La Costellazione di Orione

By TheBlondeWr1ter

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Nella Scozia degli anni '50, Henry, ribelle figlio del Duca di Aberdeen, s'imbatte nell'enigmatico Isaac, dan... More

Prologo | Fuochi d'artificio a Saint Andrews
Capitolo I | Sfide accese
Capitolo II | Sotto il segno di Isaac
Capitolo IV| Duello inaspettato
Capitolo V | L'iniziazione d'inverno
Capitolo VI | In whisky veritas
Capitolo VII | Aria di tempesta
Capitolo VIII | Tifone imminente
Capitolo IX | Tra dolcezza e sfida
Capitolo X | Bacio o non bacio?
Capitolo XI | Collisione di nobiltà
Capitolo XII | Oltre le apparenze
Capitolo XIII | Ti fidi di me?
Capitolo XIV | Dove ricomincio a respirare

Capitolo III | Scontro di Ego

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By TheBlondeWr1ter

Il mattino successivo, con il sole che faceva capolino appena oltre l'orizzonte e il campus che pian piano si risvegliava, mi ritrovai a scrutare il cortile dell'università dalla finestra della mia stanza.

Ancora intontito dalla notte insonne, i miei occhi si scontrarono con la figura slanciata di Barclay che, con passo deciso, si dirigeva verso la mensa.

Quando poi lo vidi intrattenersi con Isaac, proprio prima di vederli scomparire dalla mia vista, sentii un inspiegabile sensazione farsi strada dentro di me. Era come trovarmi in una scena di un film, una realtà che sembrava quasi irrealistica. In fondo, quante probabilità c'erano che mi sarei ritrovato una delle mie scopate proprio a Saint Andrews?

Per quanto ne sapevo, quel tizio era un turista, non parlava inglese e non riuscivo a capire perché si trovasse nella mia città, nella mia università e perché adesso si aggirasse in compagnia del mio compagno di stanza.

La situazione stava iniziando a darmi su i nervi.

Mi precipitai frettolosamente al bagno. Se c'era un confronto in vista con Isaac, avevo intenzione di far sì che rimanesse incantato dal mio sguardo.

Avevo già pensato a come giocare le mie carte: un sorriso che trasmettesse sicurezza, uno sguardo profondo che catturasse la sua attenzione. Volevo far sì che ogni mio gesto comunicasse un'aura di fascino, come se avessi studiato a fondo ogni singola espressione. Dopotutto, in quel faccia a faccia, volevo essere il protagonista indiscusso della scena, e se c'era qualcosa che sapevo fare bene, era essere affascinante. Era il mio modo di far capire ad Isaac che poteva anche ignorarmi, ma non avrebbe mai potuto resistere al mio magnetismo.

Così, prima di una doccia rigenerante, decisi di fare la barba, seguendo ogni contorno del viso con precisione. Il profumo di colonia alla lavanda riempì l'aria mentre mi dedicavo alla rasatura.

Mi vestii con cura, indossando una camicia bianca impeccabile che accentuava il contrasto con il pantalone scuro.

Le bretelle erano annodate con precisione, e la giacca con lo stemma ricamato sul petto della Saint Andrews, che raffigurava un leone rampante su uno sfondo di onde, mi scivolava perfettamente sulle spalle.

Quando varcai la soglia della mensa, il profumo avvolgente del porridge appena preparato danzava nell'aria, mescolandosi all'aroma robusto del bacon croccante e al dolce profumo del pane appena sfornato. L'atmosfera era impregnata di un misto irresistibile di caffè appena fatto e la leggera nota fruttata di marmellate casalinghe.

Immediatamente, scorsi Barclay seduto a un tavolo, e acconto a lui c'era Isaac.

Sentii un leggero formicolio nell'aria.

Barclay mi notò per primo e sollevò lo sguardo. I suoi occhi si posarono sui miei e un sorriso complice si dipinse sul suo volto. Ma quando il mio sguardo incontrò quello di Isaac, tutto sembrò rallentare.

Non c'era alcuna espressione di sorpresa sul suo volto, solo una calma apparente. I suoi occhi mi scrutavano, e quell'attimo di silenzio pesò come un macigno.

Proseguii il mio cammino, tentando di riprendere la mia solita disinvoltura, ma un nodo si era formato nel mio stomaco, un misto di incertezza e desiderio di impressionare.

«Barclay!» Posai una mano sulla sua spalla, fingendo noncuranza. Poi, dirigendo lo sguardo verso il forestiero, pronunciai con chiarezza: «Pia-cere di co-no-sce-rti.» Gli tesi la mano, scandendo ogni parola nella speranza di farmi capire.

Le sue labbra si piegarono dolcemente da un lato, creando una piccola fossetta sulla guancia.

Diamine, era così attraente da farmi venire il voltastomaco.

«Che ti prende? Perché parli in questo strano modo? Isaac parla benissimo la nostra lingua.»

«Il piacere è tutto mio.» Si precipitò a dire Isaac, interrompendo Barclay e lasciandomi più che interdetto.

Cristo! Il maledetto aveva finto di non conoscere l'inglese per tutto il tempo che eravamo rimasti chiusi dentro a quel bagno!

