La Costellazione di Orione

By TheBlondeWr1ter

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Nella Scozia degli anni '50, Henry, ribelle figlio del Duca di Aberdeen, s'imbatte nell'enigmatico Isaac, dan... More

Prologo | Fuochi d'artificio a Saint Andrews
Capitolo I | Sfide accese
Capitolo II | Sotto il segno di Isaac
Capitolo III | Scontro di Ego
Capitolo IV| Duello inaspettato
Capitolo V | L'iniziazione d'inverno
Capitolo VI | In whisky veritas
Capitolo VII | Aria di tempesta
Capitolo VIII | Tifone imminente
Capitolo IX | Tra dolcezza e sfida
Capitolo X | Bacio o non bacio?
Capitolo XI | Collisione di nobiltà
Capitolo XII | Oltre le apparenze
Capitolo XIV | Dove ricomincio a respirare

Capitolo XIII | Ti fidi di me?

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By TheBlondeWr1ter

«È un no! Categorico.» Protestai, cercando di far riflettere mia madre sulle conseguenze che la sua richiesta avrebbe avuto sulla mia reputazione.

«Non te l'ho chiesto, Henry. È un ordine.» La sua figura era di un'eleganza innata, dai capelli impeccabilmente pettinati fino al vestito verde scuro che esaltava la sua nobiltà.

«Ma è ingiusto! Alexander è una serpe, mi ha provocato, sapeva che mi avreste dato la colpa...»

«Sono stanca di sentire giustificazioni! La nostra famiglia ha moltissimi, innumerevoli interessi economici con la famiglia Spencer. Dovrai fare pubbliche scuse formali al marchese, ad Alexander e alla Contessa Brandons, durante un incontro ufficiale. Questo è quanto. Non accetto obiezioni.»

«D'accordo, mamma.» Sibilai, sapendo che resistere sarebbe stato ormai inutile.

«Incontrerai gli Spencer all'incontro del mese prossimo. Ricorda che ti è vietato uscire dall'università fino a nuovo ordine. Studiare, dormire e non cacciarti nei guai saranno le uniche tre cose a cui devi pensare. A presto, Henry.»

Con quel saluto formale, la nostra conversazione si concluse, ma il peso delle sue parole continuò a risuonare nella sala dei ricevimenti della St.Andrews, testimone silente del destino che mi attendeva.

Mia madre rispecchiava in modo sorprendente l'indomito spirito di mio padre. Le loro somiglianze, a volte sfuggite agli sguardi superficiali, emergevano con chiarezza nei momenti cruciali.

Subito dopo, rientrai con foga nella mia stanza, lasciandomi cadere pesantemente sul letto. Ero arrabbiato, anzi furioso. Erano passati diversi giorni dalla lite con Alexander ma mi sentivo tradito dalla mia stessa famiglia e sembrava come se in quel momento il mondo intero stesse cospirando proprio contro di me.

«Che fai, non vieni? Non vorrai mica perderti il Winter Fest?» Barclay, uscito appena dal bagno, si stava vestendo in tutta fretta. Il suo sguardo curioso incollato a me.

«Non infierire, Barclay. Non posso. Se metto soltanto un piede fuori dall'università molto probabilmente i miei mi rinchiuderanno in una delle sale del palazzo di Edimburgo fino al giorno della mia morte.»

«Non essere così drammatico!»

«Fidati, non lo sono.» Mi trovai a rispondergli con uno sguardo vuoto, come se cercassi di trattenere un'ondata di pensieri tumultuanti.

Barclay lanciò una fugace occhiata verso di me, mentre le pieghe della sua camicia si allineavano ordinatamente.

«Non arrabbiarti troppo, Henry!» La sua voce era morbida, un'offerta di sostegno implicito.

Gli risposi con uno sguardo che cercava di esprimere gratitudine mentre usciva dalla stanza con un'ombra di comprensione nei suoi occhi.

