 29 - Mason
Epilogo
Capitolo Speciale - Andy e Ben

Capitolo 22 - Seb

883 68 72
By Elle_Jenny

«Oggi hai fatto davvero un ottimo lavoro, Seb. Tra un paio d'anni potrai tranquillamente prendere il mio posto».

Seb sbatté le palpebre un paio di volte e alzò gli occhi dalla cartellina blu che stringeva tra le mani da quando l'aveva chiusa con l'elastico e aveva lasciato l'aula dopo due intense ore di lezione insieme a Rachel e a cinquanta studenti che frequentavano le loro lezioni ogni settimana.

«Non esagerare, Rachel. Sei giovane e hai pochi anni di insegnamento alle spalle», fu la replica di Seb, guardando di traverso Rachel, la quale stava camminando al suo fianco, sorrideva, placida, e con un colpo di indici si aggiustò la frangia bionda sulla fronte.

Quella ragazza era diversa dalla maggior parte delle professoresse che insegnavano al campus, le quali andavano in giro con sguardo superbo e ticchettando contro il pavimento con le loro décolleté. Rachel indossava per lo più tute sportive, jeans morbidi e felpe dai colori pastello. Avrebbe potuto mimetizzarsi tra gli studenti. Seb si sentiva sempre a suo agio a stare con lei.

«Ciò non significa che io non sia in grado di capire di avere qualcuno che potrebbe essere più bravo di me a insegnare a tutti quegli adorabili caproni», rispose, facendogli un sorriso furbo.

Seb abbassò nuovamente gli occhi sulla cartellina blu, ricordandosi del compito che si trovava in cima e tutti gli altri perché era stato consegnato per ultimo dallo studente che lo aveva svolto.

Un paio di pomeriggi prima Rachel si era trovata davanti al suo pc nell'ufficio che condividevano, aveva sbuffato e si era accarezzata la pancia con sguardo pensieroso per poi confessare a Seb che aveva voglia di fare una lezione diversa, una lezione che non centrava un bel niente con il graphic design per mettere alla prova gli studenti. Seb si era messo a mangiucchiare una matita fin quando i suoi occhi non erano caduti sulla risma di fogli per la stampante e una lampadina immaginaria gli era apparsa sopra la testa.

«Forse ho un'idea», aveva detto a Rachel.

Rachel lo aveva guardato con occhi interessati e gli aveva fatto uno dei suoi sogghigni furbi. «Nella mi vita ho sempre preso decisioni di merda, tranne due volte. La prima è stata quando ho mandato a quel paese la paranoia e mi sono fatta abbindolare dal sorriso genuino di mio marito mentre la seconda è stata quando ho deciso di prenderti come mio assistente. Sputa il rospo, Turner».

L'idea di Seb era stata quella di prenderli alla sprovvista, di consegnare loro un semplice foglio bianco di stampante per poi dire agli studenti di disegnare con tutto quello che avevano a disposizione al momento un qualcosa di originale proprio sopra a quel foglio. Poteva essere una qualsiasi cosa, come la copertina di un manga, delle scene di un fumetto inedito o un ricordo di qualcosa che avevano vissuto, che era impresso nella loro memoria e che smuoveva loro dei sentimenti.

Solo che... il lavoro che si trovava in cima a tutti gli altri, coperto dalla plastica blu della cartellina gli aveva messo uno strano senso di inquietudine addosso e le mani avevano iniziato a formicolargli, come ogni volta che iniziava ad avere voglia di chiudersi in soffitta e mettersi a dipingere.

Non lo faceva da parecchio, anzi, da molto tempo aveva perso quello stimolo che lo portava a ricoprirsi dalla testa ai piedi di pittura. Gli era mancata quella necessità.

Una figura nera gli passò accanto, attirando completamente l'attenzione di Seb.

Quella figura nera era l'autore del compito che lo aveva turbato.

Ramiro Arias Lockwood.

Seb conosceva di vista quel ragazzo del primo anno e non perché lo avesse notato in precedenza alle lezioni di Rachel, ma perché ogni tanto aveva fatto visita a suo fratello al Centro Veterani.

