Come un fiore tra le mine (Re...

By Elle_Jenny

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Mason vedeva solo nero. Non desiderava vedere più la luce in fondo al tunnel perché ormai era sceso a patti... More

Prologo di Mason
Prologo di Seb
Capitolo 1 - Mason
Capitolo 2 - Seb
Capitolo 3 - Mason
Capitolo 4 - Seb
Capitolo 5 - Mason
Capitolo 6 - Seb
Capitolo 7 - Seb
Capitolo 8 - Mason
Capitolo 9 - Seb
Capitolo 10 - Mason
Capitolo 11 - Mason
Capitolo 12 - Seb
Capitolo 14 - Seb e un po' di Mason
Capitolo 15 - Mason e un po' di Seb
Capitolo 16 - Seb
Capitolo 17 - Mason
Capitolo 18 - Mason
Capitolo 19 - Seb
Capitolo 20 - Mason
Capitolo 21 - Mason
Capitolo 22 - Seb
Capitolo 23 - Mason
Capitolo 24 - Mason e Seb
Capitolo 25 - Mason
Capitolo 26 - Seb
Capitolo 27 - Mason
Capitolo 28 - Seb
Capitolo 29 - Mason
Epilogo
Capitolo Speciale - Andy e Ben

Capitolo 13 - Mason

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By Elle_Jenny

«Perché stavi scappando?» gli domandò Seb, camminava alle sue spalle insieme a Sanji.

Sebastian aveva lasciato la sua vecchia Toyota nel parcheggio del Centro Veterani mentre Mason era stato accompagnato da Evan a cui aveva urlato di tornare a casa, ma era abbastanza sicuro che il suo migliore amico, dopo avergli fatto una quantità scandalosa di occhiolini allusivi, fosse ritornato ad importunare Samu. Evan aveva un master nell'importunare, infastidire e mandare all'esasperazione le persone. Però, riusciva sempre a farsi amare, prima o poi.

Evan non faceva parte del gruppo "o mi ami o mi odi". Evan era più "prima ti irrito poi mi ami". Ci era passato anche Mason più di dieci anni prima.

Rockford non era una cittadina molto grande e tutto era vicino a tutto. Una volta presa quella fantomatica cioccolata con Sebastian, sarebbe ritornato a casa insieme alla sua fidata sedia a rotella ed insieme alla sua, ancora più fidata, Eva.

«Non stavo scappando», replicò, mentendo.

Mason era sempre cosciente delle cazzate che buttava fuori la sua bocca, ma era anche orgoglioso. Troppo orgoglioso e Sebastian stava buttando giù troppi muri, nemmeno fosse stato una ruspa.

Mason avvertì i suoi passi affrettati e poco dopo se lo ritrovò davanti. Fu costretto a frenare la sua sedia a rotelle ed alzò il capo, leggermente infastidito, verso Seb, il quale lo stava osservando con le braccia incrociate al petto, in una mano stringeva il collare di Sanji, i ciuffi di capelli lisci, che erano diventati di un color viola pallido, gli ricadevano scompigliati sugli occhi celesti; quei dannati jeans sempre troppo larghi che gli scendevano sui fianchi snelli. Mason serrò le mascelle.

Non si era mai concentrato più di tanto sulle espressioni o sugli occhi delle persone che lo circondavano perché lui di base disdegnava le persone quindi tendeva ad ignorarle.

Comprese, però, - e quella comprensione di sé stesso gli giunse come un pugno dritto contro la bocca dello stomaco - che ignorare quegli occhi celesti stava diventato davvero, davvero molto complicato.

Mason odiava molte cose, lo aveva spiegato spesso, e le complicazioni rientravano in quell'elenco lunghissimo di cose che odiava/lo disgustavano/ lo facevano incazzare.

«Stai scappando anche adesso», gli disse Seb. Nonostante le braccia incrociate, come a voler dimostrare all'altro il suo fastidio, c'era sempre il problema dei suoi occhi che i capelli non riuscivano a nascondere del tutto e Sebastian era uno di quei famosi libri aperti.

