The Promise 2

Af heavnsqueen

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Volume 2 (sequel The Promise) "Together but alone." A causa di una promessa, Diamond One si trova obbligata a... Mere

Introduzione
❤️‍🩹A voi❤️‍🩹
Prologo
Eros 1
Diamond 1
Eros 2
Eros 2 (parte 2)
Diamond 2
Eros 3
Eros 3 (parte 2)
Diamond 3
Diamond 3 (parte 2)
Diamond 4
Diamond 4 (parte 2)
Eros 4
Diamond 5
Diamond 5 (parte 2)
Eros 5
Eros 5 (parte 2)
Diamond 6 (parte 2)
Eros 6
Diamond 7
Diamond 7 (parte 2)
Diamond 8
Eros 7
Eros 8
Diamond 9
Eros 9
Diamond 10
Eros 10
Diamond 11
Eros 11
Diamond 12
Eros 12
Diamond 13
Eros 13
Diamond 14
Eros 14
Eros 15
Diamond 15
Eros 16
Eros 16 (parte 2)
Diamond 16
Diamond 16 (parte 2)
Eros 17
Diamond 17
Diamond 17 (parte 2)
Eros 18
Diamond 18
Eros 19
Diamond 19
Eros 20
Eros 21
Diamond 20
Ringraziamenti
The Promise 3

Diamond 6

872 43 16
Af heavnsqueen

Le lacrime non sono espresse dal dolore, ma dalla sua storia.
Italo Svevo


Dopo aver lavato il viso con acqua gelata, mi appoggiai al lavabo con lo sguardo fisso, poi mi chinai e vomitai di nuovo.

Una nausea costante mi impedì di trattenere il cibo nel mio corpo, mentre la stanchezza e le vertigini presero il controllo delle mie giornate.

Questa volta si rivelò peggiore delle precedenti; solitamente l'acqua bollente mi causava solo febbre alta.

Presi l'asciugamano e lo passai sul viso, mi appoggiai al muro e tornai in camera, dirigendomi sul letto. Mi sdraiai stringendo con forza le coperte al petto.

Chiusi gli occhi cercando un attimo di pace, alla ricerca del silenzio.

Alla ricerca di quel vuoto che si insinua nell'anima e permette di respirare, nessun pensiero, nessuna parola, nessuna voce. Solamente io e il silenzio.

Era sera e durante l'intera giornata non ebbi alcuna notizia dello psichiatra; non lo trovai né in camera né nel resto della villa.

Non mi sorprenderei se tornasse dicendo di essere stato con la sua cara ninfetta, magari a trascorrere la serata giocando a "scacchi" o a "carte".

Ninfetta... un nome insolito da attribuire a una donna. Mi chiedo quale sia il vero significato che si cela dietro a questo soprannome. Di solito, si associa il termine "ninfa" a una donna affascinante e irresistibile. Lo psichiatra la considerava veramente così seducente?

Isabel è indubbiamente molto bella, ma non al punto da essere paragonata a una figura mitologica come la ninfa.

Non per me perlomeno.

Di nuovo. Un improvviso giramento di testa mi costrinse a stringere la testa fra le mani e chiudere gli occhi. La nausea prese il sopravvento, obbligandomi ad alzarmi di scatto e correre in bagno. Vomitai di nuovo, anche se non so cosa, dato che non c'era più nulla nello stomaco da espellere.

Premetti la mano sulla pancia e aprii l'acqua che fluì incontrollata nel lavandino. Mi sedetti a terra, chiudendo gli occhi e appoggiando la testa al muro. "Il telefono", pensai, per poi raccogliere le energie e alzarmi, tornando in camera.

Presi il telefono e lo accesi scrivendo allo psichiatra:

Diamond:
Dove sei?

Psichiatra:
Sono in clinica. È successo qualcosa?

Diamond:
Potresti tornare adesso? Non mi sento bene.

Psichiatra:
Arrivo.

Inaspettatamente, ottenni una risposta immediata al mio messaggio. Mi sedetti sul letto e ritornai di nuovo sotto le coperte.

Non passò molto tempo prima che avvertissi l'avvicinarsi di un profumo di narciso alla mia stanza. <Diamond> disse con voce bassa, e io aprii gli occhi per guardarlo. La luce artificiale lo avvolse, conferendogli un aspetto quasi sovrumano; sembrava un angelo più che un uomo. Vestito con una camicia bianca, i suoi occhi erano incredibilmente luminosi, mentre i suoi capelli neri erano pettinati con perfezione all'indietro, fatta eccezione per una ciocca che gli scivolò sulle folte ciglia.