Nonostante Ramiro fosse un ragazzo alto quanto un cucciolo di giraffa, che riusciva a sovrastare in altezza la maggior parte dei suoi colleghi di corso, e nonostante fosse una figura nera per via del suo abbigliamento prevalentemente scuro, dei suoi riccioli neri nascosti sempre sotto a un cappellino o al cappuccio della felpa, era riuscito in qualche modo a passare inosservato fino a quel giorno, sedendosi nell'angolo più remoto nell'aula, utilizzando gli altri compagni come muraglia umana.

Quella mattina, però, Seb lo aveva riconosciuto quando era andato a consegnargli il suo lavoro con in basso il suo nome e il suo numero di matricola.

«Oh, ciao, Ramiro», lo aveva salutato Seb, sorpreso di vederlo.

Ramiro lo aveva guardato, sfuggente, con i suoi occhi scuri attraverso i riccioli neri che gli coprivano la fronte. «Ciao», aveva mormorato per poi dargli subito le spalle per andare a recuperare tutte le cose che aveva sparso sul suo banco per svolgere il compito.

Seb sapeva ben poco di quel ragazzo, escluso il particolare che era stato preso in affido da una casa famiglia che ospitava i figli di immigrati negli Stati Uniti che erano stati abbandonati. Per quel motivo Ramiro aveva il doppio cognome, perché i suoi genitori affidatari erano riusciti ad adottarlo dopo anni di pratiche burocratiche.

«L'ho visto», gli disse Rachel.

Seb sbatté nuovamente le palpebre. «Cosa?» rispose, confuso a Rachel.

Rachel ammiccò verso la cartellina blu, si era fatta improvvisamente seria. «Il lavoro di quel ragazzo.»

Il lavoro di Ramiro aveva inquietato Seb perché aveva quasi del tutto colorato il foglio con un colore a olio nero per poi mescolarlo al rosso nel mezzo nel foglio, sfumando i colori fino a creare una specie di ombra che aveva l'aria di essere una figura che si abbracciava le gambe, come presa dalla disperazione che era stata resa quasi del tutto nitida aggiungendo qualche dettaglio bianco, probabilmente utilizzando un semplice correttore per penna.

«È... stato il migliore a mio avviso, ma allo stesso tempo è...»

«Struggente», terminò Rachel per Seb.

Seb annuì mentre le sue mani continuavano a formicolare.

💜

«Andy, ho preso una decisione: inizierò a prostituirmi di nascosto da Thomas. Potrei farmi un sacco di soldi. Tu cosa ne pensi, Seb?»

«Mhmm, sì, certo, se ti fa felice, Toby», rispose Seb, soprappensiero, mentre mordicchiava la cannuccia del frappé al cioccolato che aveva preso al bar del campus.

Poco dopo la mano sorprendentemente piena di forza del suo migliore amico andò ad impattare dietro al suo collo. Per poco non si spiaccicò con la fronte contro il bicchiere.

«A cosa stai pensando, testa di cazzo?» gli chiese Toby.

«Mi hai fatto male.» Seb si accarezzò il punto dolorante.

«Onestamente, non mi importa di averti fatto male. Dicci tutto, Dolly.»

Seb ritornò a mordicchiare la cannuccia del suo frappé, senza continuare a berlo. Ormai era quasi del tutto sciolto.

«C'è qualcosa che ti turba, Seb», gli si rivolse Andy. La sua voce era come sempre calma e pacata, l'esatto opposto di Toby.

«Lui è tutto turbato. Non lo vedi?» replicò Toby, dando un grosso morso alla ciambella al cioccolato che si era comprato. Toby aveva lo stesso appetito vorace di un giocatore di rugby all'inizio della sua carriera sportiva.

Seb allungò la mano verso il suo migliore amico e gli pizzicò una guancia. Toby scacciò velocemente la sua mano e lo guardò male.

«Mi hai toccato.»

«No, ti ho pizzicato.»

Toby sbuffò, facendo svolazzare alcuni ricci castani alla sua fronte. «Sei un dito nel culo, Seb. Anzi, no, le dita nel culo sono piacevoli. Diciamo che sei più fastidioso delle mutande che ti si infilano tra...»