Mason in quegli occhi limpidi lesse dell'incertezza.

«Stai scappando anche da me, Mason?» gli chiese, abbassando la voce, come se avesse davvero il timore che Mason stesse scappando da lui e che quel suo atteggiamento astioso lo facesse soffrire.

Non era vero. Almeno, in parte non lo era.

Mason non stava scappando da lui, ma non riusciva nemmeno a guardare per troppo tempo Sebastian negli occhi perché quel ragazzo capiva e Mason aveva sempre creduto di non essere facile da capire; non erano mai state facili da capire le sue scelte, le sue risposte brusche, i suoi modi di fare non sempre gentili ed ortodossi.

Tutto questo prima di lui. Prima di Sebastian.

Quel ragazzo gli gironzolava intorno e, dopo aver abbattuto qualche muro qui e là, rimetteva pazientemente a posto, ma lo faceva a modo suo, con le sue chiacchiere, spesso senza senso, i suoi colori - e Mason aveva vissuto in bianco e nero, specialmente nero, per gran parte della sua vita merdosa - e, soprattutto, con le sue insicurezze.

Sebastian era insicuro; Mason era stato in guerra, eppure, quel ragazzino non sapeva quanto potesse essere più coraggioso e forte di lui.

Strinse saldamente il collare di Eva. «Non stavo scappando da te». Mezza bugia. «Ma da... altro». Mezza verità.

Seb aggrottò le sopracciglia. «Tu sei come i cruciverba», gli rispose ed era anche serio mentre pronunciava quelle parole.

L'angolo destro delle labbra di Mason ebbe un fremito. «Un cruciverba?» ripeté in una domanda. Un'altra caratteristica di Seb erano proprio le sue stramberie.

All'inizio quelle stramberie lo avevano irritato, molto. Al momento, invece, Mason non era più molto certo sulle emozioni che gli procuravano le sciocchezze di Sebastian Turner. Tutte quelle linee nere che aveva marcato attorno alla sua vita avevano iniziato a sbiadire, soprattutto, dopo la notte trascorsa al cimitero, davanti la tomba di Timothy, con Sebastian accanto che borbottava su presunti spiriti maligni che avevano bisogno di un nuovo corpo da impossessare.

«Sì, un cruciverba», confermò.
«Sono bravo con i cruciverba perché ho una buona memoria ed immagazzino tutte quelle informazioni che la maggior parte delle persone ritiene inutili, ma nei cruciverba...» disse Sebastian, avvicinandosi a Mason insieme a Sanji. Eva scodinzolò perché adorava quel ragazzo e adorava ancora di più il suo cane.

Mason non avrebbe mai scodinzolato per lui.

Le sue mani, però, formicolarono per la necessità di scostargli i capelli dagli occhi. Era molto combattuto.

Seb inclinò la schiena verso di lui per essere in qualche modo alla sua altezza e socchiuse un po' gli occhi.

Mason voleva urlare, voleva spingerlo via, voleva scappare davvero da lui, lasciando quella famosa nuvola di fumo alle sue spalle come si vedeva nei cartoni animati. Ma allo stesso tempo voleva afferrarlo per quella stupida felpa con la stampa di una qualche diavoleria giapponese che tanto gli piaceva e schiacciare il naso contro il suo collo per annusare meglio il suo odore.

Avrebbe davvero dovuto discutere con il suo terapeuta e farsi aumentare o cambiare i medicinali.

«Nei cruciverba ritornano spesso utili quelle informazioni e io raramente ho bisogno delle soluzioni. In qualche modo ci arrivo sempre. Ora, dimmi la verità, Mason musone. Le bugie non mi piacciono. Mi fanno sentire stupido e mi ci hanno fatto sentire troppo spesso».