Si avvicinò a me preoccupato, poi si sedette al mio fianco e stava per porre la mano sulla mia fronte, ma si interruppe. Lo guardai confusa mentre si alzava e usciva dalla stanza. Tornò poco dopo con un termometro e le mani avvolte in due guanti. <Tieni, misura la febbre.> disse, porgendomi il termometro.

Scossi la testa. <No, non voglio usare il termometro. L'ho accettato, sai? Puoi togliere i guanti.> dissi, indicando con gli occhi le sue mani.

<Hai accettato il tuo corpo o la tua mente?> chiese lui, rispettando la mia richiesta e togliendosi i guanti.

<Il fatto di non possedere il controllo su nessuno dei due. Puoi toccarmi, il calore delle tue mani non cambierà nulla.> dissi, sollevandomi leggermente e sedendomi con la schiena appoggiata al cuscino.

Se i suoi polpastrelli mi avessero sfiorata, cosa sarebbe cambiato? Nulla. Il freddo dei guanti non avrebbe cancellato il veleno iniettato nel mio corpo da quei mostri. Allo stesso modo, il calore delle sue mani non avrebbe intensificato quel veleno.

Finalmente l'ho compreso anch'io: non sono il padrone del mio corpo.

Pensavo che evitando ogni contatto umano, la mia mente avrebbe cancellato quelle notti, liberandomi dalle sensazioni di quelle mani che ancora oggi sento addosso.

Pensavo che sarei stata in grado di "andare avanti" se avessi respinto qualsiasi forma di contatto fisico o calore corporeo.

Pensavo che sarei tornata alla normalità.

Mi sbagliavo.

Era solo una convinzione infondata, generata dalla mia mente per farmi credere nell'esistenza di una soluzione che potesse eliminare lo sporco in questo corpo e riportarmi alla vita normale.

Io non detengo il controllo del mio corpo nel piacere, ma nel dolore sì. Sono io a ferire questi polsi, sono io ad aprire il rubinetto dell'acqua bollente. Il mio possesso del corpo è diverso, è unico.

<Non sarò io ad impormi. Se lo desideri, puoi toccarmi tu. Ovunque tu preferisca.> dichiarò con mia sorpresa lo psichiatra, ponendo il termometro sulle coperte, davanti a me.

<Ovunque?> risposi, sostenendo il suo sguardo penetrante.

<Ovunque.> affermò con gli occhi lucenti di un bagliore dorato, illuminati dalla lampada.

<Apri la camicia.> dettai, abbassando lo sguardo sui bottoni della camicia che lentamente strinse aprendoli, eseguendo la mia richiesta senza opporsi.

Quando finalmente giunse all'ultimo bottone, lo fermai e alzai lo sguardo sulla ferita causata dal proiettile sparato da Luke. Con cautela, spostai la camicia appena sufficientemente da poter osservare il tatuaggio "Step By Step" posizionato esattamente sopra il suo cuore. <Ovunque hai detto.> affermai con calma, seguendo il tracciato del tatuaggio e soffermandomi precisamente nel mezzo, dove la pelle era cicatrizzata. <Cosa ti è successo?> chiesi, con la curiosità accesa dal desiderio di conoscere la storia dell'unico tatuaggio presente sul suo corpo.

I miei sospetti si dimostrarono fondati: una cicatrice decorava il suo cuore, testimone di una ferita causata da un oggetto tagliente. Tuttavia, i dettagli riguardo a come fosse avvenuto quel danno erano noti solo a lui, e avrei potuto conoscerli solo se avesse deciso di confidarmeli.

Lo vidi abbassare gli occhi sulla mia mano mentre un velo di malinconia sembrava avvolgerlo. <Ho giocato a fare il ribelle con la persona sbagliata.> disse, la sua voce portava con sé un'ombra di ricordi lontani, persi in chissà quale intricato labirinto del passato.

<Chi?> chiesi, inclinando leggermente la testa per fissare nuovamente le sue iridi, desiderosa di comprendere meglio la sua storia.

<Un essere.> rispose, distogliendo lo sguardo dalla mia mano.

<Perché non l'hai denunciato? Avrebbe scontato la sua pena.> domandai, sistemando una ciocca di capelli che gli cadde sul sopracciglio.

<Non ero... non ero potente e...> fece una pausa, e io lo incoraggiai con lo sguardo ad andare avanti. <E avrei distrutto la felicità della persona che più ho amato nella mia vita.> concluse, posando la sua mano sulla mia fronte. <Non sei calda, ti preparo una tisana. Starai meglio in seguito.> dichiarò con tono premuroso, alzandosi.