Mi passai una mano sfinita attraverso i capelli, come se volessi spazzare via fisicamente la confusione che si era impadronita della mia mente. Con un sospiro, mi sfilai le scarpe e mi allungai verso la scrivania per afferrare il libro di Dumas, dalla copertina ormai malconcia. Se il Winter Fest risultava un'opzione irraggiungibile, allora era il momento perfetto per portarmi avanti con letteratura.

Cominciai a leggere lasciandomi trasportare dalla storia di Marguerite, tra strade parigine e descrizioni ottocentesche.

Le parole danzavano davanti ai miei occhi stanchi, sfumando in una strana nebbia. La luce fioca della lampada creava ombre danzanti sulle pagine del libro. Dopo un breve istante, tutto si fuse in una nebulosa indistinta, e mi ritrovai in un limbo sospeso, dove il confine tra le parole lette e i pensieri assopiti diventava sempre più sfumato.

«Henry...» Un bisbiglio, «Henry...», poi una mano decisa sulla mia spalla che continuava a scuotermi.

Quando lentamente schiusi gli occhi la vista era sfocata, come se il mondo intorno a me fosse velato da una sottile nebbia. Qualcosa di indistinto copriva parzialmente la mia visuale, e quello che riuscivo ad intravedere era soltanto una figura senza testa che, con insistenza, continuava a sussurrare il mio nome.

Ero disteso sul letto, avvolto da un torpore misto a confusione, e gli oggetti circostanti si materializzavano pian piano mentre la voce che chiamava il mio nome si faceva via via sempre più nitida.

Mi accorsi di essermi addormentato nel bel mezzo della lettura e che a coprire la mia vista era il libro che sentivo leggero ma tangibile, coprirmi per metà il volto.

«Che succede?» Esclamai, la voce ancora impregnata dal sonno. Con una mano ancora assopita, spostai il libro dalla mia faccia. «Isaac? Che ci fai qui?» Qualcosa di umido sfiorava la mia bocca e con una raccapricciante consapevolezza, mi resi conto che si trattava della mia stessa bava.

Un tocco chic che, per qualche motivo, sembrava essere diventato una costante quando si trattava di Isaac.

Non potevo fare a meno di chiedermi se il destino avesse deciso di giocare a farmi fare sempre figuracce ogni volta che ero in sua presenza.

Isaac si stagliava nella penombra della stanza, il suo profilo delineato in modo etereo dalla luce delicata della lampada.

«Quindi, anche gli aristocratici sbavano.» Disse con un sorriso giocoso.

«Sì, ma noi lo facciamo con un tocco di classe.» Mi asciugai l'angolo della bocca con la manica della camicia e cercai di ricompormi con tutta la dignità possibile; mi passai una mano tra i capelli disordinati e raddrizzai la schiena. «Perché non sei con gli altri al Winter Fest?»

«Oh, sì, ci sono stato, ma senza di te la situazione era così tranquilla che rischiavo seriamente di addormentarmi. Nessuno che si ubriaca, straparla, litiga e finisce col vomitare sulle mie scarpe. Che razza di festa sarebbe quella?» Rispose con un sorriso malizioso, uno di quelli che gli scivolavano sul viso ogni dannata volta che provava ad infastidirmi, donandogli un'aura irresistibile.

«Oh, Isaac, non dirmi che sono diventato la tua nuova ossessione?»

«Certo, Lord Henry. La mia vita non ha senso senza la tua caotica imprevedibilità.» Mi punzecchiò. Poi, con eleganza, si fece spazio sul letto, sedendosi sul bordo del materasso. Rimasi immobile, a gambe incrociate, proprio davanti a lui. Era strano ritrovarmelo in camera mia, seduto sulle mie lenzuola. Un tipo di intimità diversa, che non avevo mai sperimentato o condiviso con nessuno prima. Poi continuò, «Barclay mi ha detto che i tuoi non ti fanno uscire dalla St.Andrews. Mi dispiace moltissimo.»

«È il prezzo da pagare per la mia imprevedibilità.» Sospirai.