«Toby», lo ammonì Andy. Certe volte quel ragazzo aveva proprio il tono di voce ammonitore di una mamma che riprendeva un figlio insolente.

Toby lo osservò, come al solito, con sfida. «Cosa pensi, Lolly, che mi sia dimenticato della tua avventura al Red Mood con il bel professore?»

Le lentiggini sulle guance di Andy diventarono più accentuate dall'improvviso rossore che si espanse sulle sue gote. «Non c'è stata nessuna avventura al locale.»

Toby - anche un po' Seb, in realtà - lo guardò con accondiscendenza. «Poco ci credo, ma farò finta di crederci per darti un altro po' di tempo per metabolizzare».

Seb ridacchiò, mentre Andy guardò Toby con l'esasperazione nello sguardo. «Ma quanto sei magnanimo.»

Toby scosse una mano in direzione di Andy, come se fosse un moscerino fastidioso, poi il suo migliore amico ritornò a concentrare tutta la sua attenzione su Seb.

«Allora? Almeno tu vuoi dirmi cosa c'è che non va? Mason ne ha combinata un'altra delle sue?»

Seb negò con il capo e non riuscì ad evitare di abbozzare un sorrisino quando Toby nominò Mason musone.

«Ah, bleah, hai gli occhi a cuoricino», commentò Toby, disgustato.

Seb lo guardò. «A cuoricino? E io che pensavo che gli occhi fossero rotondi», replicò, utilizzando le stesse parole che più di un anno prima Toby aveva rivolto a Seb quando aveva iniziato a fare sul serio con Thomas. Lo aveva detto di avere una buona memoria.

«Bravo, stai cercando di rigirarti la frittata. Sono riuscito ad insegnarti qualcosa di utile. Però, rimani comunque una testa di cazzo», rispose Toby, ma stava sogghignando.

Seb prese un lungo sorso del suo frappé dolcissimo e scioltissimo. «Infatti sono il tuo migliore amico, cucciolino», replicò, aggiungendo un sorriso e un occhiolino.

Toby strinse gli occhi in due fessure. «Non chiamarmi mai più cucciolino

«Va bene, cucciolino

Si udì un lungo sospiro provenire dal saggio del gruppo. Andy aveva l'animo di un vecchio saggio bloccato nel corpo di un ventenne.

Sia Seb che Toby girarono il capo verso di lui. «Prima o poi, per colpa vostra e delle mie nonne mi verrà una gastrite», affermò, poi aggiunse: «Forza, Seb... Cosa ti preoccupa?»

Seb aprì le labbra per raccontare tutta la storia del compito improvvisato quella mattina con Rachel, quando per la seconda volta in quella giornata un'ombra nera attirò la sua attenzione.

Ramiro stava facendo lo slalom tra gli altri studenti, senza parlare con nessuno e senza salutare nessuno. Sembrava volesse passare il più inosservato possibile. Aveva un cappellino nero in testa su cui erano poggiate un paio di grandi cuffie che gli coprivano quasi del tutto le orecchie.

In un attimo fu inghiottito dalla calca di studenti che stavano facendo la fila al bar, quindi Seb lo perse di vista. Sospirò, guardò uno per uno i suoi migliori amici e raccontò loro di quel disegno che gli aveva messo una strana inquietudine e che non riusciva a levarsi dalla testa. Nel retro del suo cervello aveva iniziato a suonare un leggero campanello, come se volesse provare ad avvisarlo di qualcosa che sarebbe successo.

«Da come ne parli, sembra che quel ragazzo potrebbe avere qualche trauma», fu la risposta di Toby, il quale era diventato più serio del previsto.

Seb lo fissò, aveva la fronte crucciata e si stava mangiucchiando l'unghia del pollice. Non avrebbe mai voluto turbare il suo migliore amico con tutti quei viaggi mentali che erano passati per il suo cervello bacato dopo che aveva visto Ramiro e il suo lavoro. Conosceva bene la storia di Toby, il suo passato, l'aggressione subita, l'omofobia, gli incubi che ogni tanto ritornavano a infastidirlo.