Gli strinsi la mano, fermandolo mentre si stava alzando, lui si voltò verso di me. <Non voglio la tisana, preferisco parlare.> dissi, abbassando lo sguardo per un istante, incrociando involontariamente i suoi addominali perfettamente scolpiti, per poi ritornare a fissare le sue iridi. <Conoscerti meglio.>

Lui si risedette di fronte a me. <Non c'è nulla da sapere. Sono solo un ribelle che è riuscito ad entrare nella mafia. Fine della storia.> pronunciò con un'indifferenza e una freddezza straordinarie, le stesse che aveva mostrato durante i nostri primi incontri.

<Chi era quell'essere?> replicai, stringendo la sua mano per impedirgli di alzarsi.

Lui rimase in silenzio, evitando il mio sguardo e dirigendo la sua attenzione altrove.

<Perché dici di essere stato un ribelle? Cos'hai fatto? Cosa ti ha spinto a entrare nella mafia? Chi era questa persona che hai amato così tanto da soffrire nel silenzio? Per quale motivo mi hai-> la sua mano si posò sulle mie labbra, impedendomi di concludere la domanda.

<Shhh> sussurrò con i denti stretti. <Ecco la prima cosa da sapere su di me: detesto chi cerca di imporsi. Quando deciderò di parlare, lo farò. Ma fino a quel momento, non cercare di impormi nulla.> dichiarò, con un accento di rabbia nella sua voce.

<Scusa> sussurrai, stringendo la sua mano e allontanandola lentamente dalle mie labbra. Il suo sguardo si posò su di esse per un momento, prima di tornare a incrociare i miei occhi. <Volevo solo... volevo solo sapere di più.> aggiunsi esitante.

<Lo so, ti preparo la tisana.> disse, alzandosi e volgendo il suo sguardo verso il bagno. <Hai vomitato?> chiese, entrando e chiudendo il rubinetto che dimenticai aperto.

<Sì.> ammisi, alzando leggermente le coperte. <Cos'hai mangiato?> chiese lui, tornando in camera. <Nulla..> affermai, cogliendo un'espressione confusa sul suo volto.

<Hai bevuto qualcosa? O forse hai sentito un odore che ti ha fatto venire il vomito?> domandò con preoccupazione, avvicinandosi a me.

<Forse è il caffè di stamattina, non sono abituata a berlo.> dichiarai, cercando di alzarmi in piedi. Ma appena provai, un giramento di testa mi colse di nuovo. Una mano robusta mi resse, aiutandomi a risedermi.

Aprii gli occhi e lo vidi a breve distanza da me. <Hai bevuto solo un caffè da stamattina? E poi ti meravigli se stai male?> chiese con evidente ironia.

Sollevai lo sguardo al cielo, alternando la mia attenzione tra le sue labbra lucide e i suoi occhi che brillavano intensamente sotto la luce della lampada.

Il profumo di narciso mi avvolse mentre lui si rialzava, ripristinando una leggera distanza tra noi. <Andiamo, devi mangiare.> disse, offrendomi la sua mano.

Senza esitazione, presi la sua mano e mi alzai, affidandomi a lui come avevo fatto sin dal primo momento in cui giunsi in Brasile.

Osservai le fossette che si crearono sul suo volto e sentii la sua mano stringermi una spalla, facendomi avvicinare al suo corpo.

Mi appoggiai a lui dopo pochi passi. <Riesci a camminare?> chiese, ma non mi diede il tempo di rispondere. In un istante, mise un braccio sotto le mie gambe e mi sollevò, costringendomi a circondare il suo collo per sorreggermi.

A pochi centimetri dal suo volto, il mio corpo aderì al suo. Non riuscii a trattenere un sorriso sincero, posai delicatamente la testa sulla sua spalla e mi lasciai trasportare. Inspirai profondamente il suo profumo e con dolcezza accarezzai i suoi capelli con una mano.

Chiudendo gli occhi, mi abbandonai completamente a lui, consapevole che fosse l'unico uomo veramente meritevole di tale titolo, degno della fiducia che riposi interamente in lui.

Fu l'unico a rimanere al mio fianco, l'unico a prestarmi aiuto, l'unico a proteggermi. Lui è speciale, un uomo il cui passato rimane un enigma per me, ma sono sicura che un giorno lo scoprirò e comprenderò appieno la sua personalità. Fino ad allora, farò tesoro di ogni momento trascorso insieme.

Senza rendermene conto, ci ritrovammo in cucina. Con un gesto, spostò la sedia con il piede e mi pose delicatamente seduta su di essa.

<Uhm> mormorò, simulando una riflessione mentre si allontanava da me verso il frigorifero. <Che cosa prepareremo oggi?> chiese quasi a sé stesso più che a me.