«Tu non sei stupido», gli disse Mason, istintivamente. Scosse il capo ed abbassò gli occhi su Eva, la quale aveva appena leccato Sanji in un occhio, continuando a tenere i muscoli delle mascelle rigidi. «Sei chiacchierone, a volte fastidioso e un po' strambo, ma non sei stupido, Seb. Non l'ho mai pensato». Chiunque te l'abbia fatto credere era uno stupido idiota.

«Puoi alzare lo sguardo e guardarmi negli occhi, per favore?»

Mason buttò l'aria fuori dal naso ed alzò gli occhi su Seb. Gli stava sorridendo con un accenno di fossetta sulla guancia sinistra, il naso con qualche leggerissima lentiggine appena arricciato e gli occhi truccati che gli facevano capolino al di sotto del ciuffo disordinato.

Non li aveva mai guardati i ragazzi come Seb. Un po' twink, magrolini, quei ragazzi che sembravano avere costantemente bisogno di un uomo che li proteggesse.

Prima di Timothy c'era stato Evan e prima di Evan c'era stato qualche altro ragazzo di passaggio con cui aveva condiviso esclusivamente delle sveltine. Dopo Timothy, invece, era tutto un po' sbiadito, aveva frequentato ragazzi a caso in locali come il... Red Moon solo per una botta e via, per sfogare un po' di frustrazione e tensione. Ma Timothy, Evan e tutti quei ragazzi senza nome che c'erano stati prima e dopo avevano un comune denominatore: non erano Seb.

Non erano fisicamente come lui, non avevano nemmeno l'ombra della sua eccentricità, non avevano quegli occhi celesti.

E no, Mason non avrebbe mai detto che erano celesti come le acque cristalline di una qualche isola del cazzo dei Caraibi. Era una cagata imbarazzante e assolutamente non associabile agli occhi che lo stavano scrutando in quel momento.

«Ti piacciono i marshmellow?» gli chiese.

Mason era ancora più confuso. «Pensavo mi volessi chiedere qualcosa di serio».

«Questa è una domanda seria. Ti piacciono i marshmellow sì o no? Bada bene a dove mettere la x perché sono molto suscettibile sull'argomento».

Mason si afflosciò contro lo schienale della sua sedia a rotelle e non riuscì a reprimere un mezzo sorriso. Una cosa era certa: gli ingranaggi di Sebastian non giravano tutti nella stessa direzione.

«Diciamo che non mi dispiacciono», rispose.

Il sorriso sulle labbra di Seb non si affievolì. «Bene, perché dentro quella cioccolata ce ne voglio affogare parecchi e ne hai bisogno anche tu. Sono sempre più sicuro che un po' di dolcezza potrà solo farti del bene, Mason musone. Forza, la cioccolateria non è molto distante. Io sono un cliente affezionato».

Mason non aveva dubbi, che Seb fosse amante delle cose dolci. E quando si ritrovò davanti una tazza di cioccolata calda ricoperta di marshmellow bianchi, si chiese anche come diavolo si bevesse o mangiasse una... cosa simile.

Si erano seduti fuori, per via dei cani anche se la temperatura autunnale non era delle migliori; una cameriera con un grembiule marrone dalle cuciture rosa che conosceva Seb per nome li aveva serviti e aveva anche portato due biscotti per cani da dare ad Eva e Sanji che producevano loro stessi.

Seb ingurgitò vari marshmellow in superficie, poi prese un sorso dalla tazza e sospirò. Aveva gli angoli delle labbra macchiati di cioccolata.

«Come facciano le persone a preferire le cose amare, non lo capirò mai», affermò. Poi guardò Mason e la sua cioccolata intonsa. «Mangia. O bevi. Qui dipende un po' dai punti di vista».

Mason, il quale aveva cambiato molti punti di vista ed aveva sempre preferito le cose amare alle cose dolci, prese il cucchiaino poggiato sul piattino e lo infilò nella tazza piena di cioccolata calda e marshmellow ormai quasi del tutto sciolti.