Così, senza pensarci ulteriormente e perché Seb era un coccolone, si sporse verso il suo migliore amico e lo abbracciò stretto.

Toby si irrigidì, in un primo momento, così Seb gli disse: «Non volevo far riaffiorare quei brutti ricordi. Mi dispiace, Toby.»

Toby sbuffò, poi la sua dimostrazione di "affetto" fu quella di tirargli un altro buffetto dietro al collo, ma senza fargli male. «Non è colpa tua se nel mondo c'è troppa merda e pochi cessi per poterla scaricare.»

Andy sghignazzò. «Questa è da libro di poesie, Toby.»

Seb districò le braccia dal corpo magro di Toby, si allontanò e, successivamente, gli tirò un boccolo. «Sei davvero un poeta, Molly.»

Toby incrociò le braccia. «Vero? Avrei dovuto optare per una laurea in Lettere o in Filosofia.»

Seb e Andy sghignazzarono mentre Toby distorse le labbra in una smorfia divertita.

«Stavo pensando...» esordì Seb.

Toby si portò una mano alla fronte, fingendosi disperato. «Oh, cazzo, quando pensi è preoccupante.»

Seb si allungò verso la sua guancia e riuscì a dargli un altro pizzico. Toby si infuriò.

«Stavo pensando», ripeté. «noi non siamo le Super Chicche, ma le Super Checche.»

Andy si portò una mano alla bocca per trattenere le risate, mentre Toby ne approfittò per colpirlo nuovamente dietro la nuca.

«Ciao, ragazzi.»

Le risate di gruppo cessarono quando una voce e una figura molto familiari invasero il loro spazio. Andy si immobilizzò, diventando ancora più bianco; il viso di Toby invece si distorse per via di un sorriso diabolico mentre Seb, il quale era un coccolone e un tenerone, continuava a sperare di vedere Andy e il professor Carson che camminavano mano nella mano con degli angioletti che spargevano petali di rosa e polvere di stelle attorno a loro.

«Uh, guarda, Andy caro... È arrivato il tuo bel professore», affermò Toby, osservando con sguardo sadico il rossore che ricopriva ogni singola porzione di pelle scoperta del loro amico.

«Non è il mio professore», brontolò Andy a bassa voce, ma fu ugualmente udito da tutti. Soprattutto dal bel professor Carson che intensificò lo sguardo su Andy con i suoi particolari occhi eterocromi.

«Non lo sono per ora», replicò Benjamin, mantenendo gli occhi bassi su Andy.

Toby sghignazzava come se stesse vedendo un film comico; Seb, invece, osservava attentamente ogni movimento e sguardo tra i due.

Andy alzò di scatto gli occhi verdi sul professore, si fissarono per qualche secondo, ma il primo a distogliere lo sguardo fu proprio il suo amico.

Il professor Carson aggrottò le sopracciglia per poi scuotere il capo un attimo dopo; spostò gli occhi su Seb e Toby e dedicò loro un sorriso che, secondo Seb, era velato di tristezza.

«È stato bello rivedervi, ragazzi», disse loro. Successivamente e senza riportare gli occhi su Andy, aggiunse: «Ci vediamo a lezione, Lynch.»

«Sì, certo.»

Andy seguì attentamente il professor Carson fin quando non lo vide più.

«Non fare il mio stesso errore, Lolly», parlò Toby, afferrando il bicchiere del frappé di Seb. Bevve l'ultimo sorso, ma storse le labbra quando si staccò dalla cannuccia. «È sciolto.»

«Quale dei tuoi tanti errori non dovrei fare, Molly?» gli domandò Andy, sarcastico, incrociando le braccia.

Toby gli regalò un'occhiataccia, poi gli disse: «Scacciare le cose belle. Io sono un po' allergico alle cose belle, ma tu non mi sembri il tipo che soffre della mia stessa allergia. Però, a differenza mia, hai un cervellone bello paranoico come Dolly

«Ehi!» si lamentò Seb. «Ora per quale motivo metti in mezzo me?»

Toby lo osservò con la coda dell'occhio. «Perché tu sei una paranoia su gambe.»

Seb mise il broncio. «Sei cattivo.»