<Toast?> chiesi, anche se sapevo che non avrebbe dato peso alla mia proposta. <Nah, non sono per le cose semplici.> rispose lui, e non potei trattenere un sorriso di fronte alla sua risposta. <Non me ne ero accorta, sai.> dissi ironicamente, e lui chiuse il frigorifero voltandosi nella mia direzione.

<Una bistecca con patatine e verdure.> disse con entusiasmo, raccogliendo tutto il necessario e posandolo sul tavolo.

<La vera domanda è: quale coltello dovrei usare?> chiese, scrutando i diversi coltelli nel cassetto della cucina. <Qualsiasi, è un coltello alla fine, basta che tagli.> dichiarai, non comprendendo appieno la situazione.

<Errato.> affermò, selezionando un coltello dal cassetto. <Ci sono coltelli specifici per le verdure, altri per la carne, alcuni per la frutta o per le persone.> disse di getto, avvicinandosi al tavolo. <Le persone?> domandai sperando di aver frainteso, ma lui alzò lo sguardo su di me. <Sì, le persone. Coloro che non meritano la vita che gli è stata donata.> rispose con assoluta indifferenza, iniziando a tagliare le verdure dopo averle lavate.

<Sai, durante quella notte, quel mostro mi raccontò una storia.> dichiarai, desiderosa di comprendere appieno questo strano episodio.

<Di quale storia stai parlando?> domandò, continuando a tagliare le verdure.

<La storia del bambino e il frammento di vetro.> risposi, notando la sua mano fermarsi nel tagliare le verdure e il suo sguardo sollevarsi immediatamente verso di me al sentire di quelle nove parole.

<Sarebbe?> chiese, tornando a tagliare con più forza.

<Ricordo molto poco, non ho prestato attenzione alle sue parole. Era qualcosa come un bambino> dissi, stringendo gli occhi nel tentativo di evocare nella mente le parole di quel mostro <che voleva della marmellata e venne punito per questo.> dissi di getto, riaprendo gli occhi <Con un frammento di vetro.> lo guardai <Ma non ricordo altro...> confessai con un senso di frustrazione nell'incapacità di recuperare più dettagli.

Per quale motivo scelse di narrarmi una storiella come questa durante il suo meschino atto? Che messaggio intendeva trasmettermi? Qual era il vero significato dietro quelle parole? Le sue espressioni furono sfumate nella nebbia del veleno che riversò in me, conducendomi a concentrarmi sul tormento dilaniante nel mio ventre piuttosto che sulle sue parole prive di senso e di significato.

Con un taglio deciso, lo psichiatra affettò energicamente l'ultima verdura e la sistemò sulla padella, accendendo poi il fuoco.

<Cosa pensi volesse intendere con questa storia?> domandai desiderosa di conoscere il suo punto di vista. Lo psichiatra rappresentava per me la massima espressione di saggezza e intelligenza, ero convinta che avrebbe potuto offrirmi una spiegazione convincente riguardo a questa situazione.

<Ha menzionato chi fosse responsabile della punizione?> chiese, posando le patatine e la bistecca su due padelle diverse.

<Forse sì, non ricordo bene...> risposi vedendolo girarsi verso di me. <Ma è innegabilmente ingiusto punire un bambino per una marmellata. Forse intendeva che fosse a conoscenza dell'ingiustizia che stava commettendo nei miei confronti?>

<Sei ingenua, Diamond.> affermò lui pulendo il tavolo su cui preparò il tutto.

<Ti ringrazio...> risposi, abbassando lo sguardo. <In senso positivo.> affermò lui, stringendo il mio mento e costringendomi ad alzare gli occhi. <Sei ingenua perché credi che persino le peggiori creature abbiano un cuore. Fai un favore a te stessa, apri gli occhi sulla vera natura dei mostri che ti circondano.>

<Non ho detto che avesse ragione> tentai di aggiungere, ma fui interrotta. <Non riesco proprio a capirti. Nonostante tutto il male che il genere umano ti ha inflitto, sei ancora...> affermò con rabbia, rimanendo in silenzio per un breve istante prima di continuare. <Buona.> concluse, controllando le verdure.

<Sto cercando di non diventare una carnefice. Di non lasciare che tutto questo dolore uccida la mia anima.> ammisi, abbassando il tono di voce.

<Se non diventi una carnefice, Diamond, sarai tu ad essere uccisa. O diventi più forte di loro o sarai annientata da chi detiene più potere.> affermò con enorme rabbia.

<È per questo che sei entrato nella mafia? Per il potere? Cosa hai vissuto che ti ha portato a una scelta simile? Ti ho raccontato tutto di me, adesso tocca a te.> chiesi nuovamente, sperando che non si allontanasse come fece in precedenza.

Fortsæt med at læse

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