Il sapore che gli fece quasi esplodere le papille gustative e stringere un po' gli occhi era davvero molto dolce, ma... sorprendentemente piacevole.

«Buona, eh?» disse Seb, soddisfatto, gli angoli della bocca carnosa ancora sporchi di cioccolata.

Mason si limitò ad annuire, prima di immergere di nuovo il cucchiaino nella tazza. Tra la sua mente e il suo petto stavano avvenendo varie battaglie, lo percepiva dal pulsare delle sue tempie e dal battito frenetico del suo cuore.

No, il suo cuore non stava galoppando. I cavalli galoppavano, cazzo.

«Prima, al Centro, mi era passata per la mente tutta la seduta di pet therapy scorsa. Sono sempre dolorose le terapie di gruppo perché le storie che si ascoltano...» Il viso di Mason divenne una maschera di pietra. «È come se qualcuno ti prenda ripetutamente a pugni nello stomaco. Ma alla scorsa seduta c'era anche...»

«Jamie», lo disse Seb.

Mason non era tanto sicuro che sarebbe riuscito a dire il suo nome senza che la voce gli si inclinasse.

Mason annuì. «Ha sempre... ha sempre quegli stupidi capelli lunghissimi da principessa».

In passato, Mason lo aveva chiamato spesso principessa e Jamie non si era mai offeso perché sapeva che quel nomignolo gli era stato affibbiato da lui con affetto anche se aveva sempre fatto fatica a dimostrarlo.

«Non... non si somiglia molto con Evan», parlò Seb, la sua voce era comprensiva e dolce come quella cioccolata.

Mason negò con il capo, una serie di ricordi sia belli che dolorosi iniziarono a creargli un gran caos nella mente.

«Jamie è sensibile. È stato il mio primo e vero amico. Per lui...», gli venne in mente un singolo ricordo che gli fece venire voglia sia di ridere che di piangere.

Cazzo, sono un disastro.

«Anni addietro, il Red Moon non era... il Red Moon. Era un semplice locale gestito un po' a cazzo da due donne dove andavi, ti bevevi una birra e se poi avresti visto due ragazzi o due ragazze che si baciavano, nessuno ne avrebbe fatto un dramma. Ecco, per Jamie sono andato in quel locale solo per controllare cosa stesse facendo...» Quel nome faceva ancora più male da pronunciare.

«Michael».

Mason guardò Seb. Non stava più sorridendo, la sua espressione era seria ed attenta. Anche se aveva sempre le labbra macchiate di cioccolata.

Mason annuì. Evitò di raccontargli della lingua di Evan che quella sera gli aveva controllato le tonsille perché non gli sembrava il caso e perché ormai la sua relazione sentimentale con Evan era acqua molto passata.

«Tu hai bisogno di loro, Mason», continuò a parlare Seb. «Jamie e Michael fanno parte della tua storia. Quello che è successo a Timothy è stata una tragedia e sono certo che Michael lo avrà sulla coscienza per sempre, ma è stato un incidente, lui non voleva».

«Questo lo so», replicò Mason, aggrappandosi al collare di Eva. Aveva bisogno di un po' di energia, altrimenti sarebbe crollato.

Avvertì un palmo freddo sopra il dorso della sua mano che giaceva accanto alla tazza di cioccolata. Mason spostò gli occhi sulle loro mani. La sua mano era grande, le unghie erano un disastro perché passava molto tempo a sistemare il giardino sul retro di casa sua, mentre la mano di Seb era magra, aveva le dita lunghe con le unghie sempre dipinte di nero.

Gli piaceva il tocco leggero di Seb. Ci si stava abituando.

«E allora, perché non ridai un'altra possibilità alla vostra storia?»

Mason alzò gli occhi e sbirciò l'espressione placida e tranquilla del ragazzo seduto di fronte a lui che si stava dimostrando sempre più intelligente e dotato di una strabiliante empatia.

«Perché sono una testa di cazzo», buttò fuori, consapevole.