Toby si scompigliò i riccioli con le dita. «Chi è troppo onesto, passa spesso per cattivo.»

«Stamattina a colazione ti sei mangiato un libro di aforismi?» lo prese in giro Andy.

Toby alzò il mento a mo' di sfida. «Sei solo invidioso della mia saggezza.»

Seb iniziò a muoversi in modo irrequieto sulla sedia, Toby e Andy se ne accorsero subito.

«Devi pisciare?» gli domandò Toby con la sua solita delicatezza, infatti, Andy alzò gli occhi al cielo.

Seb negò con il capo. «No, mi sto solo trattenendo perché vorrei abbracciarvi entrambi.»

Toby balzò in piedi. «Io ho già dato per oggi. Vai ad abbracciare Andy.»

«Sei un guastafeste.»

Toby scosse le spalle con noncuranza, afferrò la sua tracolla e se la sistemò su una spalla. Quel giorno indossava dei pantaloni di pelle con sopra un ampio maglione viola dalla stampa nera maculata.

Avevano uno stile nel vestire molto diverso l'uno dall'altro. Seb si vestiva carino e con l'aiuto di Toby solo quando doveva uscire la sera. Andy invece aveva uno stile che si altalenava da quello di un vecchio pensionato che giocava a golf a quello di professore di educazione fisica delle medie.

Si incamminarono insieme fuori dal campus; Andy doveva studiare per un test quindi avrebbe raggiunto la biblioteca mentre Seb e Toby dovevano andare a recuperare i cani per la pet therapy di quel giorno.

Seb non vedeva l'ora di rivedere Mason musone. Il loro rapporto era ancora un po' instabile, ma sembrava che stessero andando per il verso giusto. Almeno lo sperava, avrebbe dovuto davvero tenere a bada le sue paranoie.

All'improvviso si sentirono delle urla che attirarono la loro attenzione. In un punto dell'area verde che circondava una parte dell'esterno del campus c'erano un gruppo di studenti che si stavano agitando.

«Cosa cazzo sta succedendo?» sbraitò Toby.

«Ho l'impressione che qualcuno stia litigando», commentò Andy.

«Forza, andiamo a vedere», parlò Seb.

«Io preferirei farmi i cazzi miei per una volta. Se finisco in mezzo a un'altra rissa, Thomas mi chiuderà in uno sgabuzzino con solo dei ragni a farmi compagnia per il resto della mia vita», replicò Toby, ma Seb si stava già incamminando a passo svelto verso quegli studenti perché uno strano presentimento gli stava dicendo di andare a vedere cosa stesse succedendo.

Prendendo a gomitate qualche studente fomentato, riuscì trovarsi davanti i due ragazzi che si stavano scambiando sguardi di fuoco.

«Avresti dovuto farti i cazzi tuoi, messicano di merda», stava dicendo quella feccia umana di Grayson Helmer.

«Avrei dovuto immaginarlo che centrasse quel pezzo di merda. Era da un po' che non creava problemi», affermò Toby, le mascelle rigide per la rabbia.

Andy rimase in silenzio con l'espressione del viso rabbuiata. Seb, invece, non poté evitare di puntare gli occhi sul ragazzo che stava ricevendo le offese di Grayson.

Ramiro.

«Io sarò anche un messicano di merda, ma tu meriti proprio di marcire all'inferno, cabrón», fu la replica di Ramiro. Aveva un tono di voce cupo, gelido, a Seb venendo i brividi perché quel suono sembrava essere fuoriuscito da un buco che portava agli inferi.

In quel momento, Seb si accorse delle due ragazze, probabilmente del primo anno, che Ramiro stava proteggendo con la sua altezza di ragazzo che doveva raggiungere quasi i due metri. Avevano gli occhi sgranati e grandi come piattini e si stavano stritolando le mani a vicenda.

«Quelle due lesbiche si stavano baciando davanti a tutti. Dovrebbero fare a casa loro quello schifo di porcate», fu la replica meschina di Grayson.

Seb strinse le mani in due pugni e notò come gli occhi scuri di Ramiro divennero gelidi.