«Esattamente, maluco. È una punizione che ti meriti, ma sono sicuro che hai già imparato la lezione, quindi che ne dici di rompere le regole per stasera?»

«Isaac, sai quanto io ami infrangerle, ma i miei hanno avuto una chiacchierata anche con il Chancellor Wentwhort. Se qualcuno mi becca fuori, sono spacciato. I miei potrebbero condannarmi ad un'istruzione casalinga comprendente lezioni di buone maniere e comportamento aristocratico oppure forse penserebbero a qualcosa di più radicale, tipo farmi tagliare la testa. Non riesco a decidere quale tra le due opzioni sia la peggiore.»

«Oh, Henry, nessuno ti vedrà.» Isaac alzò un sopracciglio e sfoggiò un sorriso ammiccante, «E se nessuno ti vedrà, nessuno potrà mai dirlo ai tuoi temibili genitori.» Con uno sguardo complice si era avvicinato alla finestra, aprendola silenziosamente.

«Vuoi uscire dalla finestra? Sei impazzito?»

«Sono soltanto due piani! Se non vuoi seguirmi fai pure, Lord Henry. Ma ti perderai una serata magnifica, te lo assicuro.» Aprì completamente la finestra e, con un'agilità che mi sorprese, si arrampicò sul davanzale.

«Sarei io quello irresponsabile?» Dissi dopo essermi infilato il cappotto e le scarpe, e con qualche esitazione seguì il suo esempio, posizionando un piede sulla finestra e poi l'altro.

Isaac mi offrì una mano. La sua pelle liscia e calda sulla mia.

«Tu non sei irresponsabile, sei un imprevedibile sconsiderato, che è ben diverso.» Un lampo di divertimento brillò nei suoi occhi guardandomi.

Ci ritrovammo entrambi fuori, sulla stretta cornice della finestra. Il buio ci avvolgeva e il suolo sembrò trovarsi a una distanza decisamente maggiore di quanto mi aspettassi.

Isaac, con la sua consueta eleganza, scese con grazia aggrappandosi al davanzale, poi si soffermò in equilibrio sul cornicione del piano sottostante. Attraversò l'aria con un salto aggraziato, atterrando leggermente sulla terra ferma con la stessa sicurezza di un gatto sceso dall'altezza di un muro.

Io cercai di imitarlo maldestramente, sperando di non cadere.

Seguivo i suoi passi mentre ci addentravamo nella zona collinare alle spalle dell'istituto. Man mano che avanzavamo, il suolo si faceva sempre più irregolare e il suono dei nostri passi si faceva sentire sul terreno accidentato. Il fruscio delle foglie sotto i nostri piedi si univa al sottile canto degli insetti notturni mentre l'odore di terra umida diventava sempre più intenso.

Attraversammo un fitto boschetto, i rami degli alberi intrecciati formavano archi sopra di noi, filtrando la luce della luna. Isaac camminava con sicurezza, come se conoscesse ogni segreto di quel sentiero ben nascosto.

«Dove stai cercando di trascinarmi precisamente? Non vorrai mica farmi fuori, vero?» Chiesi, il mio respiro visibile nell'aria gelida.

«Purtroppo, temo che la mia lista di attività per questa notte non includa omicidi, Henry. Quindi, puoi dormire sonni tranquilli.» Replicò con una risata leggera.

Dopo alcuni minuti, si fermò di fronte a una struttura abbandonata, un edificio che trasudava una storia dimenticata. Le sue pareti erano logore e ricoperte da erbacce.

«Non entrerò lì de...»

Isaac si avvicino al mio viso con un sorriso tenero. Non aspettò che finissi di parlare.

Le sue labbra calde si posarono delicatamente sulla pelle gelida della mia guancia. Fu un contatto che andò oltre la pelle, un calore avvolgente che si intrecciò ad un formicolio al petto, dove il cuore prese a battere più velocemente. Poi il suo respiro, un soffio caldo che mi accarezzò l'orecchio. «Non ti chiederei di entrare se non ne valesse davvero la pena. Ti fidi di me?»

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