Seb sghignazzò, arricciando il naso. «No, il problema non è il tuo essere una testa di cazzo. È l'orgoglio che ti frena, Mason musone. Perché non lo mandi un po' a quel paese?»

Riuscì ad abbozzare un piccolo sorriso, ma era un piccolo sorriso onesto. «Ci proverò».

«Meglio di niente», rispose Seb, poi rabbrividì.

Mason notò lo scuotersi delle sue spalle e le dita di Seb che andarono subito a circondare la tazza di cioccolata che doveva essere ancora tiepida.

Sospirò, alzò gli occhi al cielo e si abbassò la zip della sua felpa, rimanendo solo con una semplice maglia a maniche lunghe. Fece il giro del tavolino con la sua sedia a rotelle ed appoggiò la sua felpa sulle spalle del ragazzo. Gli occhi di Seb divennero ancora più grandi e quelle ciglia ricoperte di mascara sembravano non finire mai.

Mason non era certo che quel pensiero sulle ciglia di Seb avesse senso.

«Devo capire per quale motivo non indossi abiti più caldi. Sei freddoloso, Sebastian», brontolò Mason, poi non riuscì più a resistere e gli passò il pollice ai lati delle labbra per pulirlo dai residui di cioccolata.

Seb sembrava sconvolto e quando si passò la punta della lingua sulle labbra che Mason aveva appena sfiorato, il sangue gli schizzò, ardente, in ogni direzione possibile del suo corpo.

«Avrei comunque freddo e queste felpe sono troppo carine per essere coperte dalle giacche. Però», rispose, accucciandosi nella sua felpa. «Potrei fare un'eccezione perché le tue felpe sono enormi e molto calde».

Mason sbatté le palpebre, poi scosse un po' il capo. «Ho come l'impressione che presto dovrò comprarmi delle nuove felpe».

«Mason musone?»

«Dimmi, Sebastian».

«Posso darti un abbraccio? Sento che ne abbiamo bisogno entrambi».

Non se l'aspettava quella richiesta, ma le guance rosse di Sebastian e il suo evidente imbarazzo lo intenerirono - altra novità - quindi si ritrovò a sospirare e a fingersi infastidito mentre allargava le braccia e rispondeva: «Forza, prima che me ne penta».

Seb allargò il sorriso e si tuffò tra le braccia di Mason. La posizione era un po' scomoda perché entrambi erano seduti, Seb sulla sedia della cioccolateria e lui sulla sua sedia a rotelle, ma risultò ugualmente gradevole. Mason appoggiò la guancia sui capelli viola del ragazzo, chiuse gli occhi, prese una lunga boccata del suo profumo fruttato e si godette fin troppo quel contatto umano di cui aveva disperatamente bisogno. Seb aveva avuto ragione.

Il suo rapporto con Seb, dopo quell'abbraccio, si era definitivamente stravolto.

«Sento il tuo cuore che batte», mormorò Seb, il viso schiacciato contro il suo petto.

«E meno male, altrimenti sarebbe stato un problema, se non lo avessi sentito», replicò Mason, camuffando con il suo sarcasmo tutto quello che in realtà stava provando. Si stava trattenendo, altrimenti quel corpo magro e profumato se lo sarebbe inglobato.

Seb ridacchiò e, piano piano, si allontanò dal petto di Mason. «Hai uno strano umorismo».

Mason si allontanò da Seb e ritornò al suo posto, davanti la sua cioccolata che ormai non era più tanto calda perché la sua sanità mentale non era mai stata tanto sana e quel contatto con il corpo di Seb l'aveva quasi spinta a suicidarsi.

«Lo so», borbottò, infilandosi in bocca un altro cucchiaio di cioccolata. «Dopo questa cioccolata dovrò farmi controllare la curva glicemica, Seb».

Seb rise. Mason lo guardò.

E dopo questa giornata, dovrò cercare di capire se riuscirò a fare a meno di te, Seb.

Oh, ma cazzo.

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