«Ti spaccherei la faccia, Helmer. La farei in tanti piccoli pezzi, ma voglio laurearmi con il massimo dei voti e senza macchie sul mio curriculum e tu saresti una grossa macchia di merda», rispose Ramiro. Aveva un evidente accento latino, ma il suo inglese era quasi perfetto.

Seb dedusse che quel ragazzo doveva aver studiato per anni per riuscire ad arrivare a quel livello di padronanza della lingua.

«Che cosa hai detto, negro?» si alterò Helmer, compiendo un paio di passi verso Ramiro. Era pronto a caricare un pugno, ma fu bloccato da una voce alterata.

«Grayson Helmer», tuonò la voce di Benjamin Carson, il quale si fece largo nella folla fino a piazzarsi davanti a quello stronzo omofobo.

«Professor Carson. Di nuovo lei», ribatté Grayson, sfidandolo.

Benjamin sembrava emanare un'aura che avrebbe potuto infiammare sul posto chiunque si fosse avvicinato troppo.

«Potrei dire la stessa cosa di te, Helmer. Mi costringi a fare una bella chiacchierata con il rettore».

Grayson ebbe la faccia tosta di mettersi a ridere. «Vuoi andare a chiacchierare del più e del meno con mio zio? Faccia pure.»

«Maledetto», ringhiò Toby.

«Helmer, non sfidarmi. Ti ricordo che rimango comunque un professore e sono abbastanza influente da riuscire per vie traverse a farti espellere da questo college, se non la smetti con i tuoi atti omofobi, razzisti e di bullismo. Tuo zio è il rettore, ma posso avere anche io il coltello dalla parte del manico.»

Toby diede una gomitata ad Andy. «Guarda il tuo professore com'è sexy quando gli arruffano le penne».

Andy lo guardò male per l'ennesima volta. «Non è il mio professore», gli ripeté.

Toby lo guardò con condiscendenza. «Prova a convincere qualcun altro, Andy.»

«Mi sta minacciando, professore?»

Il professor Carson lo guardò dall'alto in basso. «Ti sto avvisando, Helmer. E adesso tornate tutti a studiare. Al college si viene per accrescere i vostri bagagli culturali, non per aizzare l'odio.»

In un attimo la folla di studenti impiccioni si diradò. Rimasero solo Seb, Toby, Andy, le due ragazze aggredite da Helmer, il professor Carson, Ramiro e lo stesso Helmer, sempre circondato da quei due idioti che continuavano ad andargli dietro.

«Non è finita qui, professore», sputò fuori Grayson. Sembrava una palla di rabbia e furia. Era ridicolo.

«Io, invece, spero che tu sia abbastanza intelligente per farla finire qui.»

Helmer se ne andò insieme ai suoi due compagni idioti dopo aver sputato per terra e lanciato un'ultima occhiata a tutti pregna di odio e disprezzo.

Seb buttò fuori un sospiro tremolante, grato che non fossero volati pugni e che Toby quella volta fosse rimasto al suo posto accanto a lui.

Ramiro si mosse di scatto, disse alle due ragazze di stare più attente la prossima volta che volevano scambiarsi dei baci perché il campus era pieno di stronzi e se ne andò, senza guardare nessun altro negli occhi.

Il professor Carson si passò entrambe le mani nei capelli, apparendo esausto, si assicurò che le due ragazze stessero bene per poi tornarsene all'interno del campus dopo aver lanciato un'ultima occhiata amareggiata in direzione di Andy.

«Wow... è stato intenso», mormorò Seb.

Toby diede uno schiaffo in mezzo alla schiena di Andy, abbastanza forte da farlo balzare in avanti. «Quell'uomo ti vuole e tu stai facendo il prezioso. Quello è un treno che passa una sola volta nella vita, vedi di aprire un po' gli occhi o mi toccherà spifferare tutto alle tue nonne.»

Gli occhi di Andy si riempirono di panico e a Seb venne nuovamente voglia di stritolarli entrambi in un grande abbraccio.

🖤

Anche per quel giorno la pet therapy era terminata. Mason, come al solito, era stato in silenzio, ma a Seb era sembrato meno ostile e che non avesse voglia di scappare via. Perché quell'uomo era bravissimo a schizzare via, aiutato dalla sua sedia a rotelle.