«Se non sbaglio, credo di averti già visto da qualche parte, mi ricorderesti il tuo nome?» La sua voce era scura, proprio come la ricordavo. Mi strinse la mano, e io avvertii il calore della sua pelle.

Provai a dire qualcosa, ma la mia bocca prese ad aprirsi e chiudersi più volte senza che avessi la capacità di formulare una frase di senso compiuto. Il bastardo non si ricordava neanche di chi fossi! «Tutto bene?» Inclinò di poco il capo e con i suoi occhi ambrati cominciò a studiarmi.

Non ero mai stato un tipo timido, eppure, per la prima volta in vita mia, sentii il viso avvampare dalla vergogna.

«S-si. St-Sto bene. È solo che adesso devo andare.» Balbettai confuso. Ritirai subito la mano e mi diressi via, allontanandomi da loro.

Fu poco più tardi, quando lo scorsi seduto nella parte opposta dell'aula durante la lezione di letteratura classica e contemporanea, che realizzai che quell'impostore, non era un turista e non si trovava alla St.Andrews per puro caso, ma ne era uno studente a tutti gli effetti.

Quel Isaac Ribeiro figlio di puttana mi aveva letteralmente preso per il culo. E lo aveva fatto in tutti i modi possibili e inimmaginabili.

Nella sua tranquillità indifferente, mi faceva perdere ogni briciola di concentrazione. Se ne stava assorto nei suoi appunti come se il mondo esterno non esistesse. La rabbia ribolliva dentro di me come un pentolone che rischiava di traboccare. Non sopportavo il modo in cui Isaac si atteggiava, come se tutto intorno fosse insignificante. Lo sarò stato anche io per lui, in quel bagno, dato che non sembrava nemmeno riconoscermi. Insomma, io non ero certo il tipo da diventare appiccicoso con le prede delle mie avventure clandestine, ma almeno riuscivo a ricordarne i volti.

La voce del Signor MacLeod mi catapultò alla realtà.

«Oggi esploreremo un capolavoro di Dumas, "La Dama delle Camelie". Il personaggio principale, Marguerite Gautier, un ispirazione romantica che lottava tra l'amore e le pressioni sociali. Signor Dunkworth, vorrebbe dirci cosa la colpisce del suo percorso durante la narrazione?»

La domanda mi colse di sorpresa. Mi misi sull'attenti, mi schiarii la voce e cercai di sembrare concentrato sulla lezione.

«Il modo in cui affronta il tema dell'amore impossibile. Marguerite lotta contro le convenzioni sociali, dimostrando forza...» Non feci in tempo a finire la frase che la voce di Isaac mi interruppe.

«Peccato però che Marguerite non abbia lottato abbastanza per cambiare il suo destino.» Il suo sguardo trasudava un'aria di superiorità, come se fosse consapevole di possedere una conoscenza più profonda e sofisticata della mia.

«Marguerite sacrifica la sua felicità per amore. Non c'è nulla di più nobile.»

«Sacrificio o codardia? Marguerite avrebbe dovuto sfidare la società invece di piegarsi alle aspettative.»

«L'amore di Marguerite è un atto di coraggio diverso!» Incalzai.

«Un coraggio che finisce per alimentare il conformismo. L'amore avrebbe dovuto essere una forza ribelle, non un motivo per arrendersi.» Il tono di Isaac trasmetteva una certa arroganza. Il suo sorriso beffardo e la postura eretta tradivano una fiducia nelle sue idee come se fosse al di sopra delle mie capacità deduttive.

«Ma la sua morte è un atto di sacrificio per amore! Preferisce morire piuttosto che rinunciare al suo unico amore!»

«Un amore che la trascina alla rovina. L'auto-sacrificio non è una soluzione intelligente, Lord Henry.» Stava giocando con la mia frustrazione. Una tempesta di rabbia si stava scatenando nel mio stomaco. Sentivo le guance bruciare mentre nonostante il mio crescente sdegno, lui manteneva una calma apparente. La sua serenità sembrava quasi una provocazione, un tocco di sufficienza che mi faceva infuriare ancora di più.

Il signor Macload intervenne con voce ferma, «Basta, signori! Abbiamo altri aspetti da esplorare nel romanzo. Henry, Isaac, risparmiate le vostre divergenze per un'altra occasione.»

Poco più tardi, la campanella segnò la fine della lezione e il professor Macload ci congedò. La mia rabbia ribolliva ancora per l'insolenza che aveva avuto Isaac, per il suo tono saccente con cui aveva osato parlarmi. Ma lui? Lui sembrava immerso nella sua serenità, come se tutto ciò non avesse la minima importanza.

Mi scivolai fuori dall'aula, cercando di liberarmi di quell'odioso senso di invidia che stava crescendo in me. Era strano, sapere che lui poteva controllare ogni conversazione, manipolarla secondo i suoi desideri, mentre io rimanevo qui, intrappolato in una bolla di superficialità.

La realtà era che Isaac non sembrava sentire niente, e questo, più di ogni altra cosa, mi tormentava. La sua indifferenza era quasi irritante, era come se avesse un potere, una forza di cui io non ero a conoscenza.

Dopo quel confronto, mi giurai che non avrei più permesso a Isaac di ottenere la meglio in una discussione. Non avrei più concesso che la sua sprezzante sicurezza sminuisse la mia presenza.

Era tempo di cambiare le carte in tavola.

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