«Seb! Porca puttana, Seb! Ho una bellissima notizia!» urlò Toby, correndo verso di lui con i cani che trotterellavano dietro di lui. Però, Seb si accorse che ne mancava uno.

«Dov'è Bonnie?» gli domandò.

Toby stava sorridendo. Era raro che il suo amico facesse dei sorrisi così genuini. «È rimasta con Travis. Finalmente mi ha detto che ha deciso di adottarla!»

Anche sulle labbra di Seb si allargò un grosso sorriso. «Davvero? Ma è fantastico, Toby!»

«Già! Devo chiamare Thomas e dirglielo», disse, si infilò una mano in tasca e corse fuori dal Centro per avvisare il suo ragazzo della bella notizia.

Seb stava ancora sorridendo quando vide Mason che si stava dirigendo verso di lui insieme a Eva. Sanji, accanto a lui, iniziò subito a scodinzolare e a uggiolare.

«Ciao, Mason musone. Quale livello punta il tuo merdometro personale quest'oggi?»

Mason accennò un piccolo ghigno. «Oggi va abbastanza una merdaviglia, Seb.»

Seb fece una risatina, arricciando il naso. «Stai diventando spiritoso, Mason.»

Mason fece spallucce. «Ho i miei momenti.»

Seb si avvicinò un altro po' a Mason anche se aveva notato come Dylan li stesse fissando da lontano, mentre parlava con altri veterani.

«Stasera posso venire da te?»

Mason tirò scherzosamente un orecchio di Sanji.

«Da quando mi chiedi il permesso per venire a casa mia?»

«Non voglio importi la mia presenza.»

Mason lo fissò con la fronte aggrottata. «So di non essere tanto bravo né con i gesti e nemmeno con le parole, ma pensavo di averti fatto capire che sono passati i tempi in cui fingevo che tu non mi piacessi.»

Seb si avvicinò di un altro passo alla sedia a rotelle di Mason, fece un grattino sotto al collo di Eva per poi dedicare un piccolo sorriso a Mason. «Quindi ti piaccio, eh?»

Mason sbuffò e roteò gli occhi. «Pensavo fosse abbastanza palese.»

Seb rise ancora, stava per rispondere a Mason, ma la figura seria, avvolta dal camice bianco, di suo fratello si palesò davanti a loro. Dylan fissò Mason, gli puntò un indice contro e gli disse: «Sabato sera verrai a cena a casa di mamma. Almeno che tu non debba correre in ospedale per un forte attacco di diarrea, non accetterò scuse.»

Detto quello e senza aspettare una replica da parte di Mason, se ne andò così come era apparso.

Seb si grattò il collo a disagio. «Mi dispiace per Dylan. Probabilmente, vorrà farti un interrogatorio con i fiocchi.»

Mason scosse il capo e le spalle. «Non preoccuparti. Dylan deve essersi dimenticato che fare un interrogatorio a un soldato testa di cazzo come il sottoscritto potrebbe essere molto difficile», affermò, muovendosi di lato con la sedia a rotelle.

Alzò gli occhi celesti su di lui. Seb fu felice di notare che un bel po' di ombre nere erano sparite da quegli occhi chiari. Diventavano sempre più limpidi, ogni giorno in più che trascorrevano insieme.

«Forza, recuperiamo Evan e torniamo a casa. Sto morendo di fame.»

Seb annuì, ma, prima di andare a recuperare Evan, si abbassò su Mason per lasciargli un piccolo bacio sulla guancia ispida. Nel mentre, ne approfittò per prendere una boccata del suo profumo.

«Scusa, non ho resistito», sussurrò.

Mason lo guardò, le pupille che gli si erano ingrandite. «Se non lo avessi fatto tu, avrei trovato un modo per farlo io.»

💜🖤

Quando giunsero alla reception del Centro Veterani, come da previsioni sia di Mason che di Seb, trovarono Evan intento a flirtare spudoratamente con il povero Samu.

«Perché non vuoi uscire con me?» gli stava dicendo Evan.

Samu alzò gli occhi dallo schermo del suo pc, sembrava esasperato.

«Perché non sei il mio tipo. Non so più come dirtelo, Evan.»

«Magari potrei esserlo. Se non mi dai una possibilità, non potrai scoprirlo.»

«Fidati, lo so. Io e te potremmo essere solo amici.»

Evan si sporse maggiormente sul bancone della reception per potersi avvicinare di più al viso di Samu.

«Quindi, se io ti chiedessi di uscire con me come amici, tu mi diresti di sì?»

Samu scosse il capo e ritornò a ticchettare sulla tastiera del suo computer. «Ti direi di sì, se fossi sicuro che tu voglia uscire con me da amici

«Che idiota. È talmente idiota che dovrebbero conferirgli il premio per l'idiota dell'anno», borbottò Mason, osservando il suo migliore amico che continuava a flirtare con il receptionist del Centro Veterani.

«Sei davvero difficile da conquistare, Samu», fu l'affermazione di Evan.

Samu lo guardò e Seb, che aveva sempre quella peculiarità di essere un buono osservatore, notò della tenerezza nei suoi occhi. Sembrava che Samu si stesse affezionando a Evan, ma era un sentimento delicato, che non aveva nulla a che fare con l'attrazione o con un qualcosa che sarebbe potuto diventare un sentimento più forte.

Il receptionist del Centro, improvvisamente, spostò lo sguardo da Evan e virò anche oltre Seb e Mason.

«Ehi, che ci fai qui? Tutto ok?»

Evan si girò e Seb lo vide sgranare gli occhi, sembrava fossero sul punto di schizzargli fuori dal cranio.

«Strano», mormorò Mason a bassa voce, ruotò sulla carrozzina per capire chi stessero fissando Samu ed Evan.

Seb fece lo stesso per poi trovarsi davanti di nuovo lui.

Ramiro stava facendo vagare gli occhi scuri ovunque, sembrava molto attento a ciò che lo circondava; aveva le sopracciglia aggrottate, le mani affondate nelle tasche della felpa e le cuffie che gli circondavano il collo.

«Possiamo parlare un attimo, Samu?» domandò Ramiro a suo fratello. Già, Samu era il fratello maggiore adottivo di quel ragazzo che per tutto il giorno aveva inquietato l'animo di Seb.

Samu si alzò dalla sua seduta e raggirò il lungo bancone della reception. Si avvicinò a suo fratello, a malapena gli arrivava alle spalle. Ramiro era davvero un cucciolo di giraffa.

«Cinque minuti. Poi devo tornare a lavoro.»

Ramiro annuì e, dopo aver lanciato un'ultima occhiata a tutti, diede le spalle per uscire fuori, seguito dal fratello.

«Ehi, idiota!» esclamò Mason, riferendosi a Evan, il quale sussultò, riscuotendosi dai suoi stessi pensieri e tentò di concentrarsi su Mason.

«Torniamo a casa che ho fame», gli disse Mason.

E per la prima volta, da quando Seb aveva fatto la conoscenza di Evan, assistette al ragazzo che si limitò ad annuire. Non disse nient'altro, non fece alcun commento sarcastico che andasse contro Mason. Quell'atteggiamento distaccato non era tipico di Evan, non era assolutamente da Evan.

Seb e Mason si scambiarono un'unica occhiata e con quella singola occhiata riuscirono a comprendere quanto bastava per giungere alla silenziosa conclusione che Evan avesse qualcosa che non andava.

Continue Reading

You'll Also Like

4.1K 162 4
Se ti dico che sono ancora ubriaco torni a letto con me?
609K 22.9K 54
Calista Spencer si trasferisce momentariamente a Brisbane quando capisce che forse le serve una distrazione dalla vita che conduce a Chicago. Dunque...
15.8K 1.2K 37
"Alex, vorrei davvero prometterti che tutto andrà bene da ora in poi, ma non posso fare promesse che rischio di non mantenere. Questa non sarà l'ulti...
369 65 17
Non ho un nome. Non ho un'identità. Non ho più una voce. Sedici è tutto ciò che mi rappresenta. Un numero. Una camera bianca. Una cavia. Gli esperime...